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Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 15, I ordine, settore sinistro

Il palco della famiglia Barbò
L’origine del casato italiano dei Barbò si colloca intorno alla seconda parte dell’XI secolo, quando un nobile bavarese Adalberto Barbos, venuto in Italia al seguito di un imperatore tedesco, decise di non ritornare in patria ma di stabilirsi con la famiglia nelle terre di Soresina. Nei secoli a venire i Barbò parteciparono alle vicende politiche e militari di Cremona e Soresina finchè nel 1576 il Feudo rurale a quel tempo appartenente ai fratelli Cosimo e Cesare Affaitati fu ceduto al ventiquattrenne patrizio cremonese Camillo Barbò, loro parente. La storia di Soresina è ricca di fasti dovuti a donazioni e nobili iniziative di vari componenti della famiglia Barbò. Nel 1609 Soresina ottenne la qualifica di “borgo insigne” insieme alla ratifica sovrana del titolo di Marchese per il loro feudatario.
La casa della famiglia Barbò a Milano era al Broletto, in contrada dei Bossi ed era caratterizzata, dicono le guide del tempo, da un magnifico portale. La prima proprietaria del palco dal 1778 al 1784 è la marchesa Carolina Barbò nata Marzorati e coniugata nel 1747 con il conte Barnaba; sarà però il secondo marito Lodovico IV, ultimo marchese di Soresina, ad ereditare il palco. La loro figlia Francesca acconsentì ad un matrimonio di interesse e nel 1786 convolò a nozze con Adalberto I Barbò, discendente di un altro ramo della famiglia, fatto che permise di evitare l’interruzione della continuità araldica dei Marchesi di Soresina.
Nel 1809, in epoca napoleonica, Francesca condivide il palco con Anna Terzaghi, coniugata con il conte Luigi Caorelli, ricco possidente novarese, utente anche nel 1810. Dal 1813 fino ai moti del ’48 la contessa Francesca ritorna ad essere unica proprietaria.
Francesca Barbò lasciò erede il figlio Giuseppe (1787-1861) che troviamo titolare del palco tra il 1856 e il 1861: nato a Milano nella parrocchia del Carmine nel 1787, convolò a nozze nel 1834 con la nobile Camilla Resta; entrambi i coniugi si ricordano come benefattori degli Istituti per l´educazione dei sordomuti poveri di campagna della Provincia di Milano. Il patrimonio di Giuseppe si accrebbe notevolmente quando gli zii paterni Guiscardo e Giovanni, non avendo avuto figli, lo nominarono entrambi loro erede.
Dal 1867 il palco passò di padre in figlio: prima lo ereditò Adalberto (1835-1914), di Giuseppe e Camilla, coniugato con la nobile Maria Carminati Brambilla, poi nel 1915 il loro figlio Guiscardo <2.> (1873-1922), cavaliere di Malta, collezionista d´arte come molti della sua famiglia, già possessore dal 1907 del n° 5, stesso ordine e fila, che tenne fino al 1920.
Un borghese, invece, finisce la storia di questo palco nel 1920, quando si costituisce l’Ente autonomo Teatro alla Scala e inizia l’esproprio dei palchi da parte del Comune di Milano: è l’ingegnere Mario Benazzoli, socio accomandatario dello stabilimento tipografico Bellazzi e co-progettista di una Ferrovia aerea sospesa brevettata per comunicare Milano col Milanino, quartiere giardino a Nord della città.
(Creusa Suardi)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 17, I ordine, settore sinistro

Il palco di Olga e Umberto Giordano
Il palco presenta tre grandi famiglie di proprietari nell’arco di circa centotrent’anni.
Inizialmente furono i Castelbarco ad acquistare la postazione nel primo ordine, detenendone il possesso fino all’Unità d’Italia. Nella storia di famiglia, tante le notizie e gli aneddoti che ci rivelano una intensa passione per la musica e per le arti; basterà citare che alla fine del Seicento sono di loro possesso quattro Stradivari, tre violini (1685, 1699 e 1714, quest’ultimo poi trasformato in viola dal liutaio Jean-Baptiste Vuillaume) e un violoncello datato 1697; Francesca Simonetta (1731-1796), prima intestataria del palco e moglie del cugino Cesare Ercole Castelbarco Visconti Simonetta (1730-1755), fu ispiratrice del venerando Abate Parini. Nel periodo napoleonico il palco appartenne sempre alla casa Castelbarco per essere acquisito in eredità, nel 1813, dal nipote di Francesca, Cesare Pompeo (1782-1860), figlio del marchese Carlo Ercole e di Maria Litta Visconti Arese, donna bellissima e coltissima. Nella sua lunga vita, Cesare Pompeo amò le lettere e l’arte, comprò quadri, oggetti antichi e libri rari; scrisse una gran quantità di lavori letterari, da sonetti a tragedie, si dedicò alla pittura e alla musica e fu, oltre che abile violinista e prolifico compositore, collezionista di strumenti ad arco.
Il palco rimase proprietà di Cesare Pompeo fino alla morte; compare infatti la dicitura “eredi” per l’anno 1861, allorché il palco passò probabilmente al nipote Cesare di Castelbarco Albani (1834-1890).
Dal 1862 il palco ebbe proprietari d’eccezione, divenendo patrimonio privato di Vittorio Emanuele II, primo Re d’Italia (1861-1878. e poi di Umberto I, che lo lasciò nel 1893. Entra qui in scena non più un nobile, ma un imprenditore, Giuseppe Spatz proprietario e gestore dell’Hotel Et de Milan, unico albergo dotato di posta e telegrafo, in Via Manzoni, allora Corsia del Giardino; qui visse negli ultimi anni e morì Giuseppe Verdi il 27 gennaio 1901; il Commendatore Spatz donò successivamente gli abiti del compositore a "Casa Verdi". I cappelli hanno l´etichetta della Cappelleria Antonio Ponzone di Milano (Fornitore della Casa Reale) mentre la cappelliera reca in evidenza il celebre marchio della fabbrica Borsalino.
Spatz acquistò nel 1909, anno della sua morte, Villa “Fedora”, così denominata per onorare il genero, Umberto Giordano, marito della figlia Olga Spatz-Wurms (dal nome della madre, nobildonna russa Caterina Wurms): entrambi ereditarano il palco n° 17. Olga e Umberto Giordano si erano sposati nel 1896, a coronamento di una giovanile e duratura passione; durante la luna di miele, gli sposi desiderarono rendere omaggio a chi non era stato estraneo alla loro storia d’amore, recandosi a Genova dal “vecchio maestro” Giuseppe Verdi.
(Creusa Suardi)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 18, I ordine, settore sinistro

Dai Cusani ai Cotta
Dal 1778 al 1796 il palco appartenne al marchese don Ferdinando Cusani (1737-1816), figlio di Gerolamo Cusani e di Giuseppina de’ Silva, che morì di parto a 31 anni dandolo alla luce. Esponente di spicco del patriziato milanese, il marchese sposò nel 1765 Claudia Litta Visconti Arese, figlia dei pluripalchettisti Pompeo e Maria Elisabetta.
Dopo i Cusani, in epoca napoleonica, utente e titolare del palco è il conte Giambattista Mellerio (1725-1809), tra i più ricchi cittadini della città. Sposato con Clara Suardi, ebbe un’unica figlia, Giovanna, morta a soli 22 anni, sette anni dopo essersi sposata con Rinaldo Alberico Barbiano di Belgiojoso d’Este. Mellerio fu ai vertici della Congregazione di Carità voluta da Napoleone, per coordinare i Luoghi pii elimosinieri, destinati al contenimento della povertà e all´assistenza dei poveri e bisognosi.
Dal rientro degli austriaci sino al 1817 il palco fu proprietà del direttore della Polizia milanese Giulio Pagani (1764-1861), già segretario della Prefettura dipartimentale di Polizia dell´Olona durante il Regno d´Italia. Pagani conservò la carica anche sotto la dominazione austriaca e nel 1815 fu prefetto facente fuzione, abitando nell´edificio della Prefettura di Polizia milanese, in contrada S. Margherita 1126; sembra che i suoi interrogatori fossero pesanti, secondo la testimonianza della principessa patriota, Cristina Trivulzio di Belgiojoso.
Nel triennio 1818-1820 il palco torna all´aristocrazia, con il Conte Decio Arrigoni (1777-1847), del ramo degli Arrigoni di Esino; benefattore, istituì un´Opera pia a Verderio Superiore per l´elargizione di doti a fanciulle povere.
Dopo la sua morte, il palco è intestato a Angelo Cossa (1813-1869), barone, letterato e autore di epigrammi, coniugato con Teresa Bellini Bizzozero.
Nel 1858 è intestato a Giovanni Battista Cotta, che muore in quell´anno: dal 1859 giace in eredità finché passa al figlio Medardo Cotta, combattente nella prima guerra di indipendenza, sindaco di Trumello in Lomellina, dove risiedeva, e nominato nel 1877 Cavaliere dell´Ordine della Corona d´Italia. Nel testamento del 1905 egli lascia il palco a Paolina Cotta Ramusino, vedova Rava, titolare dal 1909 sino al 1920, anno dell´esproprio dei palchi da parte del Comune di Milano e della costituzione dell´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Creusa Suardi)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 6, II ordine, settore sinistro

