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Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palchi e decori
Al Catasto di Milano ogni palco scaligero era registrato come un qualsiasi immobile, intestato e con i passaggi di proprietà rogati dai notai. Venivano riportati numero, ordine e settore e veniva precisato che l’immobile era costituito da due vani. Infatti il palco aveva il proprio camerino, oggi definito retropalco.
La descrizione dei decori, nella dettagliata oggettività dei documenti del tempo (contratti di affitto, di vendita, stime indette dagli enti per i lasciti testamentari) fotografa come si presentavano i palchi tra il 1778 e il 1920: essendo proprietà privata, infatti, ogni palco poteva essere personalizzato, purché non si toccasse la parete esterna del parapetto e gli arredi interni non turbassero l’affaccio sul palcoscenico e sulla platea.
Particolarmente sfarzoso era il proscenio del I ordine “alla sinistra entrando”, acquistato dal marchese Pompeo Litta Visconti Arese nel 1780 dagli eredi di don Paolo Muttoni: secondo la descrizione di Giuseppe Morazzoni (I palchi del Teatro alla Scala, Milano, Amici del Museo Teatrale 1930) il palco è “un salottino privato… le pareti rivestite di stucco dipinto all’encausto, lucido e morbido come seta… pampineo viticcio… serpeggianti ramoscelli d’alloro… la classica lira coronata di fiori… maschere e fini volute di fogliame…”. Nel retropalco motivi floreali rimandano alla pittura murale di Pompei.
Secondo un inventario del 1790 redatto da Marcellino Segrè, architetto imperiale, conservato all’Archivio Storico Civico, la tappezzeria preferita dai palchettisti per le pareti era la “tela di Vienna, a fondo bianco, rosso, celeste, a righe, su cui sono sparsi o s’intrecciano rami o s’inviluppano fantasiose composizioni alla cinese; la tendenza classicheggiante è rappresentata da tappezzerie a musaico”.
Nel periodo napoleonico molti aristocratici filo-asburgici abbandonano i palchi per lasciare il posto ai filofrancesi, “cittadini” che li prendono in gestione affittandoli, subaffittandoli o rispondendo alle più varie richieste. Un esempio è il contratto di affitto stipulato il primo nevoso, anno VII (21 dicembre 1798) dal “cittadino Francesco Cambiasi” con il Ministero della Polizia e il Dicastero di Polizia del Comune di Milano che vogliono occupare il palco n° 17, II ordine, settore destro, appartenuto sino al 1796 al Conte Emanuele Kewenhüller, funzionario del governo austriaco, in quel momento poco gradito alle autorità francesi e quindi fuori Milano. Dopo le firme di rito si legge:
Consegna del Palco alla Scala
Plafone piturato
Due tende, e padiglioni alla romana di lustrini color cedrone
Tappezzerie in due pezze di damasco bianco e giallo
N.° 2 Poltrone e N.° 6. Scagni con due cuscini per scagno con guarnitura eguale alla tappezzeria
N° 2 specchi incassati
Due braccialetti per le candele con un solo tondino di cristallo
Un tappeto rigato ad uso di stuoia
Due ferri di tenda, uno per il padiglione ed uno alla portina
Un contro antiporto fodrato di bajetta con un cristallo in mezzo

Nel Camerino
N.° 2 guarnerj con serratura, e chiave
Un portamantello
Una sgabella = due orinali = un candeliere di legno
In sintesi, il soffitto era intonacato, le pareti tappezzate di damasco bianco e giallo, i tendaggi che chiudevano il palco ed il panneggio erano di color cedrone (giallo-verde), due specchi a muro, poltrone e seggiolini in tono con la tappezzeria, un unico candelabro a due braccia, ferri disponibili per aggiunta di tende al palco e alla porticina interna; l’antiporta era foderata all’interno in morbida lana inglese tutta intorno all’oblò. Il retropalco aveva due armadi a muro con serratura e chiave per proteggere i beni più preziosi, un portamantello, un solo candeliere, in legno, uno sgabello e due vasi da notte.
Secondo il gusto dei palchettisti, che non sempre segue i dettami della moda, nel corso del tempo palchi e camerini subiscono modifiche nei decori, soprattutto dopo il ritorno degli austriaci nel 1815, che vede anche il rientro di precedenti aristocratici possessori.
