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Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Donne nei palchi
“Confesso del giorno 14 dicembre 1776 per £ 1600. Pagate dalla Signora Duchessa Moles, come proprietaria del Palchetto n° 3. Prima fila alla dritta, per la reedificazione del nuovo Teatro Grande alla Scala. … ”
Donna Barbara Duchessa di Parete, vedova Moles, nata marchesa del Caretto, Grande di Spagna di prima classe, figlia di Don Tullio del Caretto dei Conti di Mombaldone, abitante in Porta Nuova nella parrocchia di San Bartolomeo fuori de’ Ponti (la sua casa - acquistata poi da Francesco Melzi - era alla Cavalchina, vicino a Palazzo Dugnani e di fronte alla Zecca, oggi via Manin) partecipa con la propria quota alla costruzione della Scala dopo l’incendio del teatro Ducale. La marchesa nonché duchessa Moles intuisce subito il valore del suo investimento e vende il proprio palco al conte Francesco Antonio Visconti Pirovano: l’atto, rogato il 1° aprile 1778 dal notaio Perocchio, è conservato nell’Archivio Visconti di Modrone. Siccome il compratore dilaziona troppo i pagamenti, donna Barbara si gode gli spettacoli fino al 1780, quando nelle fonti compare soltanto il nome del Pirovano Visconti.
Le titolari di un palco scaligero sono più di trecento. Nel caso poi si elenchino le numerose presenze femminili che gravitavano intorno a un palco, affittuarie, ospiti, mogli, amiche, figlie delle o dei titolari, non si smetterebbe più di contare. Ha ragione Stendhal quando sottolinea che “il se forme comme une espèce d’aristocratie des deux cents femmes qui ont une loge à la Scala …”
Valutando solo le palchettiste, nell’insieme dei 155 palchi, le statistiche della base dati ci dicono che nel 1778, anno di inaugurazione del teatro, le proprietarie sono 27 mentre nel 1817, all’indomani della Restaurazione, le donne sono 34. Nel 1848 sono 41. Poco dopo l’Unità d’Italia, nel 1863, sono 28. Nel 1887, l’anno di Otello, sono 50, nel 1893, anno di Falstaff, 49; raggiungono l’apice di 68 nel 1908 e saranno 47 nel 1920, alla data della convenzione con il Comune e l’Ente autonomo Teatro alla Scala, che porterà all’esproprio definitivo dei palchi privati “per pubblica utilità”.
Nel periodo della Repubblica Cisalpina e dell’Impero napoleonico purtroppo scarseggiano gli elenchi di proprietari nelle fonti coeve: si parla invece di “utenti”, che negli elenchi sono spesso privati - per ragioni di egalité - del loro titolo nobiliare; ancora Stendhal ci informa che “La naissance ne fait rien pour être admis dans cette aristocratie de la Scala; il ne faut absolument que de la fortune et un peu d’esprit”.
Nobili e borghesi affittano i palchi, gli ufficiali dell’esercito si fanno cavalier serventi. Tra i nomi femminili spicca quello di Vittoria Peluso titolare dal 1809 al 1829 del palco n° 9, I ordine, settore sinistro. Ballerina scaligera, nota come La Pelusina, sposa in prime nozze, non senza crear polemiche, un importante membro dell’aristocrazia, il marchese Bartolomeo Calderara impegnato tra il 1776 e il 1778 nell’Impresa del Teatro alla Scala e che nel 1778 assunse, con un contratto di cinque anni, l’appalto del teatro insieme ad altri due nobili palchettisti, il conte Ercole Castelbarco e il marchese Giacomo Fagnani. Ricca ereditiera dopo la vedovanza, si risposa nel 1808 con il generale conte Domenico Pino, a sua volta zio della salonnière Vittoria Cima. Una delle evidenze della storia dei palchettisti è la rete di nessi, parentali e non, tra i diversi proprietari, come in una variegata polifonia.
Utente del n° 4 del III ordine, settore sinistro, nel 1809 è Madama Ragani: sotto questo nome si cela il celeberrimo contralto Giuseppina Grassini, coniugata con il colonnello Cesare Ragani. Dopo gli anni Venti, a Milano, si dedicò all’insegnamento formando altre primedonne come le sorelle Grisi e Giuditta Pasta.