Un palco giacente in eredità
La famiglia Crevenna, iscritta nel Libro delle famiglie nobili e titolate della Lombardia con i titoli di patrizi milanesi, signori di Biassono, conti, baroni e cavalieri del Sacro Romano Impero, ebbe per prima la proprietà del palco nella persona del marchese Francesco, morto all’incirca nel 1782. Rimasto giacente in eredità per otto anni, nel 1790 venne intestato alla figlia Giovanna, coniugata con il principe Cesare Rasini. Ci dicono le testimonianze del tempo, un poco pettegole, che la principessa, rimasta vedova nel 1793, era però da anni separata di fatto dal principe e che soggiornava spesso nell’Albergo della Posta sul lago di Lugano, “uno dei migliori della Svizzera”, per incontrare il suo amato e - sembra - futuro consorte, Pietro Taglioretti figlio del proprietario, Ma, si chiede il cronista Alessandro Giulini, avrebbe potuto una principessa sposarsi con un albergatore, seppur nobile stemmato?
Ma è proprio Pietro Taglioretti di Lugano, che compare come palchettista dal 1813 al 1820, dopo la breve parentesi che vede nel 1809 utente del palco Giacomo Galloni, nobile di Marano sul Panaro e nel 1810 il nobile Pinelli che ospitò Napoleone nel suo palazzo di Gavi.
Figlio, come si diceva, di uno dei più importanti albergatori della Svizzera (nella sua locanda della Posta a Lugano si riunivano periodicamente tutti i rappresentanti dei tredici cantoni), Taglioretti godette ai tempi di buona fama come pittore e architetto, partecipando nel 1788-89 allo studio per la facciata del Duomo e ricevendo commissioni importanti. Durante la Repubblica Cisalpina intraprese la carriera diplomatica e fino al 1804 risulta “incaricato d’affari” come rappresentante del governo svizzero a Milano, dove morì nel 1823.
Per i successivi cento anni la proprietà del palco è legata all’unione delle famiglie Albani, Castelbarco-Visconti-Simonetta e Litta-Visconti-Arese.
Teresa Albani, nata Casati (1770-1824) fu proprietaria per quattro anni sino alla morte. Nata da Ferdinando Casati, patrizio milanese e da Maria Giuseppa Aliprandi Carena, che morì dandola alla luce, andò sposa nel 1783 al principe Carlo Francesco Albani; tre i figli: Ferdinando Clemente, Beatrice e Elena Giuseppa (1794-1814), coniugata nel 1812 con Pompeo Litta Visconti Arese <2.> (1785-1835), palchettista dal 1825 fino alla morte. Pompeo ebbe una vita sentimentale piuttosto vivace; alla francese Joséphine Carrière, di diciannove anni più giovane, in una relazione non sancita dal matrimonio, nacquero Silvia e Carlo Pompeo. La prima moglie, la già citata Elena Giuseppa Albani, morì partorendo l’unica figlia Antonietta Maria (1814-1855). Pompeo si sposò l’anno successivo con Camilla Lomellina Tabarca e da lei ebbe cinque figli: Barbara, Antonio, Livia, Giulio e Albertina.
Alla morte di Pompeo il palco passò ad Antonietta Maria coniugata nel 1831 a Roma con il marchese Carlo Castelbarco Visconti Simonetta, dal quale, nei 41 anni di vita, ebbe ben sette figli; tra di essi, Cesare, successivo beneficiario del palco, dopo il lungo periodo di giacenza in eredità, dal 1856 al 1864.
Cesare Castelbarco Visconti Simonetta (1834-1890) prese coniugato nel 1856 con Cristina Cicogna Mozzoni (1838-1917), ebbe tre figli; al primogenito Carlo (1857-1907) passò il palco nel 1902, dopo la consueta giacenza in eredità. Carlo sposò nel 1895 Maria Angela Cavazzi della Somaglia (1871-1953) ed ebbe da lei cinque figli: Cesare Gian Luca Maria, Giovanna Luca Gina, Elena, Francesco, Guglielmo. Dopo la sua morte nel 1907, nessuno dei figli appare nominalmente possessore del palco che rimane giacente in eredità per altri tredici anni, quando nel 1920 si costituì l’Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano iniziò l´esproprio dei palchi privati.
(Creusa Suardi)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 11, II ordine, settore sinistro

Tesorieri, banchieri e numismatici
La storia del palco ha il suo inizio con uno dei cognomi più diffusi in tutta la Lombardia: Fumagalli. Secondo la pubblicazione Cognomi e famiglie del Bergamasco. Dizionario illustrato, avrebbe origini medievali da ricercarsi a Brongio, nella Brianza. La famiglia si diramò nel Milanese, nel Bergamasco e nel Comasco.
Al ramo milanese appartenne Marco Fumagalli (1718-1782), primo proprietario dal 1778 sino alla morte. Tesoriere regio, nel 1780 ottenne dal governo asburgico il diploma di nobiltà per sé e i suoi discendenti. Il figlio Camillo, collezionista e amante dell´arte rinascimentale, fu confermato nel titolo nel 1816, ma il palco restò di sua proprietà solo sino al 1802, quando venne acquistato da Annibale Caccia, come risulta dall’atto registrato il primo settembre 1802 da Brentano De Grianty, Direttore dei Teatri e degli Spettacoli, al quale il “cittadino” Caccia si era rivolto chiedendo di essere incluso nel registro dei Proprietari dei palchi. Annibale sposò Margherita Pinzio dalla quale ebbe sette figli, tra i quali Marianna, suora Salesiana in Santa Sofia a Milano, Giulia, andata in sposa al Marchese Carlo Castiglioni Stampa, e Giuseppe, Cavaliere d’Onore e Devoto del Sovrano Militare Ordine di Malta. Solo nel 1810 compaiono altri utenti del palco, il cavaliere Blasco de Orozco, gà ministro nella Repubblica Cisalpina, e Tommaso Nava, nominato conte da Napoleone nel 1811.
Nel 1815, titolo e palco vennero ereditati dalla vedova Margherita. Rimaritata con Giovanni Perego, ingegnere municipale, la contessa lasciò il palco al figlio Giuseppe Perego, titolare dal 1856 al 1863.
Dal 1864 al 1887 nuovo proprietario fu il ginevrino Carlo Francesco Brot (1823-1895), banchiere, amministratore delle ferrovie dell’Alta Italia, deputato al parlamento dal 1863 al 1873, appartenente ad una comunità di banchieri protestanti di ascendenza svizzera o tedesca - come i Gruber, Mylius, Vonwiller - attiva nella Milano del secondo Ottocento. Nell’anno 1849 era stato nominato “Cavaliere di prima classe” nel Real Ordine del Merito. I gradi riconosciuti, dopo il Gran Maestro, erano cinque: Gran Croce, Commendatore, Cavaliere di prima classe, Cavaliere di seconda classe e Decorato della Croce di quinta classe. I gradi di Cavaliere di prima e seconda classe conferivano all’insignito l’appartenenza alla Nobiltà, non trasmissibile però ai discendenti.
Dal 1888 al 1907 il palco appartenne alla fiorentina Emma Weill-Schott, nata Polacco (1855-1927), di famiglia ebraica. Emma sposò in prime nozze il banchiere ebreo di origine tedesca Simone Weill-Schott, figlio di Maurizio Weill e Babetta Schott, fondatore insieme ai fratelli Alberto e Filippo della seconda maggiore banca ebraica milanese (la prima e la più antica è quella di Zaccaria Pisa) e in seconde nozze il generale Luigi Francesco Cortella, di cui rimase vedova. Fu da subito sostenitrice di Benito Mussolini, nominandolo suo erede universale (con testamento del 18 ottobre 1927), eccezion fatta per una donazione all’Ospedale Maggiore.
Dal 1908 al 1920, ultima proprietaria del palco fu Isabella Bozzotti (1853-1925), appartenente a una facoltosa famiglia borghese di imprenditori del settore della seta. Nel 1873, Isabella sposò Francesco Gnecchi Ruscone, di famiglia originaria di Verderio Superiore (Lecco) con attività nello stesso ramo. Attraverso innovazioni del processo produttivo e una pronta capacità di adattarsi ai mutamenti del mercato, gli Gnecchi alla fine dell’Ottocento risultavano tra i maggiori produttori di seta della Lombardia, regione leader nel commercio europeo, con una produzione di due volte e mezzo quella di tutte le altre nazioni del continente.
Nel 1885 Francesco acquistò il palazzo in via Filodrammatici 10 appartenuto all’antica casata dei Visconti Aimi (oggi sede di Mediobanca), una delle dimore più eleganti e sfarzose della città.
Pienamente inseriti nella società altolocata di Milano e proprietari di una notevole fortuna, gli Gnecchi condussero una vita agiata che permise loro di dedicarsi, oltre che a iniziative culturali, alla filantropia e al mecenatismo. Se da una parte la famiglia donò a Verderio Superiore una nuova chiesa parrocchiale, il municipio, il cimitero, l’asilo infantile, la fonte Regina e altre strutture socialmente utili, dall’altra Francesco si affermò come insigne studioso, uno dei padri della moderna scienza numismatica in Italia. A lui si deve la fondazione della «Rivista Italiana di Numismatica» e la creazione a Milano della Società Numismatica Italiana. La sua collezione di monete romane, acquistata dallo Stato Italiano, costituisce la parte più importante dell’esposizione numismatica al Museo Nazionale Romano. Il figlio Vittorio (1876-1954) si distinse per il talento musicale e fu un noto compositore di opere teatrali. Isabella Gnecchi fu l´ultima intestataria: nel 1920 si costituì l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano iniziò l´esproprio dei palchi privati.
(Creusa Suardi)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 14, III ordine, settore sinistro