Un evento che motivò significativi rinnovamenti nel teatro fu l’incoronazione di Ferdinando I, imperatore d’Austria, a Re del Lombardo-Veneto nel 1838. In tale occasione, il pittore, architetto e scenografo Alessandro Sanquirico, incaricato di abbellire la Scala, firmò dorature, panneggi, tappezzerie, specchiere con uno sfoggio del lusso che si legge anche all’interno di singoli palchi; le sue impronte si possono ritrovare per esempio nel palco n° 16, III ordine sinistro, all’epoca del banchiere Antonio Gargantini, o nei cosiddetti palchi arciducali (n° 1, n° 2, II ordine sinistro) scampati miracolosamente ai bombardamenti del 1943, riconoscibili per i tendaggi color cremisi a fronte di quelli azzurri del resto del teatro. Il rosso cremisi era il simbolo del potere politico e di questo colore erano anche i panneggi esterni del palco reale. I tendaggi diverranno tutti rossi a metà Ottocento quando ancora servivano per chiudere i singoli palchi.
Un palco particolarmente curato nei materiali e negli arredi, più “asciutti” rispetto ai dettami di Sanquirico, è il palco n° 14, I ordine, settore destro, posseduto prima dai marchesi Cusani e poi passato ai nobili Terzaghi Alessandro, Luigi e infine a Carlotta Terzaghi che lo lascerà all’Orfanotrofio femminile della Stella ovvero alle Stelline.
Nel contratto d’affitto steso il 4 agosto 1840 dal marchese Alessandro per la “Illustr.a Signora Marchesa Antonia Fassati nata Della Somaglia” si elencano nel dettaglio gli addobbi e i mobili esistenti nei due vani:
Nel Palco
Due tamburi di noce con gambe tornite lungo le due pareti del palco, coperti di pelle gialla con rispettivo schienale e due fianchi simili ed un cuscino al parapetto del palco pure simile.
Due poltrone di noce con sedile di tela a bracciuoli imbottiti coperti di pelle simile dei detti tamburi con tre cuscini volanti pure di pelle come sopra imbottiti di crine.
Due mezze tende di lustrino a due altezze cadauna, guarnite in frangia e passamano di seta operata fondo rosso, paneggiamento simile con fiocchi e cordoni e piccola mantovana interna pure simile.
Due altre mezze tende all’ingresso del palco di grôs cedrone guarnite in frangia a pompone celeste e cedrone, cordone e fiochi simili, mantovana pure simile, asta di legno dorato con anelloni simili, e due chiodi romani di lastra di ottone. Tappezzeria di lampas cedrone operata a rosoni con cornici in riquadro di legno a vernice perla filati in oro, borsa al parapetto del palco di lampas come sopra, e due luci ai fianchi dell’apertura interna pure riquadrati di cornici come sopra, e due bracciuoli di ottone con due così detti tendalini di cristallo.
Soppidaneo di tela stampato per l’estate
simile di stoffa di lana operato di Germania, con riquadro nel mezzo e bordura per l’inverno.

Nel Camerino
Un ciffone di noce impeliciato ad uso comoda; piccol cardenzino di pecchia a due antine, piccolo tavolino rotondo coperto di bajetta verde ad una sol gamba, un tamburino di noce coperto di motone verde; tre assi di pecchia poste sopra menzole; un porta abiti al muro di pecchia a sette posti, un sidellino di rame stagnato, e tre asse di pecchia colorite, una delle quali con pezzo snodato che servono per chiudere il palco.
Gli effetti consistono in una tappezzeria di lampasso, prezioso tessuto in seta, di color cedrone con cornici di legno color perla e oro, sgabelli e poltrone ricoperti di pelle gialla, tende di seta lucida con frange e passamanerie su fondo rosso, altre tende all’ingresso del palco di seta pesante con fiocchi e un’asta di legno dorato e infine due piccoli contenitori per quanto potesse servire ad una dama. Il retropalco ha uno chiffonnier a cassetti e una piccola credenza di abete a due antine, un tavolino coperto di tessuto verde con una sola gamba e un piccolo sedile di noce coperto di pelle sempre verde. Mensole e porta abiti, un secchiello di rame stagnato e infine delle assi di abete per chiudere il palco.
