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Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 5, I ordine, settore sinistro

Busca Arconati Visconti
Primo proprietario del palco fu Carlo Galeazzo Busca Arconati Visconti (1722-1780), IV marchese di Lomagna, figlio di Lodovico Busca e di Bianca Arconati Visconti. Gli successero il figlio Lodovico (1758-1841), noto anche come Lodovico Galeazzo, e il nipote Carlo Ignazio (1791-1850), che si alternano come proprietari del palco fino alla morte di Lodovico.
Sposato nel 1844 con Susanna Fauras, Carlo Ignazio non ebbe da lei discendenti e pertanto legittimò e nominò suo erede Lodovico Paolo, avuto da una relazione con Marie Bridgetower, possessore dal 1856 del palco n° 4, II ordine sinistro.
Alla morte di Carlo Ignazio, il titolo di marchese di Lomagna passò allo zio paterno Antonio Marco Busca Arconati Visconti (1795–1870), con il quale Carlo aveva condiviso il palco di famiglia dal 1842 al 1843 e che ne rimase il solo proprietario dal 1844 sino alla morte. Antonio Marco ricoprì diversi incarichi pubblici durante il dominio asburgico: Ciambellano imperiale, Consigliere comunale di Milano, Consigliere di Stato. Dopo l’Unità d’Italia, nel 1864 fu nominato senatore del Regno. Appassionato cultore delle arti, e mecenate, socio onorario di importanti Accademie di Belle Arti quali quella di Milano e quella di San Luca a Roma, commissionò importanti opere di ristrutturazione nella maestosa villa di delizia a Bollate, che i Busca Arconati avevano ereditato nel 1772 dai cugini Arconati di Castellazzo in seguito all’estinzione di quel ramo del casato. Nel corso del Novecento Villa Arconati passò alla marchesa Beatrice Crivelli; con questa famiglia i Busca Arconati si imparentarono perché Giustina Sormani Andreani Verri, nipote di Lodovico Paolo Busca Arconati Visconti, sposò nel 1900 il marchese Vitaliano Crivelli. E fu la madre di Giustina, Luigia Busca Arconati Visconti (1855-1928), maritata nel 1873 con il conte Pietro Sormani Andreani Verri, a possedere il palco nel 1877.
Poiché Antonio Marco Busca Arconati Visconti non ebbe discendenti, con lui si estinse la famiglia patrizia milanese. Infatti, nel 1878 il palco è acquistato dai nobili Carlo Terzi e Giovanni Spech che dal 1898 al 1905 ne risulterà unico proprietario. Gli Spech appartengono a una famiglia nobile di origine tedesca stabilitasi a Milano intorno al 1750, quando Carlo Andrea viene nominato Commissario della Guerra dell’amministrazione asburgica. Il pronipote Francesco sposa nel 1876 Emilia Venanzia Gavazzi, vedova di Giovanni Battista, industriale della seta, adottandone il figlio Giovanni, che, in realtà, era figlio suo, nato nel 1845 dalla relazione con Emilia, trasmettendogli il nome e il titolo nobiliare. Giovanni Gavazzi viene ricordato anche per aver donato nel 1885 alle Collezioni Civiche la Madonna col Bambino del pittore secentesco Carlo Francesco Nuvolone.
Nel 1907 il palco degli Spech passa al marchese Guiscardo <2.> Barbò di Soresina (1873-1922), proprietario anche del n° 15, stessi ordine e settore. Discendente di un antico e illustre casato lombardo, il marchese Barbò è titolare sino al 1920, quando si costituisce l’Ente Autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 6, I ordine, settore sinistro

Dal principe all’ambasciatore
Primo proprietario del palco dal 1778 al 1818 fu Egidio Gregorio Orsini del ramo milanese dei principi di Roma, nato nella parrocchia di S. Babila nel 1736 e morto in quella di San Marco nel 1819. Figlio primogenito di Giulio Gregorio e Maria Caterina Marino dei marchesi di Castelnuovo Scrivia, sposò nel 1760 Paola Calderara, figlia di Antonio e Margherita Litta Visconti, talmente noti a Milano da aver avuto in omaggio per le loro nozze un’infilata di rime dell’Arcadia milanese.
Il principe fu nominato Maggiordomo Maggiore del Regno Lombardo-Veneto nel 1816. Abitava in Borgo Nuovo 1522, una “casa grandiosissima” – dicono le fonti del tempo - con l’interno ridotto a “elegante e comoda costruzione” da Luigi Canonica e adornata dai dipinti di Andrea Appiani. La casa esiste ancora, all’odierno civico n° 11 ed è la sede di rappresentanza della ditta Armani.
Personalità di spicco del governo asburgico (fu Consigliere Intimo di Stato nel 1782), Egidio Gregorio perse il palco nel periodo napoleonico: nel 1809 troviamo come utente il militare Maurizio Ferrario, nel 1810 il notaio e possidente Giovanni Battista Vitali Rota; lo riacquistò nel 1813 e al ritorno degli austriaci e nel 1815 venne nominato Maggiordomo Maggiore del Regno Lombardo-Veneto.
Dal 1821 fino al 1838 il palco è intestato ad Antonio Robaglia, banchiere e imprenditore, poi cavaliere, titolare dal 1816 assieme al conte Luigi Porro della privativa quinquennale per l’uso di una macchina a vapore per la filatura dei bozzoli da seta.
Dal 1839 al 1841, il palco fu di Giovanni Limito, quello che oggi definiremmo un “parvenu”: negoziante, aveva acquistato nel 1822 un palazzo prestigioso ipotecato appartenuto al defunto conte Francesco Lurani in Contrada del Monte 5465, in pieno centro; nella stessa contrada, in Porta Orientale (oggi Porta Venezia) si trovava il suo negozio di mastro macellaio.
Nel 1842 il palco passò a Zaccaria Riva, altro “borghese”, nato come droghiere e divenuto possidente. Sua moglie, Antonia Francesconi, nel 1793 acquisì dalla vedova di Giovanni Battista Solaro, nobildonna Rosa Gozzoni, sola e senza eredi, la villa di delizia di Misinto in Brianza: in questo modo i Riva subentrarono ai nobili dell´antica famiglia dei Solaro.
Per due anni (1856-57) il palco rimase in eredità attendendo che il figlio di Zaccaria, Alessandro Riva (1836-1907), divenisse maggiorenne. Egli infatti fu il successivo proprietario dal 1858 al 1907. Commendatore e Cavaliere di Gran Croce, Alessandro si laureò in giurisprudenza nel 1860 presso la Regia Università di Pisa; ottenne dunque l’abilitazione all’esercizio dell’avvocatura e in seguito intraprese con grande successo la carriera diplomatica. Nel settembre del 1866 fu chiamato a prestare servizio al ministero e nel febbraio 1867 divenne vice console di terza classe. I suoi numerosi incarichi diplomatici lo videro impegnato in varie città d’Europa (l’Aja nel 1878, Berna nel 1864 e poi nel 1881, Berlino nel 1886 e infine Sofia nel 1893) e fuori dal continente: fu inviato straordinario e Ministro plenipotenziario di Sua Maestà il Re d’Italia Vittorio Emanuele II a Rio de Janeiro nel 1888. Alessandro Riva sposò il 2 ottobre 1878 Clementina Cusani Visconti e fu per tale ragione che il figlio Luigi, grazie ad un decreto imperiale del 1910, poté aggiungere al proprio cognome quello dei Cusani. La dimora milanese di Riva e del figlio si trovava in via Bigli 12, nell´abitazione di Zaccaria che, prima dell´Unità, era in contrada dei Biglj 1245.