Il palco del Pio Albergo Trivulzio
Solamente per il 1809 e il 1810 l’utente del palco è una persona fisica: si tratta di Alberico Barbiano da Belgiojoso (1725-1813), già titolare del n° 16 del I ordine destro, del n° 4 del II ordine destro e del n° 18 del IV ordine sinistro. Figlio di Antonio e di Barbara D’Adda, vedovo dal 1777 di Anna Ricciarda d’Este, il già ottantaquatrenne Alberico aveva ormai lasciato alle spalle la sua brillante carriera militare e diplomatica, ma ancora fino all’anno precedente era stato proposto da Eugenio di Beauharnais come Senatore del Regno d’Italia, a testimonianza della sua consolidata notorietà e della sua affidabilità politica. A Belgioioso, nei pressi di Pavia, nel palazzo di famiglia, lontano dal turbinio milanese, muore alla presenza dell’amico e confidente Ugo Foscolo.
Per i restanti 141 anni della sua storia il palco è proprietà di un’opera assistenziale, il Pio Albergo Trivulzio, che prende il suo nome dal Principe Antonio Tolomeo Trivulzio (1692-1767), figlio di Antonio Teodoro Gaetano e Lucrezia Borromeo, sposato a Maria Archinto dalla quale si separò nel 1751, uomo di profonda cultura e di illuminati ideali filantropici.
Già palchettista nel Teatro Ducale, lasciò erede universale nel testamento del 26 agosto 1766 “l’Albergo dei poveri che dovrà subito dopo la mia morte erigersi in questa città di Milano nel mio palazzo d’abitazione”. La prima sede dell’Albergo dei poveri fu infatti il palazzo Trivulzio in contrada della Signora; bombardato nel 1943, si trovava più o meno di fronte all’attuale biblioteca Sormani, con ingresso anche in via Francesco Sforza, allora Naviglio Grande.
Posto sotto tutela della curia, ospitò dal 1771 quelli che vennero chiamati i vegiunn, i vegliardi.
Un nome illustre si lega alla storia settecentesca del Pio Albergo ed è quello di Gaetana Agnesi, matematica e scienziata, buona dilettante di musica oltre che sorella dell’illustre compositrice Teresa Agnesi. Fu lo stesso arcivescovo di Milano, il cardinale Pozzobonelli, a nominarla per il suo afflato mistico e le sue doti filantropiche "visitatrice e direttrice delle donne, specialmente inferme"; Gaetana per ventisei anni, fino al 1799, anno della morte, diresse la sezione femminile, trasferendosi in via della Signora. Possiamo immaginare Gaetana andare alla Scala proprio nel palco del Pio Albergo. Ovviamente, il presenziare alle rappresentazioni scaligere era prerogativa dei dirigenti o dei consiglieri di amministrazione dell’Opera pia, quegli stessi che potevano affittare il palco ricavando proventi per investimenti ulteriori. Per un ventennio fu locatario l´ingegnere Giuseppe Marozzi, noto e raffinato cultore d´arte, al quale subentrò nel 1889 Giulio Ricordi, dopo la strenua ricerca di un palco che, in una simile posizione centrale, attigua agli uffici di Casa Ricordi, potesse rimpiazzare l´altro dello stesso ente benefico, il palco n° 17, III ordine destro, affittato dal padre Tito per un decennio dal 1874 fino alla vendita avvenuta nel 1884. Esigente e abile a contrattare sul prezzo, così Giulio si lagnava delle condizioni dismesse del palco: "... per ben due volte i sedili laterali si sfasciarono! ... E così mentre sul palcoscenico si passavano fatti tragici, nel Palco suddetto avveniva una scena comica".
Gestire l’Opera pia non era semplice: i vegiunn erano moltissimi e già alla fine del Settecento Piermarini, architetto scaligero, aveva aggiunto un piano all’edificio. Nell’Ottocento la struttura, in continua espansione con l’annessione di case vicine, sembrò esplodere accogliendo più di mille ospiti; ad inizio Novecento la sede era diventata inadeguata e tra il 1907 e il 1910 venne quindi realizzato un nuovo Pio Albergo Trivulzio con progetto firmato dagli ingegneri Carlo Formenti e Luigi Mazzocchi. Venne scelta la strada che portava verso Baggio e l’albergo Trivulzio venne soprannominato – così è noto ancor oggi – la Baggina.
Il Pio Albergo fino al 1885 risulta intestatario di un altro palco di III ordine, il n° 17 della fila destra poi venduto a Francesca Pestalozza Paletta. Il palco in oggetto invece viene tenuto fino al 1920 quando con la costituzione dell’Ente autonomo Teatro alla Scala si avvierà a conclusione la storia della proprietà privata dei palchi.
(Creusa Suardi)
 
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Palco n° 15, III ordine, settore sinistro

Una famiglia e un ingegnere: i Pertusati-Gropallo e Angelo Bonomi
La storia del palco inizia con Luca Pertusati (1699-1779), figlio di Carlo e Lucrezia Gaffuri, conte di Castelferro e di Comazzo, patrizio milanese, sposato con Francesca Maria Pallavicino Trivulzio e proprietario anche del palco n° 18, III ordine sinistro che, alla sua morte, verrà ereditato dal figlio Carlo. Questo palco invece passa al fratello minore Gaetano (1750-1829), coniugato con Teresa Visconti: gli sposi si fecero costruire nella Contrada della Spiga (oggi via della Spiga 24-26) uno splendido palazzo con giardino dall’architetto svizzero Simone Cantoni, “di stile puro sul gusto dei Greci”, narrano le cronache del tempo, affacciato sul Naviglio e purtroppo distrutto dai bombardamenti della II guerra mondiale. Teresa era donna religiosa che dedicò tutta la vita alla cura degli ammalati, trovando nel marito un sostegno e un complice. La vocazione umanitaria di Gaetano è testimoniata dal lascito testamentario di 1.500 Lire a favore dell’Ospedale Maggiore di Milano. La coppia ebbe un’unica figlia, Laura, che aveva sposato il marchese Angelo Vincenzo Gropallo, ambasciatore del Re di Sardegna a Costantinopoli e dal quale aveva avuto Luigi, Giovanna, Gaetano, Paola, Anna e Maria.
Giovanna Gropallo aveva sposato nel 1830 a Uberto Visconti di Modrone <1.>, per cui, morti i titolari, il palco dal 1856 risulta giacente in eredità prima a nome dei Visconti i Modrone e poi di Laura Pertusati fino al 1876 per passare nel 1877 a suo figlio, marchese Gaetano Gropallo. Sposato con Adele Cagnola, egli lascerà il palco ai tre figli Vincenzo, Laura e Camilla, che lo erediteranno formalmente nel 1907 e lo terranno fino al 1911.
Agli aristocratici subentra l’ingegnere Angelo Bonomi, brillante imprenditore, ideatore e titolare degli omonimi magazzini commerciali per i quali fece costruire negli anni 1902-1906 l’edificio in corso Vittorio Emanuele 8, la cui facciata è a tutt’oggi esistente, seppur spostata in piazzetta Liberty all’epoca dei lavori dell’architetto Giovanni Muzio, con i finestroni e le caratteristiche colonne in ghisa.
Bonomi è intestatario sino al 1920, anno in cui si crea l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano espropria i palchi privati.
(Creusa Suardi)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 18, IV ordine, settore sinistro

