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Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 9, III ordine, settore destro

Una contessa in fuga a Parigi e quattro famiglie ebraiche
Primo proprietario, dal 1778, è il nobile Paolo Meroni (1729-1812) di nobile famiglia nota soprattutto nel comasco e nel milanese, titolare anche del n° 1 e n° 2 del IV ordine sinistro.
Durante il periodo napoleonico il palco - come la maggior parte di quelli scaligeri - è oggetto di temporanei passaggi di utenti diversi. Nel 1809 compaiono ben tre assegnatari: Giovanni Manini, “Negoziante, Chincagliere, Bijoutiere e Giojelliere” proprietario di un deposito “sotto il Coperto de’ Figini” in piazza Duomo, visitato da milanesi e turisti; il Manini non era solo commerciante ma anche orefice e tra i suoi clienti di prestigio figurava Giuseppe Poldi Pezzoli; il cavaliere Charles Flury (1765-1842), allora console generale di Francia a Milano; infine, Albert-Victoire De Moré de Pontgibaud (1776-1808) figlio di emigrati francesi dopo la rivoluzione: era già morto nel 1808 ma qualcuno della famiglia manteneva ancora la disponibilità del palco. È quanto succede anche dopo il 1813, quando il palco ritorna a don Paolo Meroni che era già morto l’anno prima. Qui però il motivo è probabilmente un’eredità non risolta perché il palco rimane a nome di don Paolo per più di vent’anni sino a quando nel 1827 risulta intestato alla nuora contessa Giovanna Borri, moglie del figlio di Paolo Meroni, Abele che aveva un palco anche al Teatro della Canobbiana.
Sia Giovanna che Abele erano patrioti convinti avversi all’Austria: si erano allontanati da Milano per rifugiarsi a Parigi senza l’autorizzazione della polizia lombarda e di conseguenza, nel gennaio del 1831, l’allora consigliere di governo Francesco Torriceni aveva intimato loro pubblicamente di far ritorno nei territori dell’Impero asburgico “sotto la comminatoria di essere dichiarati morti civilmente e della confisca di tutti i beni”. A Parigi la contessa - analogamente a un’altra grande esule, la principessa Cristina di Belgiojoso - apre il suo salotto ai capi del partito liberale italiano e ai tanti esuli che affollavano la capitale francese, durante serate dove le discussioni politiche si alternavano a balli e intrattenimenti musicali. A Parigi l’aristocratica si spegnerà nel 1846.
Nel 1842 subentra agli esuli coniugi Meroni Sebastiano Mondolfo (1796-1873), nato Sabato Levi Mondolfo, banchiere di fama insignito del titolo di conte nel 1864. Discendente da una famiglia di facoltosi commercianti ebrei originari di Ragusa in Croazia, trapiantatisi nella multiculturale e multietnica Trieste asburgica, Sebastiano Mondolfo si trasferisce dagli anni Trenta a Milano e si converte al cattolicesimo per unirsi in matrimonio con Enrichetta PolastriEnrichetta Mondolfo Polastri: quest´ultima era una nota ballerina attiva sulle scene milanesi nei balli che interpolavano le opere di RossiniGioachino Rossini, BelliniVincenzo Bellini, DonizettiGaetano Donizetti e altri importanti compositori. La Polastri, divenuta signora Mondolfo, si trasformerà in una nobildonna benefattrice, sempre vicina al consorte nella promozione di tante iniziative filantropiche. Il nome di Mondolfo, presidente della Società Lariana di Navigazione, fra i rappresentanti e finanziatori della Società per la costruzione e gestione delle Ferrovie Lombardo-Venete, è legato indissolubilmente alla storia dell’Istituto dei ciechi. Amico di Michele Barozzi, fondatore della prima Casa dei ciechi in San Vincenzo in Prato, sostiene finanziariamente l’acquisto di una nuova sede di Corso di Porta Nuova 5; dell’Istituto è presidente dal 1867 sino alla morte, permettendo con il suo consistente lascito testamentario la costruzione dell’attuale palazzo di via Vivaio inaugurato nel 1892. Porta il nome di Mondolfo l’Asilo inaugurato nel 1877 e destinato all’assistenza e all’istruzione dei ciechi poveri privi di occupazione, sede di saggi e beneficiate musicali che ottennero successi presso la cittadinanza e ampi riscontri nei giornali come la Gazzetta Musicale o il Corriere delle dame. Per la moglie, Mondolfo acquista nel 1853 dai marchesi Rosales (anch’essi palchettisti nel n° 8, II ordine sinistro) il castello e le terre di Monguzzo in Brianza, divenendo sindaco della cittadina tra il 1868 e il 1872 e promuovendo le scuole per i lavoratori del circondario.