Luigi Riva Cusani, nato a Misinto, ingegnere di professione, fu proprietario del palco dal 1908 sino al 1920, anno in cui si conclude la storia della proprietà privata dei palchi del Teatro alla Scala. Il nome di Luigi e dei Cusani è legato fino al 1919 a un “castello avito” ancor oggi monumento della Val Borbéra, il Castello della Pietra di Borgo Adorno (Vobbia-Genova).
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 16, I ordine, settore sinistro

Il palco dei generali
I palchi camerali o palchi della Corona erano “i palchi di ragione del Governo ad uso esclusivo delle autorità civili e militari” (così definiti nel rogito dell´appalto dell´impresario Angelo Petracchi, 1816) e per tale motivo venivano esentati dal pagamento del canone annuo previsto per tutti gli altri palchi. La loro funzione era anche quella di ospitare le personalità illustri in visita alla città: monarchi, ministri, principi, ambasciatori.
Al momento dell’inaugurazione del Teatro alla Scala i palchi camerali erano cinque: il palco Centrale o palco della Corona, altrimenti detto Palchettone, i palchi n° 1 e n° 2 del II ordine sinistro, il palco di Proscenio del I ordine destro e infine il palco n° 3 del III ordine destro.
Con la caduta della Repubblica di Venezia (1797) e la sua annessione all’Impero asburgico in seguito al trattato di pace di Campoformio tra l’Austria e la Francia, si aggiunse il palco n° 16 del I ordine sinistro, riservato sin dall’apertura del teatro all’ambasciatore (chiamato “Residente”) della Serenissima. Nel 1809 troviamo questo palco assegnato ai militari: il “francese Cittadino Generale Vignole”, (Martin Vignolle, 1763-1824), nominato ai vertici del Ministero della Guerra da Bonaparte, nel 1796, come Vicecapo di Stato Maggiore e aiutante di campo di Gioachino Murat, nominato nel 1808 Barone e nel 1809 Conte dell’Impero; titolato anche da Luigi XVIII, il suo nome appare inciso sull’Arc de Triomphe di Parigi. Insieme a lui condivide il palco il comandante della Piazza di Milano, il Generale Robert Motte (1754-1829), detto anche La Motte, come gli altri nominato Cavaliere della Legion d’Onore. Immaginiamo il giro di ospiti di quegli anni. Durante la Repubblica cisalpina si aggiunse anche un altro palco “governativo”, probabilmente confiscato al suo proprietario, il filo-asburgico Antonio Greppi: quello di Proscenio del II ordine sinistro, assegnato al Generale Comandante delle truppe francesi in Lombardia, Hyacinthe-François-Joseph Despinoy (1764-1848) che nel 1796 aveva assediato e conquistato il Castello Sforzesco. Il palco sarebbe tornato al Greppi già con Napoleone imperatore.
Dopo il ritorno del dominio austriaco (1815) sino alla nascita del Regno d’Italia (1861) il palco n° 16 passò d’ufficio all’ Imperial Regio Governo. A seguito dell’unificazione d’Italia, nei palchi camerali scomparve ovviamente l’aggettivo “Imperiale” e il palco fu indicato come proprietà del Regio Demanio.
A partire dal 1873, anno in cui fu definitivamente ratificato il passaggio della proprietà di tutti i palchi camerali dallo Stato al Comune, tale dicitura fu sostituita da Comune di Milano. Allo scioglimento dell’Associazione dei palchettisti, dopo gli anni Venti del Novecento, tutti i palchi, compresi quelli cosiddetti camerali, rimasero a disposizione della direzione del teatro.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 1, II ordine, settore sinistro

I palchi arciducali, poi del viceré
I palchi camerali o palchi della Corona erano “i palchi di ragione del Governo ad uso esclusivo delle autorità civili e militari” (così definiti nel rogito dell´appalto dell´impresario Angelo Petracchi, 1816) e per tale motivo esentati dal pagamento del canone annuo previsto per tutti gli altri palchi. La loro funzione era anche quella di ospitare le personalità illustri in visita alla città: monarchi, ministri, principi, ambasciatori. Al momento dell’inaugurazione del teatro tali palchi erano tre: il palco centrale o della corona, il palco di Proscenio, I ordine destro, e il palco n° 3, III ordine destro. Nel 1780 si aggiunsero i palchi n° 1 e n° 2, II ordine sinistro e, nel 1797, con la caduta della Repubblica di Venezia e la sua annessione all’impero asburgico, il palco n° 16, I ordine sinistro, sino a quel momento occupato dall’Ambasciatore della Serenissima. Un altro palco, probabilmente confiscato al suo proprietario filo-asburgico Antonio Greppi durante la Repubblica Cisalpina, è annoverato per qualche anno tra i palchi camerali: quello di Proscenio, II ordine sinistro, assegnato al Generale Comandante delle truppe francesi in Lombardia.
Per il biennio 1778-1779 il palco n° 1, II ordine sinistro è di proprietà del conte Carlo Ercole Castelbarco Visconti (1750-1816), dal 1790 intestatario anche del vicino palco n° 3. A partire dal 1780 il nostro palco e l´attiguo n° 2, entrati a far parte del gruppo dei palchi camerali, erano considerati, insieme al palco centrale, i più prestigiosi. Noti come i “Palchi arciducali”, sino al 1796 furono abitualmente occupati dall’Arciduca Ferdinando, figlio dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria e governatore della Lombardia, che li preferì allo stesso palco cnetrale. Essi non hanno una parete divisoria interna, sicché vengono a formare un palco unico, pur avendo due porte d’ingresso e le usuali colonnine d’affaccio alla platea. I due palchi inoltre si distinguono per gli specchi alle pareti, un arredo sontuoso e, verso la platea, per i panneggi e le tende rosso cremisi a differenza di tutti gli altri che sono di colore celeste o giallo. Solo dopo la metà dell’Ottocento il rosso divenne il colore comune per i tendaggi di tutti i palchi.
Dal 1780 sino al 1790 come proprietario dei palchi è indicata la “Regia Ducale Camera per LL. AA. RR. (Loro Altezze Reali)”, mentre dal 1791 al 1796 subentra la denominazione “Regia Ducale Corte”.
Dal 1797 con la Repubblica Cisalpina vennero fissati rigidamente da parte del Direttorio Esecutivo (di cui era presidente il “cittadino” Gian Galeazzo Serbelloni) i ruoli relativi alla distribuzione dei sei palchi camerali: i due palchi ex-arciducali furono assegnati ai cinque membri del Direttorio Esecutivo creato sul modello dell’omologo organo amministrativo francese. Napoleone, proclamatosi imperatore dei francesi e re d’Italia (1805), nominò viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais, figlio della sua prima moglie Giuseppina; quest’ultimo diventò il nuovo occupante dei due palchi già arciducali, denominati adesso “palchi del viceré”. Dopo la caduta di Napoleone e il suo esilio a Sant’Elena, i palchi ritornano alla corona asburgica.
Dal Congresso di Vienna (1814-1815) sino all´Unità d’Italia nel 1861, sono di nuovo occupati da un membro della famiglia reale d´Asburgo col titolo di viceré, e di volta in volta vengono indicati come proprietari dei due palchi l’“Imperial Regio Governo”, la “Regia Corte” o l’“Imperial Regia Corte”.