Dai Belgiojoso ai Bigatti, passando per i Serbelloni
Dall´apertura del Teatro il palco fu di proprietà dei Barbiano di Belgiojoso, una delle più antiche e illustri famiglie nobili dell´Italia settentrionale attestata dal Medioevo. La famiglia è ricordata anche da Dante nel Purgatorio (Canto XIV) con l´antico predicato feudale Cunio.
Il primo ad assicurarsi il palco all´asta del 14-15 maggio 1778 è il Conte Generale di Barbiano di Belgiojoso, ovvero il Principe Alberico (1725-1813), figlio di Antonio e della contessa Barbara D´Adda. Intrapresa sin da giovane la carriera militare, prendendo parte alla Guerra dei Sette Anni. divenne generale dell´esercito asburgico e assunse il comando della casa militare dell´arciduca Ferdinando, governatore del ducato di Milano. Dai contemporanei era creduto il prototipo dei Giovin Signore pariniano; si diceva che il Parini tardasse a pubblicare Il Giorno perché ammonito da lui, riconosciutosi nel protagonista: ma la sua attività militare, il carteggio col fratello Ludovico (1765-1789) a cui, con acuto spirito di osservazione e un certo piacevole umorismo, descrive la vita dell´alta società milanese, tolgono credito alla diceria. Avendo sposato nel 1757 Anna Ricciarda d´Este, figlia di Carlo Filiberto II d´Este, unì la propria signoria a quella della moglie e associò al nome della famiglia quello della consorte assumendo il cognome Barbiano di Belgiojoso-Este.
Dal 1787 al 1791, al fianco di Alberico appare il fratello Ludovico (1728-1801), che intraprese la carriera militare nell´esercito imperiale, partecipando anch´egli come il fratello alla Guerra dei Sette Anni. Richiamato a Vienna, fu nominato ministro plenipotenziario austriaco in Svezia nel 1765, ambasciatore imperiale a Londra nel 1769 e vicegovernatore dei Paesi Bassi austriaci tra il 1784 e il 1787. A lui si deve la costruzione di Villa Belgiojoso a Milano, opera di Leopold Pollack terminata nel 1796, dimora di Napoleone Bonaparte e successivamente del viceré Eugenio di Beauharnais, oggi sede della Galleria d´arte moderna.
Nel 1809 è utente il marchese Guiscardo Barbò di Soresina mentre nel 1810 il conte massone Pietro Calepio. Nel 1813, anno della morte di Alberico, il palco venne acquistato dalla famiglia Serbelloni, importante famiglia patrizia milanese, probabilmente originaria di Vimercate. La contessa Matilde Serbelloni, nata Attendolo Bolognini, viene indicata come prima proprietaria della famiglia: il cognome Serbelloni proviene dal matrimonio con Marco Serbelloni, figlio del duca Gabrio e della duchessa Maria Vittoria Ottoboni e fratello del più famoso Gian Galeazzo. Marco aveva abbandonato lo stato ecclesiastico per Matilde e fino al 1847 il palco rimase alternativamente in loro possesso per poi passare a Giuseppe Serbelloni fino al 1869.
Dal 1870 al 1920 sono i Fratelli Bigatti ad essere proprietari del palco, condiviso nei primi diciannove anni con il cavalier Felice Buzzi, funzionario della Banca nazionale di Milano. I fratelli Ambrogio e Carlo Bigatti , citati come palchettisti dal 1873, erano comercianti con negozi di oreficeria in contrada dei Mercanti e di mobili e tappezzeria in contrada S. Prospero. Erano tanti tra fratelli e sorelle (ad esempio, palchettista è anche Antonio <1.>), ma è Ambrogio, morto nel 1904, quello che regge il palco per maggior tempo. Potrebbero corrispondere ai suoi figli i nomi di Antonio <2.> e Carlo <3.> Bigatti che le fonti designano come titolari per eredità testamentaria dal 1904 sino al 1920, anno in cui il Comune inizia l´esproprio e si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Creusa Suardi)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 1, I ordine, settore destro

Un palco per due famiglie
Buona parte della storia del palco vede la famiglia Odescalchi come sua proprietaria. Di origini comasche, gli Odescalchi raggiunsero fama e potere grazie all’elezione nel 1676 al soglio pontificio di Benedetto Odescalchi che assunse il nome di papa Innocenzo XI: unico maschio, assicurò continuazione dell’asse ereditario adottando i figli di sua sorella Lucrezia, la quale aveva sposato Alessandro Erba, nobile di Como; per questo motivo la famiglia è nota come Erba-Odescalchi.
Dal 1778 alla sua morte Marianna Barbara Erba Odescalchi, nata Piatti (1732-1814) mantenne la proprietà e la frequentazione del prestigioso palco, se non nel 1809 e 1810, in cui venne gestito dal faccendiere-caffettiere Giuseppe Antonio Borrani (1779-1831), subaffittuario della bottiglieria di fronte al Teatro alla Scala dal 1799 e già proprietario del Caffè del Teatro; un locale che fondato da Francesco Cambiasi passò poi a Giovanni Martini nel 1832, divenendo il patriottico Caffé Martini.
Marianna sposò nel 1748 il Marchese Luigi Erba Odescalchi (1716-1788). La coppia ebbe ben 13 figli, tra cui Antonio Maria (1750-1832), coniugato con Maria Christina Victoria von Khevenhüller-Metsch (1760-1825). Questi subentrò dal 1824 al 1838 come proprietario del palco al proprio figlio, ancora un Luigi (1790-1871), che ne aveva usufruito solo dal 1815 al 1823, poiché trascorse gran parte della sua vita a Vienna dove aveva sposato Eleonore Szeyffert.
Dopo la morte di Antonio Maria, il palco passò ad un’altra figlia di Antonio Maria, Carolina (1793 - dopo il 1857), dama dal 1817 dell’Ordine cavalleresco femminile della Croce Stellata. Le nobildonne aspiranti all’intrigata e compassata vita di corte asburgica erano (e sono ancor oggi) ammesse all’Ordine solo dopo aver provato di possedere, se nubili, 16 quarti di nobiltà; se sposate, di averne 8 dalla parte del marito. In tal senso, Carolina era in piena regola, data l’origine e visto che il marito, sposato nel 1814, era il conte Pietro Locatelli de Lanzi.
Tra il 1846 e il 1848 il palco passa ad un’altra Carolina Erba Odescalchi, nata Grassi (1803-1857), moglie di Giuseppe, fratello minore di Luigi; gli Odescalchi ne saranno titolari sino al 1857, quando venne acquistato dal duca Raimondo Visconti di Modrone (1835-1882), figlio di Uberto <1.> e Giovanna Gropallo.
Non avendo avuto una discendenza diretta, Raimondo lasciò come erede del palco il fratello Guido Visconti di Modrone (1838-1902), consigliere comunale, senatore del Regno e presidente della Banca Lombarda. Sposato a Bologna nel 1870 con Ida Renzi (1850-1915), Guido ebbe quattro figli: Uberto <2.>, Giovanni, Giuseppe, Guido Carlo. Nel luglio del 1897 il Teatro La Scala sospese le rappresentazioni, in seguito alla delibera del Consiglio Comunale che revocava il finanziamento pubblico da parte del Comune. Guido, insieme a un gruppo di facoltosi cittadini, si fece promotore della costituzione della Società anonima per l’esercizio del Teatro alla Scala, della quale fu presidente, con il fine di gestire gli spettacoli senza fini di lucro e con elevati obiettivi artistici. Il Consiglio di amministrazione formato da Arrigo Boito, Ettore Ponti (futuro sindaco di Milano), Luigi Erba, Luigi Borghi e Giuseppe Visconti di Modrone, nominò direttore generale Giulio Gatti Casazza che, come l’impresario di una volta, fosse responsabile degli spettacoli ma senza alcun interesse speculativo, affiancato da un direttore dell’orchestra e artistico (Arturo Toscanini).
Alla morte del padre, Uberto <2.> ne continuò l’opera, rimanendo alla presidenza della Società esercente sino al 1916. Il palco passò al fratello Guido Carlo Visconti di Modrone (1881-1967); rimase della famiglia sino alla costituzione dell´Ente autonomo Teatro alla Scala e all´esproprio da parte del Comune di Milano.
(Creusa Suardi)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 16, I ordine, settore destro