Con l’Unità d’Italia e la cessione da parte dello Stato della comproprietà del teatro al Comune di Milano, molte cose cambiano - e non in meglio: i proprietari raramente rispondono ai ripetuti inviti da parte della direzione del Corpo dei palchettisti a rinnovare e rendere maggiormente presentabili gli interni, togliendo tappeti logori e tendaggi impolverati. Nel 1872 l’architetto Luigi Broggi accompagna un “forestiero” a visitare la Scala rimanendo deluso e amareggiato dalle condizioni in cui trovano il foyer, il ridotto, alcuni palchi. In occasione del primo centenario, nel 1878, un restyling del teatro è d’obbligo: per ragioni igieniche si tolgono le tende sdrucite e piene di polvere e, come è oggi, si tengono soltanto le mantovane. Un particolare curioso: i parapetti, nel restauro, sono stati abbassati e il sindaco Giulio Bellinzaghi, in una circolare, invita “i signori palchettisti” che non se ne sono accorti a tagliare “i dossali delle sedie”, in quanto gli schienali troppo alti pregiudicano la visuale agli spettatori vicini e “deformano la decorazione del teatro ora rinnovato”.
Alla fine del secolo XIX e nei primi del Novecento il palco perde progressivamente la sua funzione di “luogo di vita”, quasi il prolungamento del salotto nobile, di locale di soggiorno e di incontri: si trasforma in un luogo dal quale assistere allo spettacolo. Non è un caso che nel 1907 i palchi del quinto ordine, riservati un tempo agli affittuari o all’impresario, vengano aboliti per far posto alla galleria.
Nella descrizione dei decori i documenti si fanno più sintetici. Nel contratto d’affitto del 1898 redatto dal Pio Albergo Trivulzio per Giulio Ricordi, relativo al palco n° 14, III ordine, settore sinistro, bastano poche righe per rilevare che nel palco si trovano due poltroncine, due panche con sedile imbottito e schienali pure imbottiti assicurati al muro, oltre che un tappeto, due cortine, due specchi; nel camerino, il consueto tavolo di pecchia con tiretto, un armadio basso di abete nel vano della finestra e sei attaccapanni di ferro appesi alla parete.
Il 7 ottobre 1907 Oreste Vigo, azionista e liquidatore fallimentare, scrive laconicamente al conte Guido Borromeo, locatore del palco n° 17, IV ordine, settore destro:
Mobili resi
2 rotoli tappeto (1 grigio - 1 rosso)
1 panca con braccioli stoffa porpora
2 tavolini con sottana
2 portabiti (1 a tre, 1 a due posti)
2 cuscini stoffa granata
5 taborel quadr. "   "
3    "     rot.     "   "
2 tende damasco granata con mantovana montata sopra legno
In una scrittura privata tra lo stesso Vigo e il conte, per la stagione 1909-10 a “canone locatizio di L. 1500” non sono più elencati i decori: “Il palco è consegnato con mobili fissi ed infissi in stato d’uso e come tale dovrà essere riconsegnato, salvo il naturale deperimento e gli effetti ritirati dal locatore. L’illuminazione tanto nel palco che nel camerino si farà colla luce elettrica che serve al Teatro, escluso qualunque altro genere di illuminazione, a spese dell’Affittuario.”
Dal 1883 la Scala è il primo teatro d’opera al mondo a essere illuminato secondo il Sistema Edison e i palchettisti si adeguano nel rinnovo degli impianti; scompaiono candelabri e lumi a gas, testimoni di un passato festoso e fastoso, appannato dallo scorrere degli anni. Tra i decori, i documenti segnalano la presenza di “becchi per la luce elettrica”.
Quando il teatro alla Scala verrà sottoposto al radicale restauro del 1930, i palchi, ormai espropriati, verranno rivestiti con damaschi rossi di seta, i panneggi e le mantovane saranno in color cremisi con gocce dorate, in un assetto che ricorda quello attuale. Lo spettatore di oggi può ritrovare i colori e i tessuti dei tendaggi o degli scranni di un tempo passando dal Museo Teatrale al Ridotto.
Pinuccia Carrer
 

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