Tra loro si ricorda Antonio Vittorio d’Asburgo-Lorena, figlio dell’imperatore Leopoldo II; suo successore fu il fratello Ranieri d’Asburgo-Lorena, il quale rimase in carica sino all’8 giugno 1848, quando il titolo fu soppresso a causa dei gravi rivolgimenti politici del 1848 (le Cinque Giornate di Milano e la prima guerra d’indipendenza). L’imperatore Francesco Giuseppe scelse infatti di affidare pieni poteri al feldmaresciallo Josef Radetzky (1766-1858) nominandolo governatore generale. Quest’ultima carica riuniva il potere e le competenze che precedentemente erano ripartite tra un governatore militare e un viceré, massima autorità civile. Radetzky fu rimosso da questo incarico per volontà imperiale il 28 febbraio del 1857; al suo posto troviamo pertanto nuovamente un viceré appartenente alla famiglia regnante, l’arciduca Massimiliano d’Asburgo, lo sfortunato fratello di Francesco Giuseppe divenuto Imperatore del Messico nel 1864 e ucciso durante la rivoluzione messicana nel 1867. Lo affiancava in qualità di governatore militare il generale Ferenc Gyulai.
A seguito dell’unificazione d’Italia, negli elenchi dei palchi camerali scompare l’aggettivo “Imperiale” e così anche i due palchi sono intestati alla “Regia Corte”. Tale dicitura è sostituita da “Beni della corona” a partire dal 1873, anno in cui la proprietà di tutti i palchi camerali fu ceduta dallo Stato al Comune di Milano. Infine nel 1920 tutti i palchi ex-camerali passarono al “Regio Demanio” e quindi a disposizione della direzione del teatro.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 2, II ordine, settore sinistro

I palchi arciducali, poi del viceré
I palchi camerali o palchi della Corona erano “i palchi di ragione del Governo ad uso esclusivo delle autorità civili e militari” (così definiti nel rogito dell´appalto dell´impresario Angelo Petracchi, 1816) e per tale motivo esentati dal pagamento del canone annuo previsto per tutti gli altri palchi. La loro funzione era anche quella di ospitare le personalità illustri in visita alla città: monarchi, ministri, principi, ambasciatori. Al momento dell’inaugurazione del teatro tali palchi erano tre: Palco Centrale, Palco di Proscenio, I ordine destro, e Palco n° 3, III ordine destro, n° 1 e n° 2, II ordine sinistro e, con la caduta della Repubblica di Venezia (1797) e la sua annessione all’impero asburgico, il palco n° 16 del I ordine sinistro, sino a quel momento occupato dall’Ambasciatore della Serenissima. Durante i primi anni della Repubblica Cisalpina, è registrato anche un altro palco, probabilmente confiscato al suo proprietario filo-asburgico Antonio Greppi: quello di Proscenio, II ordine sinistro, assegnato al Generale Comandante delle truppe francesi in Lombardia.
Il palco n° 2 e il palco n° 1 erano i più prestigiosi insieme al Palco Centrale, noti come “palchi arciducali”; sino al 1796 furono abitualmente occupati dall’Arciduca Ferdinando, figlio dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria e governatore della Lombardia. I due palchi non hanno una parete divisoria interna, sicché vengono a formare un palco unico, pur avendo due porte d’ingresso e le usuali colonnine d’affaccio alla platea; inoltre si distinguono per gli specchi alle pareti, un arredo sontuoso e, verso la platea, per i panneggi e le tende rosso cremisi a differenza di tutti gli altri, di colore celeste o giallo. Solo dopo la metà dell’Ottocento il rosso divenne il colore comune per i tendaggi di tutti i palchi.
Sino al 1790 come proprietario dei palchi è indicata la Regia Ducale Camera per LL. AA. RR. (Loro Altezze Reali), mentre dal 1791 al 1796 subentra la denominazione Regia Ducale Corte.
Dal 1797 con la Repubblica Cisalpina vennero fissati rigidamente da parte del Direttorio Esecutivo (di cui era presidente il “cittadino” Gian Galeazzo Serbelloni) i ruoli relativi alla distribuzione dei sei palchi camerali: i due palchi ex-arciducali furono assegnati ai cinque membri del Direttorio Esecutivo creato sul modello dell’omologo organo amministrativo francese. Napoleone, proclamatosi imperatore dei francesi e re d’Italia (1805), nominò viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais, figlio della sua prima moglie Giuseppina; quest’ultimo diventò il nuovo occupante dei due palchi, noti come “palchi del viceré”. Dopo la caduta di Napoleone e il suo esilio a Sant’Elena, i palchi ritornarono alla corona asburgica.
Dal Congresso di Vienna (1814-1815) sino al 1861 di volta in volta vengono indicati come proprietari dei palchi l’Imperial Regio Governo, o l’Imperial Regia Corte.
Dai “Palchi arciducali” probabilmente assistettero alle rappresentazioni delle opere di RossiniGioachino Rossini, di BelliniVincenzo Bellini e DonizettiGaetano Donizetti e di VerdiGiuseppe Verdi i viceré austriaci del Regno del Lombardo-Veneto. Tra loro si ricorda Antonio Vittorio d’Asburgo-Lorena, figlio dell’imperatore Leopoldo II; suo successore fu il fratello Ranieri d’Asburgo-Lorena, il quale rimase in carica sino all’8 giugno 1848, quando il titolo fu soppresso a causa dei gravi rivolgimenti politici del 1848 (le Cinque Giornate di Milano e la prima guerra d’indipendenza). L’Imperatore Francesco Giuseppe scelse infatti di affidare pieni poteri al feldmaresciallo Josef Radetzky (1766-1858) nominandolo governatore generale. Quest’ultima carica riuniva il potere e le competenze che precedentemente erano ripartite tra un governatore militare e un viceré, massima autorità civile. Radetzky fu rimosso da questo incarico per volontà imperiale il 28 febbraio del 1857; al suo posto troviamo pertanto nuovamente un viceré appartenente alla famiglia regnante, l’arciduca Massimiliano d’Asburgo, lo sfortunato fratello di Francesco Giuseppe divenuto Imperatore del Messico nel 1864 e ucciso durante la rivoluzione messicana nel 1867. Lo affiancava in qualità di governatore militare il generale Ferenc Gyulai.
A seguito dell’unificazione d’Italia, negli elenchi dei palchi camerali scompare l’aggettivo “Imperiale” e così anche i due palchi sono intestati alla Real Corte. Tale dicitura è sostituita da Beni della corona a partire dal 1873, anno in cui la proprietà di tutti i palchi camerali fu ceduta dallo Stato al Comune di Milano. Infine nel 1920 tutti i palchi ex-camerali passarono al Regio Demanio e quindi furono messi a disposizione della direzione del teatro.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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Palco n° 4, II ordine, settore sinistro

Il palco dei Serbelloni
Primo proprietario del palco fu Gian Galeazzo Serbelloni (1744-1802), figlio di Gabrio e di Maria Vittoria Ottoboni, che durante l’infanzia ebbe come precettore Giuseppe Parini e alla morte del padre ottenne il titolo di Duca e intraprese la carriera militare e amministrativa. Nel 1771 Gian Galeazzo sposò Teresa Castelbarco Visconti di Simonetta (1753-1821) da cui ebbe una sola figlia, Maria Luigia (1772-1849), coniugata nel 1789 con il marchese Lodovico Busca Arconati Visconti (a questa famiglia apparteneva il palco n° 5, I ordine sinistro). Nel 1775 fu nominato Sovrintendente generale della Milizia milanese e rimase in carica per una ventina di anni circa. Nell’aprile del 1796, per far fronte all’avanzata del giovane generale Napoleone Bonaparte durante la Campagna d’Italia, gli fu affidato il controllo delle forze cittadine. Gian Galeazzo però si schierò subito dalla parte degli invasori e accolse Napoleone convinto che questi avrebbe restituito a Milano l’indipendenza dagli austriaci. Divenne dunque ambasciatore in Francia del capoluogo lombardo ed ebbe tale considerazione da parte di Bonaparte che gli fu concesso di scortarne sino a Milano la moglie Joséphine Beauharnais in visita in Lombardia. Già Presidente della municipalità, nel luglio del 1797 divenne Presidente del Direttorio esecutivo della Repubblica Cisalpina. Fu sepolto nella cappella di famiglia a Gorgonzola, dove era feudatario, imponendo per testamento la costruzione di una chiesa e di un ospedale.