Un palco destinato ad un turbinio di proprietari
La storia del palco è piuttosto articolata. Da un primo “strapotere” della famiglia Belgiojoso fino all’anno 1857, si passa ad avere cinque o sei proprietari diversi nell’arco degli ultimi sessant’anni.
Nel 1778 possedette il palco Antonio Barbiano di Belgioso (1693-1779), marito della contessa Barbara d´Adda, consigliere privato di Maria Teresa d’Austria che lo nominò principe del Sacro Romano Impero. Egli condivise la proprietà con i due figli, il principe Alberico <1.> (1725-1813) e Ludovico (1728-1801), militare e diplomatico, che arricchì Milano della splendida Villa che domina via Marina, oggi nota come Villa Reale, dove Napoleone ebbe la sua residenza. Nel 1809 appaiono come utenti Luini e Bellerio Madame; la prima, Carolina Zutti Luini, è la moglie di Giacomo Luini, funzionario della Polizia milanese, mentre la seconda è la nobile milanese Maria Sopransi coniugata con il barone Andrea Bellerio, magistrato del Regno d’Italia e madre dei patrioti Carlo e Giuditta Bellerio Sidoli; rimasta vedova, la Bellerio si risposò nel 1827 a Basilea con Achilles Bischoff. La Luini compare nel palco anche nel 1810.
Nel 1813, quando l´impero napoleonico inizia a vacillare, molti nobili proprietari ritornano ad occupare il proprio palco. Così è per il principe Alberico <1.> che, coniugato con Anna Ricciarda d’Este, ne aveva assunto il cognome: infatti nelle fonti compare come Principe di Belgiojoso d´Este. Militare come il padre e il fratello, colto e amante dell´arte - la sua biblioteca andrà ad arricchire la Trivulziana - visse nel palazzo di Belgiojoso vicino a Pavia, dove morì assistito al capezzale dall´amico Ugo Foscolo. A lui si deve anche il palazzo che domina la piazzetta Belgiojoso, progettato nel 1772 dall´architetto della Scala, Giuseppe Piermarini.
Solo nel 1840 il palco, rimasto per oltre due decenni in eredità giacente per contenziosi familiari, vede titolare Ercole Barbiano di Belgiojoso d´Este (1771-1847), abate e militiare mancato, coniugato con Carolina Pessina, benefattrice e ammiratrice di Ugo Foscolo.
Alla sua morte, il palco passò ai figli Berengario (1810-1867), Pompeo (1800-1875), Ludovico (1814-1880) e, forse, alle figlie Ricciarda (1802-1879) e Lucrezia (1803-1870).
Dal 1858 si apre un nuovo scenario perché ai nobili Belgiojoso subentrano esponenti del ceto medio. Sino al 1879 proprietari sono i “borghesi” Conti, dapprima con Luigi, membro della Cassa di risparmio di Lombardia, poi con il figlio Emilio, componente della Guardia Nazionale.
Dal 1880 al 1893 titolare è il banchiere Francesco Compagnoni, seguito dal 1890 dagli eredi e dal 1894 da Vittorio Finzi, industriale minerario, le cui figlie Ada sposata Guastalla e Ida sposata Levi mantennero il possesso fino al 1919.
Nel 1920 il palco passa all´industriale laniero Pietro Celli ma in quello stesso anno si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune inizia l’esproprio dei palchi privati.
(Creusa Suardi)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 3, II ordine, settore destro

Il palco “infecondo”
Quella del palco n° 3 del II ordine “alla destra entrando” è la storia di proprietari che videro esaurita nel corso di un secolo la loro linea di discendenza, per mancanza di eredi.
La storia ha inizio con la famiglia Dati della Somaglia. L’accostamento dei cognomi avvenne nel 1628, allorché il conte Antonio, discendente di Bassano Cavazzi della Somaglia, morto senza figli, nominò erede il pronipote Paolo Dati, lasciandogli - non senza polemiche parentali dei Cavazzi - i possedimenti terrieri nel lodigiano, il patrimonio e la grande villa di Orio Litta: un unico vincolo, ovvero assumere oltre al proprio il cognome Della Somaglia, onde passarlo ai discendenti. Paolo Dati prese così un nome e un titolo non propri e divenne, quasi Giano bifronte, il conte Antonio Dati della Somaglia. Dal suo primogenito di secondo letto, Antonio Giovanni Battista e da Antonia Barbiano di Belgiojoso, nacque il barone e conte Antonio Dati della Somaglia (1748-1816), primo proprietario del palco; sposato con Anna Agostini, non ebbe figli e fino al 1824 il palco rimase giacente in eredità, anche se di certo non rimase vuoto; sicuramente lo frequentavano la vedova – che morì ottantaduenne nel 1842 - e la sorella Camilla, unica parente per linea diretta, morta nel 1824. Legato ai Dati della Somaglia da vincoli parentali per parte di madre fu Pietro Verri (1728-1792), primo figlio di Gabriele e Barbara Dati della Somaglia, figlia di Paolo, e cugino di Antonio e Camilla oltre che pronipote di Antonio Giovanni Battista: scrisse Verri che dopo l’apertura del Teatro alla Scala era solito recarsi nel palco tutte le sere. Verri aveva anche affittato con la marchesa Beccaria il n° 16, I ordine destro, dei Belgiojoso.
Nel 1825 il palco venne acquistato dal nobile Siro De Pietri (1792-1878), che nel 1821 aveva già ereditato dal padre Carlo il n° 15 dello stesso ordine. Don Siro sposò Antonia Perego di Cremnago, figlia di Luigi e sorella di Gaetano, a loro volta proprietari del n° 12, III ordine destro. De Pietri mantenne il palco n° 3 fino al 1839 mentre aveva ceduto quattro anni prima il n° 15. Anche Siro e Antonia non lasciarono eredi.
Dal 1840 al 1859 il palco fu dunque appannaggio di Beatrice Orsini (1784-1861), figlia del marchese Egidio Gregorio Orsini, di Roma, proprietario dal 1778 al 1818 del palco n° 6 del I ordine sinistro. La principessa Beatrice, coniugata nel 1803 con Antonio Valcárcel y Pascual del Pobil, conte di Lumiares, principe Pio di Savoia, rimasta vedova nel 1824 e senza figli, lasciò il proprio patrimonio, ma non il palco, in eredità al figlio della cognata, Juan Jacobo Falcó y Valcárcel.
Dal 1860 fino al 1872 furono i coniugi Ludovico Barbiano di Belgiojoso (1814-1880) e Amalia Rigamonti (1832-1880) a condividere il palco. La nobile e potente famiglia vede nel nonno di Ludovico, Alberico, uno dei primi titolari dei palchi della Scala già alla sua apertura nel 1778. Il padre di Ludovico, Ercole, ereditò negli ultimi anni della sua vita (dal 1840 al 1847) proprio quel palco nel quale l´affittuario Pietro Verri si dilettava nell’ascolto della musica con l’amica marchesa Beccaria. Con una così lunga florida discendenza di palchettisti, il destino non poté privare i due coniugi, Ludovico e Amalia, di “almeno” un erede e li volle genitori nel 1872 di Beatrice, che sarebbe rimasta presto unica proprietaria del palco, in seguito alla morte, a pochi mesi di distanza, dei genitori. La giovane convolò a nozze nel gennaio 1902 con Emanuele Greppi, conte di Bussero e Corneliano, senatore del Regno, uno fra gli esponenti più rappresentativi del liberalismo moderato. Amante degli studi storici, in particolare del Settecento lombardo, fu curatore del Carteggio di Pietro e Alessandro Verri partendo proprio da alcune lettere contenute nell’archivio della sua famiglia.
Neppure Emanuele Greppi e Beatrice Barbiano di Belgiojoso ebbero figli; ma ormai la storia della proprietà privata era finita con l´esproprio nel 1920 da parte del Comune di Milano e la nascita dell’Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Creusa Suardi)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 10, II ordine, settore destro