Le donne divengono testimoni delle vicende italiche tra il periodo napoleonico e i primi decenni postunitari. Tra le titolari dei palchi spiccano le “Giardiniere” ovvero le esponenti femminili della Carboneria, come Teresa Berra o Cristina Trivulzio di Belgiojoso.
La vocazione patriottica delle donne continua nel Risorgimento: i nomi delle palchettiste si trovano tra le più di millequattrocento aderenti alla Lista delle contribuenti alla bandiera offerta dalle donne milanesi al prode esercito ligure-piemontese (Milano, Pirola 1848) “eseguita in ricamo dal sig. Giuseppe Martini, sui disegni del sig. Angelo Rossi, i bronzi cesellati dal sig. Giovanni Bellezza”; la manifattura dello stendardo era stata affidata a Giuseppe Martini, all’epoca gestore dei ricami e degli arredi sacri della diocesi milanese. Un oggetto prezioso che simboleggia il forte desiderio di libertà e di solidarietà femminile con i combattenti.
Tra le patriote-palchettiste spicca la nobildonna Giuseppina Vidiserti nata Franchetti di Ponte appartenente a una famiglia di imprenditori di origine ebraica spostatasi da Mantova a Milano. L’impresa Franchetti, della quale faceva parte anche il marito, aveva come obiettivo la creazione di un servizio di trasporto su diligenza in Lombardia. Longeva testimone delle vicende italiche, dal periodo napoleonico ai primi decenni postunitari, Giuseppina fu sempre patriota, prima e dopo il Risorgimento: nel palazzo Vidiserti (tra via Bigli e via Montenapoleone 37) si riunivano i cospiratori delle Cinque Giornate; il nome di Giuseppina compare nella citata Lista delle contribuenti alla bandiera; nel 1862 è tra i sottoscrittori del Compianto sulla tomba onorata di Emilio e Alfredo Savio caduti nelle battaglie italiche, a ricordo dei due figli dell’avvocato piemontese Andrea Savio, amico e consigliere di Cavour, e di Olimpia di Bernstiel, capitani d’artiglieria morti il primo all’assedio di Gaeta (23 anni), il secondo a quello di Ancona (22 anni).
Tra le proprietarie attiviste fautrici dell’Italia unita non compare la contessa Clara Maffei, nata Elena Chiara Maria Antonia Carrara Spinelli, forse la figura femminile più nota dell’Ottocento milanese insieme alla principessa Belgiojoso. Il salotto Maffei venne frequentato dai grandi intellettuali del tempo, da Balzac a Tenca, da Hayez a Giuseppe Verdi; a quest’ultimo “Clarina” fu legata da profonda amicizia, testimoniata da un nutrito epistolario che coinvolge anche “la cara Peppina”, Giuseppina Strepponi. Dove avrebbe potuto andare in Scala la contessa Maffei? Dovunque ma in particolare avrebbe potuto essere ospitata nel palco n° 10 del II ordine destro, proprietà dei conti Giulini della Porta, a lei legati sin dai tempi delle Cinque Giornate. Raffaello Barbiera, preziosa fonte letterario del mondo femminile ottocentesco, scrive: “Valendosi dell’amnistia, concessa da Francesco Giuseppe, è tornata dall’esilio la principessa Cristina Belgiojoso, e colla figlia, divenuta più tardi la marchesa Trotti, viene a visitare Clara Maffei. E ancora: la contessa Visconti di Saliceto nata San Martino, donna di molto spirito, e la contessa Morando. Fra le dame più giovani e più elette, si nota una gentildonna lombarda d’alto patriottismo e di forte cultura, Laura Scaccabarozzi nata marchesa d’Adda … La contessa Della Somaglia maritatasi poi al conte Marco Greppi; donna Paolina Sala Taverna madre di tre egregi gentiluomini, Gerolamo, Giacomo e Marco Sala, nonché moltissime altre signore dell’alta società lombarda, frequentano casa Maffei …”. Tutte queste signore, aggiungiamo, hanno un palco in quel teatro che dopo l’Unità “non è solo un giusto titolo d’orgoglio per l’Atene Lombarda ma va considerato una gloria-artistica nazionale.” (Luigi Romani, Teatro alla Scala. Cronologia di tutti gli spettacoli […], Milano, Pirola, 1862, p. XXXVI).