Il titolo ducale passò dunque al fratello minore Alessandro Serbelloni (1745-1826), che ottenne anche il palco scaligero in condivisione con il faccendiere-caffettiere Giuseppe Antonio Borrani nel 1809 (Serbelloni lo aveva nei giorni dispari e Borrani nei giorni pari) e con la nipote Maria Luigia dal 1813. Successore di Alessandro fu il terzo fratello, Ferdinando (1748-1835), anch’egli comproprietario del palco assieme a Maria Luigia. La residenza dei Serbelloni era lo splendido palazzo milanese sul corso di Porta Orientale 622 (oggi corso Venezia 16), realizzato tra il 1765 e il 1793 su progetto dell’architetto Simone Cantoni: l’imponente facciata è arricchita dai bassorilievi di Francesco Carabelli, che citano episodi leggendari, all’epoca assai allusivi nei confronti degli oppressori austriaci, della battaglia contro il Barbarossa. Paradosso della storia, qui Gian Galeazzo nel 1796 accolse Napoleone e in seguito lo ospitò assieme alla moglie Joséphine, ma poi durante la Restaurazione vi abitò pure il principe Metternich. Ai Serbelloni apparteneva anche la bella villa di delizia a Tremezzo, sulla sponda occidentale del Lago di Como, oggi Villa Sola Cabiati.
Dal 1856 al 1865 il palco appartenne a Lodovico Paolo Busca Arconati Visconti, il figlio naturale di Carlo Ignazio avuto da una relazione con l’inglese Maria Bridgetower, al secolo Mary Lee Lecke, moglie del violinista mulatto George. Lodovico fu legittimato a ventitré anni e nominato erede dal padre; sposò nel 1852 la triestina Clementina Lazarich, di origine ungherese, dalla quale ebbe ben sei figlie femmine. L’unico maschio morì, assieme alla madre, durante il parto, nel 1863, lasciando solo e disperato Lodovico Paolo che due anni dopo si suicidò.
Per lunghi anni il palco rimase giacente in eredità finché nel 1879 verrà intestato alla secondogenita di Lodovico Paolo, Luigia (1855-1928); nel 1873, Luigia aveva sposato il conte Pietro Sormani Andreani Verri (1849-1934) sancendo così l’unione di due importanti e antiche famiglie, protagoniste della storia di Milano: il Palazzo Serbelloni è ancor oggi sede prestigiosa del Circolo della Stampa, il palazzo Sormani è sede della Biblioteca comunale. Il senatore Pietro fu a lungo presidente della Casa di riposo “Giuseppe Verdi” dal 1909 sino alla morte.
Il palco rimarrà a Luigia Busca Arconati Visconti in Sormani Andreani Verri sino al 1920, quando il Comune acquisì la proprietà dei palchi e si costituì l´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 8, II ordine, settore sinistro

I Turati e l’industria cotoniera lombarda
Primo proprietario fu Gaspare Carlo Ordoño de Rosales (1709-1791), di antica famiglia spagnola trasferitasi nel Regno di Napoli al seguito di Ferdinando il Cattolico e trapiantatisi poi a Milano. Figlio di Diego e Teresa Visconti ricoprì la carica di Decurione della città di Milano. Gaspare Carlo sposò la contessa Daria Gambarana. Alla sua morte il palco rimase in eredità alla famiglia Ordoño de Rosales; forse da qui ebbe modo di assistere ad alcune rappresentazioni anche il giovane nipote Gaspare (1802-1887). Quest’ultimo in seguito si sarebbe distinto durante le guerre risorgimentali; per la causa italiana infatti mise a disposizione l’intero suo patrimonio e sacrificò tutto se stesso. Fu inoltre amico di Giuseppe Mazzini, con il quale tenne una fitta corrispondenza, e di altri celebri patrioti.
Nel 1809 e nel 1810 il palco viene lasciato ai Ministri del governo napoleonico, entrando a far parte dei palchi della Corona, per poi essere ceduto nel 1815 alla famiglia Monticelli Strada di Crema. Primo proprietario ne fu Pietro Monticelli Strada, cui seguì nel 1818 la moglie, marchesa Marianna nata Raimondi (1793-1859). Figlia di Pietro Paolo e Giuseppa Giovio, Marianna, non avendo fratelli bensì una sorella minore, ereditò i beni paterni. Nel 1812 andò in sposa a Giovanni Battista Monticelli Strada, possidente, consigliere comunale di Crema, poi di Milano, Ciambellano dell’Imperatore, figlio di Nestore e Quintilia Frecavalli, da cui non ebbe discendenti e del quale rimase vedova nel 1847.
I successivi proprietari del palco segnano l’emergere di esponenti della borghesia: i Turati, originari di Busto Arsizio e dediti al commercio e al prestito di denaro sin dalla metà del Settecento. La famiglia si divideva in numerosi rami; ai Turati Barbirolo apparteneva Francesco Antonio Turati (1802-1873), figura di spicco nel panorama economico milanese e lombardo, al quale dal 1858 è intestato il palco scaligero. Abile commerciante di cotone, Francesco, grazie al suo senso per gli affari fuori dal comune, divenne uno dei negozianti più ricchi di Milano. All’epoca la lavorazione e la vendita del cotone rappresentavano infatti il settore trainante dell’economia lombarda. Allo spirito imprenditoriale Francesco unì anche un forte interesse artistico che lo spinse ad acquistare numerose opere d´arte, dando origine alla collezione familiare. Nel 1848, dallo scioglimento della sua impresa nacquero due società distinte ma strettamente collegate, la Francesco Turati di Milano e la Francesco Turati di Busto Arsizio. Il suo ingente patrimonio fu investito in diverse iniziative: finanziò ad esempio lo stabilimento agrario di Corte Palasio (Lodi): partecipò, assieme ad altri imprenditori, a progetti volti alla realizzazione di strade ferrate e acquistò una quota della Società Concessionaria delle Ferrovie del Lombardo Veneto. Per questi e altri meriti il 4 settembre del 1862 il re Vittorio Emanuele II lo insignì del titolo di conte, trasmissibile ai discendenti maschi primogeniti. Contribuirono a sancire l’affermazione del Turati sulla scena milanese i figli che contrassero matrimoni con importanti famiglie lombarde. Ai due fratelli, Ercole ed Ernesto, si devono i due contigui palazzi milanesi rispettivamente in via Meravigli n. 7 e n. 9-11: il trasferimento della residenza a Milano rappresentava un’autentica dichiarazione del nuovo status sociale. Il primo edificio fu costruito nel 1876 su progetto dell’architetto Enrico Combi, ispirato al palazzo dei Diamanti di Ferrara per realizzare il bugnato della facciata in stile neo-rinascimentale. Il secondo, invece, risale al 1880 e fu opera degli ingegneri Ponti e Bordoli; oggi ospita la Camera di commercio di Milano. A Ernesto (1834-1918) passò il palco nel 1875. Industriale cotoniero, fu come Emilio, appassionato di scienze naturali; ebbe una particolare predilezione per l’entomologia e la malacologia. Nel 1859 si arruolò come volontario nell’esercito di Sardegna combattendo durante la Seconda guerra d’indipendenza. Le attività imprenditoriali dei Turati ebbero termine con la vendita del cotonificio milanese nel 1928.