La complessa storia di un palco
La storia del palco è caratterizzata da diversi anni di comproprietà, grazie a complicati rapporti famigliari. Si inizia già nel 1778, quando il palco appare condiviso da Giovanni Battista Moriggia e Galeazzo Bossi; la storia dei Bossi è strettamente legata a quella dei Moriggia.
La famiglia Bossi vanta una lunga tradizione, che la riporta nel XII secolo con consoli e podestà a Milano, Pavia e Padova; Galeazzo Bossi <1.> (1699-1779?), figlio di Fabrizio Benigno (fratello di Carlo, vescovo di Vigevano), decurione e vicario di provvisione sposa Eleonora Della Porta dei conti di Rovello, e dal loro matrimonio nascono Giovanni (1735-1802), marchese di Musso e Benigno <1.> (1731-1815), decurione, vicario di Provvisione e Imperial Regio Ciambellano, morto senza figli maschi.
I Della Porta del ramo di Eleonora derivavano dai Della Porta comaschi. Antonio, ultimo erede della famiglia (siamo a fine Seicento), non avendo avuto discendenza, nomina suo erede il banchiere Giovanni Antonio Parravicino: nel 1721 quest’ultimo muore scegliendo come erede il nipote conte don Giovanni della Porta, figlio di sua sorella Maria. Nel caso in cui, a sua volta, egli non avesse avuto discendenza, l’eredità sarebbe andata all’Ospedale Maggiore di Milano. Nel 1763, Giovanni morì senza prole; ma i nipoti, marchese don Giovanni Battista Moriggia Della Porta (?-1786) e le sorelle Della Porta, marchesa donna Marianna Corbella e marchesa donna Eleonora Bossi rivendicarono i loro diritti ereditari e il possesso del cospicuo patrimonio di cui faceva parte il palazzo in Via del Giardino dirimpetto alla chiesa di S. Pietro Collarete. Galeazzo Bossi e Giovanni Battista Moriggia Della Porta sono quindi cognati.
Dal 1780 al 1786 il palco rimase dei tre fratelli, fino al 1787 quando si aggiunge la figlia di Cosimo Cesare Livia Caimi Moriggia, vedova di Alfonso. Si succedono quindi molti comproprietari: i marchesi don Benigno e Fratelli Bossi, il Conte Cesare e fratello Giulini e la marchesa Marianna Della Porta Corbella. I primi erano figli di Galeazzo Bossi e di Eleonora Della Porta già citati in precedenza. La famiglia Giulini entra nella storia del palco tramite Virginia Moriggia, figlia di don Cosimo Cesare marchese di Torremaggiore, andata in sposa nel 1748 a Giorgio Giulini (1714-1780), importante storico italiano e musicista, protagonista della Milano settecentesca, partecipe di tutte le iniziative accademiche che caratterizzarono la città; frequentò Gaetana e Teresa Agnesi, incrementò le attività teatrali nella sua villa di Boffalora, partecipò attivamente al rinnovamento musicale guidato da Giovanni Battista Sammartini e dalla sua “corte”, componendo sei sinfonie; contribuì con il conte Imbonati alla resurrezione dell’Accademia dei Trasformati. Ma la sua principale attività fu quella di storiografo: Giulini diede vita alle Memorie spettanti alla storia al governo ed alla descrizione della città e della campagna di Milano ne’ secoli bassi, in nove volumi usciti tra il 1760 e il 1765. A lui e a molti altri si deve una lenta ma progressiva presa di coscienza civile, che portò Milano a divenire la patria dei Verri, di Beccaria, di Parini.
La coppia Giulini-Moriggia ha cinque figli, tra i quali i citati fratelli Giuseppe e Cesare Giulini (1755-1820). Fu Cesare ad aggiungere il cognome Della Porta essendogli pervenuta la primogenitura di quella famiglia. Cesare come tutti i Giulini si afferma tra i protagonisti della vita cittadina: giureconsulto dal 1789, podestà di Milano dal 1814 al 1821, iscritto per primo al collegio dei nobili giurisperiti. Dopo anni di condivisione, eredita il palco nel 1809 per passarlo poi, nel 1823, a Giorgio (1784-1849), il figlio avuto dal matrimonio con Anna Dal Verme. Anche Giorgio ricopre importanti ruoli politici, come membro della Reggenza di governo dopo la Restaurazione. Nel 1812 sposa Maria Beatrice dei principi Barbiano di Belgiojoso d’Este e dal matrimonio nascono Cesare, Anna, Giovanna e Rinaldo.
Dal 1856 i figli detengono il possesso del palco: Cesare (1815-1862), membro del Governo Provvisorio di Lombardia e Senatore del Regno, partecipa alle Cinque Giornate del 1848 e dispone alla morte un legato di 4000 fiorini a favore delle famiglie dei caduti nella guerra del 1859 e 1000 fiorini per l’acquisto di nuove uniformi per la Guardia Nazionale di Milano. Dal matrimonio con Giulia Carcano nasce un’unica figlia, Maria Beatrice. Senatore a vita dal 1861, compare tra i fondatori del giornale La Perseveranza, particolarmente importante nella storia della musica per la collaborazione del critico musicale Filippo Filippi.
La figlia Anna (1818-1883) sposa Camillo Casati (1805-1869), fratello minore di Gabrio e Teresa Casati Confalonieri. Cinque i figli di Anna e Camillo: Rinaldo, Agostino, Giorgio, Gian Alfonso e Beatrice. Ad Anna Casati va anche la Villa San Martino di Arcore, secentesca dimora marchionale già dei Giulini, acquistata nel 1974 da Silvio Berlusconi. Infine Giovanna (1821-1892) sposa nel 1839 Giovanni Battista Camozzi de Gherardi Vertova (1818-1906). Dal 1858 per vent’anni, il palco diventa esclusiva della madre Maria Beatrice Barbiano di Belgiojoso d´Este (1794-1871), figlia di Rinaldo Alberico ed Elisabetta Mellerio.
Dal 1878 al 1883 il palco torna prima nelle mani di Anna per passare dall’anno della sua morte (1884) al 1905 ai figli Rinaldo Casati (1844-1898), prefetto di Milano e senatore, Agostino (1847-1924), assessore e consigliere comunale di Milano, Giorgio (1848-?), ufficiale di cavalleria, coniugato con Antonietta Negroni Prati Morosini, padre di Anna Cristina, Gian Alfonso (1854–1890), coniugato con Luisa Negroni Prati Morosini, padre di Camillo Casati Stampa di Soncino, e infine Beatrice (1845-?), seconda moglie di Luigi Agostino Casati.
Dal 1906 al 1915 non più legami di sangue legano i nuovi con i precedenti possessori. Titolare è la famiglia Crespi con Cristoforo Benigno Crespi (1833-1920), commendatore, imprenditore tessile, costruttore della centrale idroelettrica di Trezzo d’Adda. Coniugato con Pia Travelli, ha quattro figli e abita dal 1884 in via Borgonuovo 18, nel cosiddetto “Borgo dei sciuri”, ovvero dei ricchi signori. Con la moglie, figlia di un avvocato di Busto Arsizio, condivide in quegli anni il palco, per poi cederlo fino al 1920 al Commendator Soave Besana, proprietario dell’Hotel Savoy Palace di Gardone Riviera frequentato da d’Annunzio. Insieme al fratello Gabriele, Besana possiede una scuderia privata che è la prima a portare in gara le vetture di Ferrari, del quale fu anche pilota. Sta nascendo una nuova Italia.
Nel 1920 finisce la complessa storia del palco: si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
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Palco n° 13, II ordine, settore destro