Il conte Mondolfo mantiene il palco sino al 1862: lo vende al cavalier Prospero Finzi (1801-1876), anch’egli esponente di un’importante famiglia ebraica, per acquistarne uno più prestigioso (il n° 6 del II ordine destro). Prospero e suo fratello minore Marco, originari di Carpi e giunti a Milano nel 1837, sono attivi nella produzione della seta - settore trainante dell’economia lombarda in quegli anni - in quanto titolari di una filanda nella zona di Gorla; nel capoluogo lombardo i due operano anche come banchieri. Si uniscono in matrimonio con le due figlie di Aron Vita Finzi; Prospero sposa Annetta e Marco impalma Fanny. Alla famiglia Finzi appartiene l’omonima villa di Gorla (Milano) acquistata nel 1839 da Prospero e trasmessa quindi alla sua unica erede, la figlia Fanny FinziFanny Ottolenghi Finzi (1832-1919), proprietaria del palco scaligero dal 1864 assieme al marito Salvatore Ottolenghi (1831-1895), esponente di un’altra nota famiglia ebraica di origine piemontese, con il quale risiede in via Borgonuovo 11.
Ottolenghi è avvocato, commendatore e senatore del Regno, nonché membro ordinario del Consiglio sanitario della provincia di Milano e del Consiglio di amministrazione della Guardia medica notturna; sostiene finanziariamente la realizzazione della sinagoga di via Guastalla progettata dall’architetto Luca Beltrami e inaugurata nel 1892. Alla sua morte viene seppellito nel cimitero israelitico di Asti, sua città di origine. La moglie, grande benefattrice, trasforma la villa di Gorla nel più grande istituto italiano che prepara al lavoro i ragazzi portatori di handicap. Quando muore, dona alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano la ricchissima collezione di testi legali appartenuti al marito. Vedova, Fanny rimane unica proprietaria del palco dal 1899 sino al 1919.
Ultimo titolare, per il solo anno 1920, è Enea Cavalieri (1848-1929), discendente da una famiglia ebraica originaria di Ferrara. Politicamente e socialmente impegnato, collabora con Sydney Sonnino e Leopoldo Franchetti, suoi ex compagni di università, nell´inchiesta sulle condizioni della Sicilia che mette a nudo lo stato di arretratezza in cui versa l’isola, le condizioni di oppressione cui sono sottoposti i contadini e la corruzione che dilaga nelle amministrazioni locali. Un viaggio attorno al mondo gli consente di studiare e analizzare le condizioni economiche e sociali dei differenti Paesi; al ritorno inizia la sua attività di pubblicista(scrive per esempio sulla Rassegna settimanale e Nuova Antologia). Promuove la cooperazione in ambito agricolo, da finanziare a suo avviso con il credito delle banche popolari e assieme a Luigi Luzzatti fonda la rivista Credito e cooperazione di cui è direttore dal 1891 al 1893. Durante la Prima guerra mondiale partecipa come volontario - all’età di 67 anni - nel corpo dei bersaglieri, tra le cui file aveva combattuto nel 1866 a Custoza. Liberale convinto, si ritirò dalla politica dopo la svolta totalitaria di Mussolini.
Enea Cavalieri non si godette il palco per molto: nel 1920 si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
Hanno posseduto questo palco:
Cavalieri, Enea
De Moré de Pontgibaud, Albert-Victoire
Finzi, Prospero
Flury, Charles
Manini, Giovanni
Meroni Borri, Giovanna
Meroni, Paolo, che ebbe anche: 1 4. ordine sinistro; 2 4. ordine sinistro
Mondolfo, Sebastiano, che ebbe anche: 6 2. ordine destro
Ottolenghi Finzi, Fanny
Ottolenghi, Salvatore
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

    

  
 
 
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