Nel luglio del 1920 si registra l’ultimo cambio di proprietario del palco, che passò all’imprenditore e politico Silvio Benigno Crespi (1868-1944), la cui famiglia proveniva anch’essa da Busto Arsizio. Figlio di Cristoforo e Pia Travelli, collaborò e poi sostituì il padre nella conduzione del cotonificio di Crespi d’Adda, presso cui aveva costruito il celeberrimo villaggio operaio. Laureatosi in giurisprudenza, si recò in Inghilterra, Francia e Germania per conoscere le più moderne tendenze dell’industria cotoniera. Sposò Teresa Ghislieri. Come industriale, mostrò una particolare attenzione alle condizioni di lavoro degli operai. Fu inoltre presidente della Banca Commerciale Italiana e dell’Automobile Club di Milano. Assai rilevante fu il suo impegno politico che lo vide deputato e senatore nelle file dei cattolici liberali, sottosegretario agli approvvigionamenti durante la Prima guerra mondiale, ministro nel Governo Orlando e ministro plenipotenziario al termine della Grande Guerra. Fu in quest’ultima veste che firmò la pace di Versailles. Si ricordano anche i suoi numerosi brevetti e invenzioni, tra cui un telaio circolare.
Nel 1920, si costituisce l’Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune inizia l´esproprio dei palchi privati, concludendone la storia.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 12, II ordine, settore sinistro

Famiglie in villa: Litta Modignani e Melzi d’Eril
La storia del palco coincide inizialmente con quella della famiglia Litta Modignani. Primo proprietario fu infatti Eugenio <1.> Litta Modignani (1713-1785), secondo marchese di Menzago e Vignano (entrambi comuni della provincia di Varese), titoli che suo padre Camillo Litta aveva ottenuto dall’imperatore Carlo VI nel 1717. Fu Eugenio ad aggiungere nel 1767 il cognome Modignani al proprio dando così origine ad uno dei tre rami dell’antico e prestigioso casato dei Litta (gli altri due furono i Litta Visconti Arese e i Litta Biumi). La ragione di tale modifica risale al matrimonio, avvenuto nel 1699, tra Francesca Isabella Litta, sua zia paterna, e il conte Giovanni Battista Modignani, il quale aveva disposto nel proprio testamento il passaggio di eredità e cognome al nipote.
Eugenio sposò nel 1764 Giuseppa Orrigoni, da cui ebbe Giovanni Battista (1767-1837), che ereditò in seguito il palco scaligero. Questi fu Imperial Regio Ciambellano e nel 1794 si unì in matrimonio con Beatrice Cusani Visconti.
Nel 1809 utente del palco risulta Nicolás Blasco de Orozco y Gómez (1768-1849), nativo di Bilbao, cavaliere di San Juan, nonché ministro plenipotenziario di Spagna presso la Repubblica Cisalpina; nel 1810 condivide il palco con Tommaso Nava (1847-1829), la cui consorte, Fulvia Tecchi, era amica di Ugo Foscolo.
Nel 1815 il palco torna a Giovanni Battista Litta Modignani: dopo la sua morte rimane in eredità per passare nel 1844 al figlio Eugenio <2.> Litta Modignani (1794-1847), che abbraccia la vita religiosa.
Alla sua morte il palco passa dai Litta Modignani a un altro illustre casato, i Melzi d’Eril. L’acquirente è Lodovico Melzi d’Eril (1820-1886), Cavaliere di Malta e Imperial Regio Ciambellano. Nel 1838 egli ospita l’imperatore d’Austria Ferdinando I nella sua villa di Bellagio sul lago di Como; la splendida dimora era stata costruita, tra il 1808 e il 1810, come villa di delizia estiva della famiglia, dal prozio di Lodovico, Francesco, brillante uomo politico del periodo napoleonico. Oggi monumento nazionale, vanta un ampio giardino all’inglese opera dell’architetto Luigi Canonica e del botanico Luigi Villoresi.
Lodovico, da parte sua, rimodella e rinnova in stile neoclassico il palazzo di città, in Contrada della Cavalchina (oggi via Manin), acquistato dal prozio per abitarci con la prima moglie, Luigia Brignole Sale e con la seconda Giuseppina Barbò (1830-1923), vedova di suo cugino Giacomo Melzi d’Eril. In seguito alla morte del marito, al quale sopravvive per oltre trent’anni, eredita il palco e ne è proprietaria sino al 1920, quando si costituisce l’Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 13, II ordine, settore sinistro

Un palco tra aristocratici, borghesi e … femministe
Primo proprietario del palco fu il marchese Giovanni Battista d’Adda (1737-1784), figlio di primo letto di Febo (ci è ignoto il nome della madre, morta nel 1743), il quale si risposò in seguito con Ippolita Bigli. Giovanni Battista si unì in matrimonio nel 1771 con Margherita Litta Visconti Arese. Decurione di Milano e Ciambellano imperiale ebbe un ruolo importante nelle trattative col governo austriaco che portarono all’edificazione del nuovo Teatro alla Scala dopo l’incendio del Teatro ducale. Il marchese era grande ammiratore del Piermarini e a lui affidò la ristrutturazione della villa di delizia a Cassano d’Adda.
Nel 1793 e nel 1794 il palco risulta intestato al conte Gerolamo Arrigoni, figlio di Domenico e Paola Carcano.
Nel 1795 ritorna nella disponibilità degli eredi di Giovanni Battista d’Adda per essere, nel 1809, intestato al figlio Ferdinando (1776-1844), insignito del titolo di Cavaliere di Malta, il quale sposò nel 1804 Costanza Anguissola. A lui rimase sino al 1836, con l’eccezione degli anni compresi tra il 1813 e il 1817, in cui ne fu proprietario il fratello maggiore Febo (1772-1836), maritato nel 1794 con Marie Leopoldine von Khevenhüller-Metsch, figlia del conte Johann Emanuel. Febo d’Adda ricoprì numerosi incarichi politici e istituzionali, ad esempio fu Decurione della città di Milano, Ciambellano Imperiale e vicepresidente del governo della Lombardia.
Nel 1837 il palco passò da Ferdinando d’Adda alla marchesa Clementina Cusani (1803-1882): si tratta di Cherubina Clementina Botta Adorno, figlia del marchese Luigi Maria e di Teresa Beccaria, quest´ultima nata da Giacomo, zio dell’illuminista Cesare. Clementina sposò nel 1819 il marchese Francesco Cusani Visconti portando in dote alla famiglia del marito i cognomi e l’ingente patrimonio delle casate Botta e Adorno, delle quali era ultima erede.
Nel 1856 proprietario divenne il facoltoso avvocato Giovanni Pietro Antona Traversi (1824-1900), figlio di Francesco Antona Cordara e Margherita Traversi, il quale nel 1856 scelse di assumere il cognome dello zio materno avendo ereditato da questi nel 1854 tutte le sostanze di famiglia. Giovanni ebbe rapporti con Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi e, a seguito dell’unificazione nazionale, fu più volte deputato alla Camera nelle file della Sinistra italiana. Nel 1855 Giovanni sposò la diciottenne Claudia Grismondi Suardo, alla quale regalò come dono di nozze un asilo infantile, costruito nel parco della residenza di famiglia a Sannazzaro de’ Burgondi (Pavia), assecondando le passioni pedagogiche e assistenzialiste della giovane moglie, femminista ante litteram.
La famiglia Antona Traversi possedeva anche un palazzo milanese, oggi in via Manzoni 10, parte del quale attualmente ospita le Gallerie d’Italia, e anche la villa di Meda ancor oggi esistente, costruita a inizio Ottocento dall’architetto Leopold Pollack ampliando il monastero femminile di San Vittore, abolito nel 1798 dai francesi della Repubblica cisalpina; Giovanni Antona Traversi e i discendenti misero mano e soldi nell’altrettanto prestigiosa villa di Desio, oggi nota come villa Cusani Tittoni Traversi.