Un palco, una famiglia e varie curiosità
Il palco vede proprietarie tre donne dal 1778 al 1787: la giovane contessa Isabella Visconti, la madre Anna Visconti Stampa di Soncino (1743-1820), coniugata con il conte Alfonso dei Visconti di Saliceto, e la zia materna contessa Maria (1717-1790), vedova del conte Giambattista Mezzabarba. Alla morte prematura di Isabella, nel 1787 tutto passa al fratello di Alfonso, Giuseppe Visconti (1731-1803), ottavo conte di Saliceto e figlio di Pietro Francesco Ercole Antonio e di Maria Andreotti della Valle d’Intelvi, che terrà il palco fino al 1796. Giuseppe era noto a Milano perché illuminista - amico dei fratelli Verri era aggregato all’Accademia dei Pugni - e pioniere della meteorologia. Ma il suo nome era citato nelle cronache del tempo perché contro il volere della famiglia si era sposato nel 1768 a Venezia con la lionese Emilia Adelaide Duminge, né ricca né nobile; addirittura, i figli Annibale e Pirro erano nati prima del matrimonio e nel 1801 Giuseppe dovette pagare profumatamente chi arrivò da Lione a Milano rivendicando la giovane consorte come marito di primo letto! Come scrive Pietro Verri, Giuseppe “era oltremodo serio prima di scoprire i piaceri della vita… poi, una volta scoperti, ne fece di bambocciate!”.
Nel 1809, anni di dominio napoleonico, subentra il primogenito della coppia Annibale Visconti che mantiene la titolarità sino al 1820.
Dal 1821 il palco andò a un altro Stampa di Soncino, Massimiliano Giovanni (1765-1824), marchese, figlio di Massimiliano Giuseppe <1.> e di Livia Doria Sforza Visconti, sposato nel 1785 con Carlotta Gonzaga; dal matrimonio, nacquero Massimiliano Giuseppe <2.>, Giovanni Gaetano, Carlo Basilio (1796-1874). A quest’ultimo, coniugato con Francesca Spinelli, il palco appartenne sino alla morte, passando poi agli eredi del fratello, marchese Massimiliano Cesare (1825-1876), sposato ma senza prole; infatti nel palco dal 1879 troviamo la moglie Cristina Morosini (1833-1897),“bella come una dea” (come scrive Raffaello Barbiera), con un matrimonio annullato alle spalle ed erede universale dei cospicui averi del secondo marito. Cristina, ospite del salotto di Clara Maffei, faceva parte degli amici milanesi di Giuseppe Verdi, come la madre Emilia e la sorella Giuseppina; appassionata cultrice di musica, entrò nel gruppo dei fondatori della Società orchestrale Teatro alla Scala.
A lei succede nel 1907 Camillo Casati Stampa di Soncino (1877-1946), figlio di Gian Alfonso Casati e di Luisa Negroni Morosini, che nel 1892 ottenne il titolo di marchese e l’autorizzazione ad aggiungere al proprio cognome quello degli Stampa di Soncino.
Più che a lui, appassionato di ornitologia e di caccia, gli occhi del pubblico scaligero sono puntati sulla moglie, sposata nel 1910: Luisa Adele Rosa Maria, contessa Amman (1881-1957), ereditiera di una famiglia di origine ebraica arricchitasi con l’industria cotoniera. Appassionata di occultismo, collezionista d’arte, amica di D’Annunzio e di Man Ray, soggetto di uno straordinario ritratto di Giovanni Boldini, proprietaria del palazzo veneziano oggi di Peggy Guggenheim, Luisa si separa dal marito alle soglie della prima guerra mondiale per affrontare un percorso di vita fuori dall’ordinario, che finirà, in miseria, a Londra.
Camillo Casati Stampa di Soncino rimarrà titolare del palco sino al 1920, anno in cui si costituisce l’Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
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Palco n° 8, III ordine, settore destro

Dai Morbio ai Crespi: un passaggio famigliare
Dal 1778, anno della fondazione del Teatro alla Scala, fino al 1920, gli unici cognomi indicati sono quelli dei Morbio e dei Crespi, con una parentesi di comproprietà nel 1809 tra Giovanni Morbio e il caffettiere Giuseppe Antonio Borrani, al quale il palco era ceduto nei giorni dispari di quell’anno. Borrani sparisce dalla storia della Scala quando entra in crisi il governo napoleonico; ritroveremo invece gli eredi della sua famiglia qualche anno più tardi, nel 1831, proprietari sempre in giorni prestabiliti della settimana del palco n° 5, III fila sinistra del Teatro della Canobbiana.
I Morbio furono un’antica famiglia di Novara che si radicò tra Milano, Pavia e Lodi, iscritta dal 1933 nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano. Il primo proprietario del palco dal 1778 al 1817 fu Giovanni Morbio, al quale subentrò dal 1818 al 1822 il fratello Cesare <1.> (1760-1821); nel 1823 la matriarca della famiglia, Teresa Morbio, nata De Dominici (1793-1857), vedova di Gaetano, diventò la proprietaria insieme ai figli Carlo (1811-1881) e Cesare <2.> (1810-1887).
Alla morte della madre, Carlo ereditò il palco come unico proprietario. Appassionato bibliofilo e numismatico, fu un collezionista di manoscritti, stampe, monete, oltre che autore di lavori storici, fra i quali si ricordano le Storie dei municipi italiani illustrate con documenti inediti. Amico di Alessandro Manzoni aveva messo a disposizione del letterato le collezioni che possedeva. Dal matrimonio con Marianna Dell’Acqua ebbe due figli, Pio (1848-1911), tra i fondatori del Corriere della Sera, e Giulia, che, alla morte del padre, donò parte della collezione alla Biblioteca Civica di Novara.
La bellissima Giulia - così dicono le cronache del tempo - aveva sposato nel 1877 l’industriale Benigno Crespi (1848-1910), quartogenito di Antonio fondatore della dinastia dei cotonieri di Busto Arsizio. Nel 1885 divenne comproprietario del Corriere della Sera, diretto dal napoletano ex-garibaldino Eugenio Torelli Viollier, avendo rilevato la quota del fratello di Giulia, Pio Morbio, uno dei primi finanziatori del giornale dalla sua fondazione nel 1876, trasferistosi in America. Uomo con uno spiccato senso degli affari, Benigno aveva intuito che il giornalismo moderno poteva essere considerato un’impresa industriale e dare profitti. Il palco scaligero nel 1886 e nel 1887 risulta a suo nome mentre dal 1888 ritorna ad essere intestato a donna Giulia Crespi Morbio (1857-1944), ultima titolare: nel 1920 si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano espropria i palchi privati.
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 10, III ordine, settore destro

Dai marchesi Molinari a Carla Rodolfo Prinetti, imprenditrice
Il palco appartenne per i primi undici anni (1778-1789) ai fratelli Molinari, Carlo Francesco (?-1786) e Antonio (?-1794), figli del marchese Bartolomeo. Quest’ultimo aveva ottenuto il titolo nobiliare con diploma dell’Imperatore Carlo VI nel giugno 1725. A Carlo Francesco, è legata la storia della villa di Limbiate che la famiglia aveva comprato dagli Arese e risistemato tra il 1760 e il 1764, con l’intento di trasformarla in una vera e propria dimora nobiliare; egli vi abitò fino alla morte insieme al fratello Antonio. La villa con tutti i beni passò ai nipoti Carlo Chiesa e Francesco Maestri, figli delle due sorelle.
Nel 1790 il palco cambiò proprietario passando al comasco Andrea Lucini Passalacqua, figlio di Giovanni Battista e Caterina Brentano Monticelli. Egli ereditò dalla madre una grande fortuna che gli permise di allargare le proprietà terriere e di consolidare il patrimonio. Nel 1779 venne nominato Conte da Maria Teresa d’Austria, ottenendo la conferma della nobiltà ai primogeniti maschi tra il 1816 e il 1817. Sposato con Maria Elisabetta Cusani Visconti, ebbe quattro figli: i gemelli Alessandro e Giovanni Battista, Maria e Rosa.
Nel 1809-10, epoca napoleonica, il palco dei Passalacqua viene acquisito da Giuseppe Antonio Borrani (1779-1831), che gestiva ben undici palchi e che già da dieci anni ruotava intorno all’ambiente scaligero, essendo subaffittuario della bottiglieria di fronte al Teatro dal 1799 e proprietario, dopo Francesco Cambiasi, del Caffé del Teatro, in piazza della Scala 1149; un locale poi comprato da Giovanni Martini e divenuto il patriottico Caffé Martini.
Il successivo palchettista, a partire dal 1856, fu uno dei due gemelli di Andrea, Alessandro Lucini Passalacqua (1795-1861); investitore in immobili, fece costruire nel 1831 da Gioacchino Crivelli, Andrea Appiani e Carlo Maciachini un grande palazzo in via Monte di Pietà a Milano, esempio di architettura della Restaurazione, decidendo di farlo affrescare dal pittore Giovanni De Min: qui la famiglia conservò opere del Luini, dell’Appiani e del Frascaroli. Due anni dopo, nel 1833, Alessandro contrasse matrimonio con Leopolda d’Adda, la quale gli diede le gemelle Rosa, Caterina e Maria e Giovanni Battista (1845-1890)che ereditò il palco nel 1873 e lo mantenne fino al 1890. Esploratore e viaggiatore instancabile, Giovanni lasciò testimonianza dei suoi viaggi nelle numerose lettere inviate alla sorella Rosa e a Maurizio Carcano, nelle quali racconta i suoi spostamenti da Marsiglia a Aden, da Yokohama a San Francisco e New York. Forse il continuo “girovagare” non permise al giovane di costruirsi una famiglia: la sua improvvisa e prematura scomparsa, solo quarantacinquenne, determinò anche l’estinzione della discendenza maschile della famiglia.
Il palco passò a una delle gemelle, Maria Lucini Passalacqua. Sposata con il genovese Stefano Negrotto Cambiaso, ebbe due figlie, Caterina Leopolda e Alessandra. Dal 1898 al 1918 fu proprio la marchesa Alessandra Negrotto Cambiaso (1854-?) coniugata al conte poi senatore Ugo Angelo Conz, ad essere titolare del palco.
Nel 1919 e nel 1920 intestataria risulta Carla Rodolfo Prinetti moglie dell’ingegnere Emilio Rodolfo fondatore con il fratello Italo e un compagno di studi universitari, Giuseppe Rossetti, della “Società italiana per la produzione del carbonato e dei coibenti di magnesia ingegneri Rodolfo, Rossetti & C.” di cui Emilio era accomandatario e Carla insieme a Italo soci accomandanti. La coppia ebbe Lorenza e Stefania, il cui figlio Marco, portò avanti l’azienda di famiglia. Carla, socia dell’azienda familiare, era figura nota nella Milano bene del tempo e il suo nome, insieme a quello di tante altre benefattrici, imprenditrici o nobildonne, compare di frequente su riviste come La donna, Lidel, Il buon cuore.
In quegli stessi anni Venti stava però cambiando la storia del Teatro, con il passaggio di proprietà dei palchi al Comune di Milano e la costituzione dell´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Creusa Suardi)
 