Sono almeno 41 le proprietarie di palchi che meritano l’attributo di benefattrici. Andare alla Scala significava anche propagandare tra amiche, frequentatori e ospiti, le proprie campagne solidali a favore di asili o di associazioni come la Croce rossa, raccogliere fondi per i bambini rachitici o per i carcerati, organizzare iniziative di carità. Se tra fine Settecento e prima metà dell’Ottocento le istituzioni elette come destinatarie della beneficenza sono l’Ospedale Maggiore, il Fatebenesorelle/Fatebenefratelli, l’Istituto dei Ciechi, il Pio albergo Trivulzio nel corso del secolo XIX e segnatamente dopo la metà, le donne prendono coscienza che esiste un Quarto stato da soccorrere formato da bisognosi e deboli, orfani e disperati, minori e adulti analfabeti.
La contessa Teresa Opizzoni Giorgi lasciò i suoi beni ai Luoghi Pii Elemosinieri; la marchesa Carlotta Terzaghi fu benefica con l’Orfanotrofio della Stella, che ereditò, oltre a tutti gli averi, il palco n° 14 del I ordine, settore destro; la contessa Claudia Bigli Clerici alla morte ordinò che 2000 lire fossero devolute alle povere nubili della parrocchia di San Marco; Fanny Ottolenghi Finzi di origine ebraica, moglie dell’avvocato Salvatore Ottolenghi, trasformò la sua Villa Rifugio di Gorla (Milano) nel più grande istituto italiano che preparava al lavoro i ragazzi portatori di handicap; Carlotta Frova Francetti, coniugata con l’industriale lombardo Giuseppe Frova, benefattrice dell’Ospedale Maggiore, lasciò il suo patrimonio in eredità al Pio Istituto Oftalmico. Tra le palchettiste solidali, scelta in un elenco che potrebbe durare a lungo, anche Enrichetta Mondolfo Polastri, ballerina di mezzo carattere alla Scala e negli altri teatri milanesi, moglie di Sebastiano Mondolfo, di origine ebraica ma che per lei si convertì al cattolicesimo: seguì il marito in un’attività benefica rivolta alle classi operaie, dalla salute all’educazione infantile.
Costellano i 143 anni di storia dei palchi di proprietà privata anche vicende da romanzo.
Basti qui citare Sofia Greppi, palchettista dal 1901 al 1920, innamoratasi del suo datore di lavoro Francesco Riva Cavenaghi, già sposato, madre di tre figli che orgogliosamente volle tenere con il proprio cognome. Erede delle consistenti fortune del suo amato, destinò legati al Pio Albergo Trivulzio, all’Istituto della Fanciullezza abbandonata e a molti altri enti, anche in memoria del primogenito Alessandro defunto nel 1913. È sepolta al Cimitero monumentale, come molte altre la cui vita molto ha significato per Milano. O ancora Luisa Adele Rosa Maria, contessa Amman che siede nel palco del marito Camillo Casati Stampa di Soncino. Ereditiera di una famiglia di origine ebraica arricchitasi con l’industria cotoniera, appassionata di occultismo, collezionista d’arte, amica di D’Annunzio e di Man Ray, soggetto di uno straordinario ritratto di Giovanni Boldini, proprietaria del palazzo veneziano oggi di Peggy Guggenheim, Luisa si separa dal marito alle soglie della grande guerra per affrontare un percorso di vita fuori dall’ordinario, che finirà nel 1957, in miseria, a Londra.
Non si possono ignorare le palchettiste che scrissero musica, come la nobile dilettante Angiola Della Somaglia e Cirilla Cambiasi Branca definita “la Liszt delle pianiste lombarde”, madre di Pompeo Cambiasi, il primo grande storico della Scala, e le proprietarie “caffettiere”, come Eugenia Cagnolati, la figlia di Domenico e Francesca Sassi, titolari del Caffè del Teatro.
Infine, ci sono anche le nonne di personaggi famosi, come quella del generale Cadorna, Virginia Cadorna Bossi o di Luchino Visconti, Giovanna Gropallo.
Presenze femminili nei palchi: un microcosmo che riflette, in un gioco di specchi, tante storie di vita.
Pinuccia Carrer
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