Agli albori del Novecento, per successione, la titolarità del palco passò alla “coppia” formata da Beatrice Antona Traversi, detta Bice (1861-1944?), figlia di Giovanni e Claudia, e dal primogenito Antonio (1889-1962) avuto da Tommaso Tittoni, sposato nel 1888. Se Tommaso Tittoni fu uomo di punta della Destra storica, deputato, senatore, ambasciatore a Parigi, Beatrice ereditò dalla madre la passione per la letteratura e per l’impegno sociale: “figurina bionda, arguta, piena d’attività … scrittrice quando ne ha il tempo”, ci dicono le cronache del tempo, fu una delle attiviste del movimento emancipazionista partecipando al primo Congresso nazionale delle donne italiane, nel 1908. Nella sua lunga vita (fu testimone a Roma, ultraottantenne, nel palazzo Tittoni, dell’attentato di via Rasella) continuò a portare avanti le ragioni delle donne. Il figlio Antonio, ingegnere, compare come unico intestatario del palco dal 1917 sino al 1920, quando si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 14, II ordine, settore sinistro

Il palco della “più antica amica” di Giuseppe Verdi
La personalità che sicuramente emerge tra tutti i palchettisti del n° 14 è quella di Giuseppina Morosini, forte presenza femminile dell’Ottocento italiano per il suo attivismo risorgimentale, per la sua fede garibaldina e per i suoi carteggi con compositori del calibro di Giuseppe Verdi. Giuseppina ha poi inciso profondamente, con afflato filantropico, sulla Milano post-unitaria. Ricostruire la storia del palco è come ricostruire la storia della città, e non solo.
Primi proprietari furono Lorenzo Taverna (1719-1794), figlio di Costanzo e Teresa Visconti e conte di Landriano (Pavia), e sua moglie, con la quale era sposato dal 1747, Anna Lonati Visconti (1729-1792), figlia del marchese Carlo e di Maria Antonia Bellisomi. Il conte Lorenzo fece parte di alcune importanti istituzioni della città di Milano: fu membro del Consiglio generale dei 60 Decurioni nel 1753 e della magistratura dei 12 di Provvisione nel 1757 e nel 1759.
I Taverna lasciarono il palco alla famiglia Porro Carcano, dapprima per tre soli anni (dal 1782 al 1784, dal 1785 al 1789 compare ancora proprietaria Anna Lonati Visconti) e poi definitivamente a partire dal 1790. Ne divenne proprietario il marchese Giorgio Porro Carcano (1729–1790), figlio di Berardo e Elisabetta Pozzobonelli: il marchese sposò in prime nozze nel 1768 Maria Odescalchi e in seconde nel 1779 Maria Margherita Borromeo Arese.
Nel 1809 e nel 1810 utilizza il palco il nobile Alessandro Terzaghi, marchese di Gorla Maggiore, benefattore illuminato, che diverrà proprietario dal 1823 di un altro palco n° 14 “nella prima fila alla destra entrando”.
Nel 1813 tornano nuovamente i Porro Carcano, nella persona del conte Gilberto (1751-1837), figlio di secondo letto di Giorgio.
Nel 1825 e nell’anno seguente intestataria è Lucia Pallavicini Ala Ponzone (1772-1846), figlia di Gianfrancesco Ala Ponzone e Paola Cattaneo, coniugata con il marchese Antonio Pallavicini; compare tra le dame di palazzo “né moglie né vedova di Consiglieri intimi o Ciambellani” nel complicatissimo e rigidissimo cerimoniale di corte di Sua Maestà e Regina Carlotta Augusta. Ancora una Pallavicini succede a Lucia: è Teresa Pallavicini Barbò (1779-1830) rimasta famosa per la lussuosa villa che volle costruire a Monza - concorde il marito Girolamo - villa che dal 1935 ad oggi è sede del Collegio Guastalla. La contessa appare intestataria dal 1827 al 1831, ancora un anno dopo la sua morte; nella storia dei palchi scaligeri, un proprietario poteva mantenere la titolarità anche qualche anno successivo alla sua morte, finché non veniva comunicato ufficialmente il passaggio di proprietà o di intestazione.
Dal 1832 al 1848 il palco passò nelle mani di Gaetana Abrami moglie e poi vedova di Francesco Prati, dama di carità con un passato di ballerina tra La Scala e La Fenice, ai tempi di Salvatore Viganò e della famosa coppia Giovanni e Teresa Coralli.
Dopo i moti risorgimentali, quando le fonti riprendono a elencare i proprietari dei palchi scaligeri, troviamo il nome del conte dottore ingegnere Alessandro Negroni Prati (1809–1870), sposato nel 1851 con Giuseppina Morosini (1824–1909), che subentra al marito nel 1873.
Giuseppina riceve un’educazione “patriottica” dalla madre Emilia Maria Magdalena Taddhea Zeltner (il padre, Giovanni Battista, membro del Consiglio di stato del Ticino, chiederà addirittura la cittadinanza austriaca, in aperta antitesi con le tendenze politiche della consorte, salonnière dalla personalità forte e indipendente) nella villa di Vezia, nei pressi di Lugano. Qui saranno ospiti patrioti esuli, teorici del pensiero repubblicano e liberale, esponenti del dissenso anti-asburgico. Giuseppina vive e cresce tra Vezia e Milano con le sorelle Luigia, Annetta, Carolina, Cristina, e con il fratello Emilio condividendo le passioni liberali della madre e prendendo parte attiva alla preparazione dei moti milanesi del 1848. Emilio morì, come Luciano Manara e Enrico Dandolo, nel 1849 dopo la breccia di porta Pia a Roma, lasciando così Giuseppina padrona della villa di Vezia, ereditata da lei e dal marito Alessandro Negroni Prati dopo la morte dei genitori, oggi ancora nota come Villa Negroni. In quegli anni, Villa Negroni divenne il porto sicuro di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Cesare Correnti, Carlo Cattaneo, Cesare Giulini, Francesco Restelli, Federico Bellazzi e tanti altri sostenitori delle aspirazioni indipendentiste e unitarie degli Italiani; Giuseppina sostenne in prima persona la spedizione dei Mille. Oltre che con i patrioti e i politici, la contessa Morosini ebbe contatti diretti con i protagonisti dell’ottocento artistico milanese e non solo: basti dire che Andrea Maffei scrisse l’ode per il suo matrimonio e che Francesco Hayez la ritrasse nel 1853; assai noti i due ritratti della figlia dei coniugi Negroni-Prato, Antonietta, dipinta da Hayez prima da bambina e poi da adulta, in due quadri considerati tra i capolavori del pittore.
E poi, Giuseppe Verdi: il compositore intrattenne con Giuseppina e con tutta la famiglia Morosini – iniziando dalla madre Emilia – una corrispondenza datata tra il 1842 (sono gli anni del Nabucco) e il 1901, anno della morte; un arco cronologico tra i più ampi dell’intero epistolario verdiano. Giuseppina, che assistette dal palco a tutte le prime scaligere delle opere verdiane, era considerata dal compositore “la più antica amica”; la contessa Morosini aveva intuito precocemente la portata storica del linguaggio verdiano. Così come aveva intuito il valore di Arrigo Boito: dal palco, assistette alla prima di Mefistofele.