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Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 12, III ordine, settore destro

Banchieri e committenti di illustri architetti
Il palco vide come primo proprietario Giulio Cesare Busti, banchiere milanese, il quale aveva fondato nel 1766 il banco Monte Busti. Gli succedette il figlio Cristoforo (1768-1843) insieme ai fratelli; appare il loro nome dal 1790 per i due anni successivi. Cristoforo era Cavaliere dell’Ordine della Corona di Ferro, membro del Governo Camerale e della Legion d’onore, giudice della Corte dei conti, nominato barone da Napoleone nel 1809, anno in cui acquisì un nuovo palco, il n° 12 del I ordine destro.
Dal 1793 entrò nella storia dei palchettisti la famiglia Perego di Cremnago, con i suoi componenti appassionati d’arte e noti committenti dei grandi architetti del tempo. La Villa di Cremnago fu opera di Giuseppe Piermarini progettista del Teatro alla Scala. Nell’anno dell’apertura del teatro milanese, il 1778, la famiglia Perego, che abitava in via Borgonuovo, venne in possesso degli orti del soppresso monastero di Sant’Erasmo retrostanti al loro palazzo: decisero così di di far disegnare da Luigi Canonica un giardino dai viali squadrati in stile italiano-francese, con una grande serra neogotica e una peschiera al centro. Ma le mode cambiano: oggi si può ammirare infatti il giardino in stile inglese, ideato da Luigi Villoresi architetto napoleonico. A desiderare il rinnovo dei giardini fu Luigi <1.> Perego (1766-1832), figlio di Gaetano e di Antonia Bressi, il primo palchettista della famiglia; egli sposò nel 1792 Cristina De Capitani di Vimercate, da cui ebbe tre figli: Antonia, coniugata con il nobile Siro de Pietri, palchettista del II ordine destro (palchi n° 3 e n° 15 dal 1821 al 1839), Giuseppa e Gaetano (1807-1875), che avrebbe ereditato il palco paterno. Gaetano Perego nel 1839 sposò Maria Durini, figlia di Antonio conte di Monza e di Giuseppina dei Conti Casati. Gaetano ottenne il titolo di Nobile dell’Impero austriaco con Sovrana Risoluzione nel 1838; nonostante la famiglia numerosa, non si risparmiò nell’aiutare gli altri ed è ricordato come benefattore. Gaetano e Maria ebbero cinque figli: Cristina, Antonio, sposato con Ippolita Barbiano di Belgiojoso, Ercole, Giuseppina, sposata con il Conte Giulio Venino, figlio di un palchettista (Pietro) del I ordine sinistro (palco n° 13, 1837).
Al primogenito Luigi <2.> (1840-1903) fu destinato il palco dal 1878. Egli nel 1895 sposò Maria Luisa Zineroni, la quale, rimasta vedova a inizio secolo, prese nuovamente marito; per rimanere in famiglia, sposò un parente della cognata Giuseppina, il conte Gaetano Venino, senatore del Regno. A ereditare il palco sono i tre figli di primo letto, Gaetano (1897-1945), Luigi <3.> (1898-1993) e Antonio (1903-1991), titolari fino al 1920, anno in cui iniziò l´esproprio dei palchi privati da parte del Comune di Milano e si costituì l´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Creusa Suardi)
 
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Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 7, IV ordine, settore destro

Il palco di casa Rossetti
Il palco fu acquistato all’asta del 14-15 maggio 1778 per 4.200 Lire imperiali da Giuseppe Viani (1733-1783), marchese di Besozzo. Nato a Pallanza, figlio di Gabriele e Teresa Loaysa dei conti di Lambrate, Viani figura proprietario anche di altri due palchi nel teatro milanese: il n° 12 del prestigioso I ordine destro e il n° 8 del III ordine sinistro, quest’ultimo a metà con Casa Bonacossa. Fu uno dei dodici Consiglieri Delegati eletti nel 1776 dal Corpo dei Palchettisti, dopo l’incendio del vecchio Teatro Ducale, con l’incarico di trattare con l’arciduca Ferdinando d’Asburgo, il regio architetto Giuseppe Piermarini e la ditta appaltatrice per la costruzione del nuovo Teatro Grande alla Scala.
Il marchese lasciò tutto il proprio patrimonio immobiliare, palchi compresi, all’unica figlia Maria Teresa Viani Dugnani (1765-1845), moglie dal 1785 del marchese Giulio. Sposandosi, la giovane lasciò il palazzo paterno, nell´odierna via Cino del Duca 8, venduto nel 1834 a Carlo Finelli e da questi a Uberto Visconti di Modrone (1840), per trasferirsi al Palazzo Dugnani, residenza del marito.
Nel 1796 il palco passò a don Antonio Cambiago (o Cambiagio) (1769-1831), di nobile famiglia milanese di antiche origini che prende il nome dall’omonimo paese lombardo che vantava personaggi di spicco legati agli Sforza e ai Visconti. Nipote abiatico di Anna Rodriguez di Salamanca, a lui fu dedicata un’iscrizione lapidaria al cimitero del Gentilino o di porta Ticinese, omaggio postumo dei nipoti Antonio e Luigi Rossetti: “All’avo materno Don Antonio Cambiago di Salamanca … che percosso da repentina sincope a mezzo del decimo terzo suo lustro … dalla terra dell’esilio ripatriava il VI febb. MDCCCXXXIV”. Non sappiamo i motivi dell’esilio ma sappiamo che a lui e agli eredi gli austriaci non rinnovarono il titolo nobiliare. E sappiamo che nel 1797 Antonio si separò dalla moglie Giuseppa Lavezzari, possidente a Castelnuovo Lario, alla quale aveva già ceduto il palco n° 11 del III ordine sinistro nel 1794. In seguito alla divisione dei beni dei due coniugi, la donna ottenne anche una cospicua dote; questa non comprendeva però il palco n° 7 del IV ordine, che rimase intestato al marito sino al 1836, mentre lei figura nel 1809 nel n° 12 del III ordine che l’aveva già vista palchettista.
Dal 1837 al 1841 risulta titolare Luigia Rossetti nata Cambiago, nobildonna (1788-1840?). Potrebbe proprio lei essere Giovanna, forse detta Luigia, unica figlia di don Antonio e della Lavezzari, nata prima della separazione; sposata nel 1804 con Pietro Rossetti, figlio di Giuseppe Antonio, che dalla zona Ticinese, dopo il matrimonio, si era stabilito in Contrada del Morone 1167 (oggi via Morone 6), nella casa della moglie ma dove abitava già lo zio, il sacerdote Pietro Maria; una casa da nobile dell’antica Milano, edificata da don Antonio Cambiago con il permesso di Maria Teresa d’Austria e ampliata ulteriormente nel 1848.
Dopo Luigia, il palco rimane sempre alla famiglia: risulta infatti intestatario dal 1841 fino all’anno della morte (1887) l’avvocato Luigi Rossetti, assai noto a Milano anche per essere il segretario dell’Opera pia per i carcerati e i liberati dal carcere, oltre che membro della Società degli Artisti e socio fondatore della Società per le arti e i mestieri. Anche la moglie, Giulia Bonacina (ancora viva nel 1906), spicca come benefattrice, legando il suo nome alle Missioni cattoliche.
Dalla loro unione nasce Elisabetta detta Adele (1854-1943); a lei, unica erede dopo la morte precoce, a 11 anni, della sorella Peppina, vanno questo e l’altro palco (il n° 11 del medesimo ordine) posseduto dal padre. Coniugata nel 1874 con l’ingegnere Giambattista Brambilla (1843-1905), di famiglia nobile, Adele è citata proprietaria del palco con il doppio cognome Brambilla Rossetti fino al 1905, anno della morte del coniuge. In seconde nozze e nello stesso anno, la donna va in sposa al ragioniere Antonio Fusi, comparendo intestataria come Adele Fusi Rossetti fino al 1920, anno in cui il Comune delibera l’esproprio dei palchi e la costituzione dell’Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Creusa Suardi)
 
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