La nobildonna fu anche tra i cofondatori del giornale politico La Perseveranza, pubblicato a Milano dal 1860; a riprova della notorietà ma anche della stima cittadina si leggano i necrologi che comparvero anche sulla nota rivista edita da Ricordi “Ars et labor”. Ormai vedova di Alessandro Negroni Prati, Giuseppina ricevette nel 1886, direttamente da Re Umberto I, il titolo di contessa, trasmissibile al figlio Giovanni Antonio Negroni Prati Morosini (1861-1932), che condivise il palco con il fratello minore Vincenzo (un terzo fratello, Emilio, era morto a pochi mesi dalla nascita); dopo la morte di Vincenzo, appena ventenne, Govanni Antonio rimase unico proprietario sino al 1920, quando si costituì l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano iniziò l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 15, II ordine, settore sinistro

Il palco del Cavaliere delegato
Prima proprietaria del palco fu la marchesa Ippolita d’Adda, nata Bigli, figlia del conte Vitaliano e di Giovanna Cusani Visconti. Ippolita fu la seconda moglie del marchese Febo d’Adda, morto nel 1757; della prima moglie non si conosce il nome ma si sa che morì nel 1743 e che gli diede Giovanni Battista d’Adda (1737–1784), al quale risulta intestato il palco scaligero nel 1783 e nel 1784. Sposatosi nel 1771 con Margherita Litta Visconti Arese, Giovanni Battista ricoprì importanti cariche istituzionali, tra cui quella di Decurione della città di Milano e di Ciambellano imperiale e fu diretta parte in causa, dopo l’incendio del Teatro ducale, nelle trattative col governo austriaco in merito alla realizzazione del futuro Teatro alla Scala. Ammiratore del Piermarini, a lui affidò la ristrutturazione della villa di delizia a Cassano d’Adda.
Alla sua morte, il palco passò al conte Vitaliano Bigli (1731-1804), figlio di Gaspare, fratello di Ippolita, e di Francesca Visconti e coniugato nel 1752 con Claudia Caterina ClericiClaudia Bigli Clerici. Il conte Bigli, come il marchese D’Adda, ebbe un ruolo chiave nelle contrattazioni con gli austriaci per l’edificazione del Teatro alla Scala: venne infatti nominato, assieme al marchese Pompeo Litta Visconti Arese e al duca Giovanni Serbelloni, Cavaliere Delegato per il Corpo dei palchettisti dell´erigendo nuovo Teatro Grande (Teatro alla Scala). Ai Bigli apparteneva la residenza milanese ancor oggi in via Borgonovo 20, all’epoca contrada di Borgo Novo, che era conosciuta anche come "contrada dei nobili" o in milanese "dei sciuri" per la ricchezza e la quantità dei palazzi di famiglie aristocratiche. All’edificio originario fu aggiunto nel corso del Settecento uno scalone - purtroppo distrutto - progettato da Luigi Vanvitelli, la realizzazione fu poi diretta dal suo allievo, Giuseppe Piermarini, l’architetto della Scala. Il palazzo dal 1828 al 1855 fu proprietà e dimora di Giulia Pahlen Samoyloff, bellissima contessa russa amante del compositore Giovanni Pacini, che lo trasformò in uno dei luoghi più alla moda della Milano ottocentesca.
Utilizzato nel 1809 e nel 1810 da Teresa Frapolli, probabilmente imparentata con Carolina, “giardiniera”, patriota, madre di Teresa Berra Kramer, nel 1813 il palco è di proprietà della sorella di Vitaliano, Fulvia Crivelli erede Bigli (1741-1828), ultima discendente della sua illustre casata, dama dell’Ordine della Croce Stellata e coniugata nel 1759 con il marchese Tiberio Crivelli. Da questo momento, il palco rimarrà ai Crivelli, prima a Paolo (1770-1837), indicato come proprietario nel 1837, figlio di Fulvia e Tiberio; poi ancora alla marchesa Fulvia e, dal 1840, al figlio Luigi (1819-1901), sindaco di Inverigo e coniugato con Carolina Medici di Marignano, proprietario del luogo più famoso della cittadina briantea, la cosiddetta Rotonda.
Infine, alla morte di Luigi, il palco passò a Vitaliano Crivelli (1878-1926), bisnipote di Enea, fratello di quel Paolo che ne era stato proprietario nel 1837. Vitaliano, coniugato nel 1900 con Giustina Sormani Andreani Verri, risiedeva nel prestigioso palazzo di famiglia in Via Pontaccio 12 a Milano; a lui appartenne il palco sino al 1920, anno in cui si costituisce l’Ente Autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
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Palco n° 16, II ordine, settore sinistro

Gallarati Scotti
Primo proprietario del palco è il patrizio milanese Giuseppe Gallarati Scotti (1750-1786), figlio di Giovanni Battista e di Maria Teresa Spinola discendente dell’illustre famiglia genovese. Giovanni Battista, nato Gallarati, venne nominato erede dal patrigno, il commendatore Giambattista Scotti, secondo marito della madre di Giovanni Battista, Anna Ghisleri, dando così inizio al casato dei Gallarati Scotti. Con l’eredità degli Scotti, Giovanni Battista ricevette anche la villa di delizia a Oreno (oggi frazione di Vimercate), costruita secondo il gusto barocco e che egli contribuì ad abbellire in stile neoclassico.
Dal 1780 al 1784 con don Giuseppe compaiono i fratelli Scotti, Camilla, Costanzo e Francesco, che condividono il palco, dopo la morte di Giuseppe, sino al 1789.
Nel 1790 subentra il figlio di Giuseppe e di Costanza Orsola Belloni, Carlo Gallarati Scotti (1775–1840), che dalla madre acquisisce nuovi feudi e titoli: fu oltre che conte di Colturano, duca di San Pietro in Galatina, principe di Molfetta e grande di Spagna di prima classe. Infine nel 1838 ricevette dall’Imperatore la massima onorificenza degli Asburgo, quella di Cavaliere dell’Ordine del Toson d’Oro. Risulta proprietario del palco scaligero, salvo brevi interruzioni, sino alla morte. Sposato nel 1814 con Francesca Guerrieri Gonzaga, sua cugina di primo grado (figlia di Camilla Gallarati Scotti, sorella di Giuseppe), ebbe da lei tredici figli.
Il primogenito, Tommaso Gallarati Scotti (1819–1905), ereditò i titoli nobiliari paterni e la proprietà del palco, che gli è intestato dal 1844 sino al 1905. Nel 1847 Tommaso sposò Barbara Melzi d’Eril e la coppia ebbe nove figli; è il maggiore di questi, Gian Carlo Gallarati Scotti (1854–1927), coniugato nel 1878 con la cugina Luigia Melzi d’Eril, ultimo titolare sino al 1920, quando si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 17, II ordine, settore sinistro

Nobili e industriali, filoaustriaci e patrioti
La sera dell’apertura della Scala la famiglia Archinto occupa due palchi, il n° 10 in III ordine a sinistra e, più prestigioso, il n° 17 in II ordine a sinistra, vicino quindi al palco della Corona. Il secondo, dal 1778 al 1862 - la continuità si spezza sotto Napoleone, quando nel 1809-1810 utente del palco è il conte Luigi Brebbia - per novant´anni risulta di proprietà degli Archinto, antica famiglia della nobiltà feudale proveniente dalla Brianza e stabilitasi a Milano nel XIII secolo. Dei diversi rami del casato, nel XVIII secolo rimane quello di Lainate, che conserva il titolo comitale. Il suo capostipite Carlo , Decurione di Milano e gentiluomo di camera dell’Imperatore, attraverso un’accorta politica matrimoniale, fa sì che i suoi cinque figli e lui stesso si leghino alle famiglie più eminenti del patriziato milanese: Barbiano di Belgiojoso, Borromeo Arese, Trivulzio, Lucini, Trotti, Clerici.
Il primo proprietario del palco è il nipote omonimo Carlo Archinto (1734-1804), coniugato con una discendente di un altro altrettanto illustre casato lombardo-romano, Maria Girolama Erba Odescalchi. Gli Archinto abitavano dalla fine del Seicento nella sontuosa dimora di via Olmetto a Milano, dotata di una ricca biblioteca fondata dal nonno Carlo oggi purtroppo andata perduta, dove era stato bibliotecario l’erudito bolognese Filippo Argelati, al quale nel capoluogo lombardo è intitolata una via. I bombardamenti del 1943 distrussero quasi completamente il palazzo lasciando intatti soltanto gli eleganti cortili a portici che ancora oggi possiamo ammirare; in questo tragico evento andarono distrutti numerosi affreschi che decoravano i soffitti, tra cui un intero ciclo di Giambattista Tiepolo realizzato tra il 1730 e il 1731 per celebrare le nozze di Filippo, padre di Carlo.
La coppia non ha figli e la discendenza prosegue attraverso il nipote Giuseppe Archinto (1783-1861) figlio del cugino Luigi. Giuseppe, insieme al padre, all’arrivo dei francesi nel 1796, aveva scelto di spostare la propria dimora a Pisa, ma divenuto unico erede dei beni di tutta la dinastia, compresi i due palchi alla Scala, è obbligato da disposizioni testamentarie a ristabilire il domicilio a Milano. Ritorna quindi, ma solo dopo la Restaurazione, nel palazzo di via Olmetto venduto però dopo qualche anno per stabilirsi in un nuovo palazzo in via della Passione 12, per la cui costruzione spende la cifra da capogiro di 3 milioni di lire. Giuseppe, negli anni della Restaurazione, è con Pompeo Litta Visconti Arese il più ricco tra i patrizi milanesi, grazie alla politica familiare di conservazione dei beni in Archinto, senza dispersione nelle linee femminili e cadette. Nel 1819 sposò Maria Cristina Trivulzio ed ebbe da lei il figlio Luigi. Educato a Vienna nell’I. R. Collegio Teresianum, Giuseppe disapprovava le simpatie democratiche e antiaustriache del figlio; un duro colpo per il genitore fu la scelta di Luigi di prender parte alle Cinque Giornate di Milano del 1848 e, dopo il ritorno degli austriaci, il trasferimento in Piemonte dove si arruola nella cavalleria sabauda partecipando alla prima guerra d’indipendenza. Giuseppe Archinto mantenne sempre un tenore di vita molto alto e non badò a spese, dissipando gran parte del patrimonio familiare. Della sua vita fastosa e del suo orgoglio si narrano diversi episodi. Essendo presidente delle Ferrovie dell’Alta Italia, rifiutò il vistoso emolumento dicendo che «un conte Archinto non si fa pagare da nessuno».
Alla morte del padre, Luigi fu costretto a vendere la quasi totalità dei beni, tra di essi il Palazzo di via della Passione (“svenduto”per 600.000 lire ) e anche i due palchi alla Scala. Il palazzo Archinto, acquistato dalla Stato, divenne dal 1865 la sede definitia ed attuale del Collegio Reale delle Fanciulle, fondato da Napoleone nel 1808 e dal 1986 Educandato Statale Setti Carraro Dalla Chiesa.
Il palco in seconda fila passò ad Andrea Ponti (1821-1888), appartenente a una facoltosa famiglia di industriali tessili di Gallarate e coniugato con Virginia Pigna. Nipote di Andrea senior, il fondatore dell’azienda di famiglia, Andrea fu una figura di primo piano tra gli imprenditori lombardi dell’Ottocento in un’epoca caratterizzata dallo straordinario sviluppo innescato dalla nascita delle prime fabbriche meccanizzate di filati impiantate da mercanti-imprenditori di Busto Arsizio e Gallarate. Destinato a succedere al padre nella direzione degli impianti produttivi di famiglia, intraprese – con il futuro cognato e patriota mazziniano Luigi Borghi – un lungo viaggio di studio in Europa, visitando in particolare gli stabilimenti dell’Alsazia. Per tutta la vita fu un liberale convinto, attento alle vicende pubbliche, ma rifiutò ogni carica, pur prestigiosa, a eccezione del posto di consigliere a Gallarate nelle prime elezioni del nuovo stato unitario del 1860.
Ultimo proprietario del palco dal 1889 fu suo figlio Ettore (1855-1919) che affiancò all’attività imprenditoriale una brillante carriera politica: fu Senatore del Regno d’Italia e Sindaco di Milano dal 1905 al 1909. Dal 1901 al 1907 fece inoltre parte del direttivo della Società esercente il Teatro alla Scala, fondata dal duca Guido Visconti di Modrone per sopperire con risorse proprie alla decisione del Consiglio Comunale di abolire il finanziamento pubblico al Teatro milanese.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 5, III ordine, settore sinistro

Un palco e tre famiglie: Marliani, Cicogna Mozzoni e Greppi Belgiojoso
All’inaugurazione del Teatro alla Scala il palco risulta intestato agli eredi del conte di Busto Arsizio Paolo Camillo Marliani, figlio di Giovanni Raimondo e Anna Maddalena Cavazzi della Somaglia, morto nell´aprile del 1778; non avendo avuto figli maschi, con lui si estingue la linea dei conti di Busto Arsizio.
Dopo anni di giacenza in eredità, il palco passa nel 1790 ad un altro ramo della famiglia, condiviso dalle sorelle Bianca (?-1805) e Teresa Marliani (1748-1835), figlie di Carlo - l’ormai defunto fratello maggiore di Paolo Camillo - e da Gerolamo Gambarana (1725-1795), che aveva sposato la terza sorella Marliani, Anna. Bianca va in sposa a Pietro Pietrasanta, principe di San Pietro in Sicilia e conte di Cantù, e da lui ha Carlo Pietrasanta Reitano, indicato come proprietario dopo la morte della madre. Nel testamento Bianca istituisce come erede il figlio, con una clausola: entro tre anni dalla sua morte questi avrebbe dovuto ammogliarsi “in faccia alla Madre Chiesa”; in caso di inadempienza si sarebbe visto negare qualsiasi diritto di successione e tutti i beni sarebbero stati incamerati dall’Ospedale Maggiore di Milano. Tale condizione non risulta certo gradita al figlio, che sceglie di intentare causa. Nel frattempo conosce Fulvia Verri, la figlia del conte Pietro e di Vincenza Melzi d’Eril, e nel 1815 celebra con lei “le faustissime nozze” che ispirano al poeta Carlo Porta un sonetto. Il termine fissato dalla madre è però ormai trascorso e l’ospedale esige quanto dovuto. Il procedimento giudiziario viene interrotto dalla morte del principe di Pietrasanta; nel 1818 la vedova pone la parola fine alla vertenza versando nelle casse dell’istituto una lauta somma.
Teresa Marliani, sorella di Bianca, si unisce in matrimonio con Francesco Leopoldo Cicogna Mozzoni, che nel 1799 acquista il palazzo di Busto Arsizio, in precedenza dimora dei Marliani, ceduto poi nel 1822 all’amministrazione comunale.
Il conte Gerolamo Gambarana, figlio di Gaetano e Margherita Maria Gallarati, ciambellano imperiale, lascia il terzo del palco al figlio Giuseppe Gambarana Marliani, che eredita il feudo di Busto Arsizio, unisce al suo il cognome materno e affianca le zie nel palco.
Nel 1809, in pieno periodo napoleonico, compare quale affittuario serale del palco il nome di Paolo Monti.
La comproprietà finisce nel 1838 quando il palco compare intestato unicamente al conte Carlo Francesco Cicogna Mozzoni (1784-1857), figlio di Francesco Leopoldo e Teresa Marliani, coniugato nel 1837 con Francesca (detta Fanny) Calvi, fratello di Leopoldina sposata ad Alessandro Annoni, titolare del n° 8, I ordine destro.
Tra il 1858 e il 1862 subentra a Carlo Francesco suo figlio Gian Pietro Cicogna Mozzoni (1839-1917), capitano nel Regio Esercito e volontario nella Seconda e Terza guerra di indipendenza, coniugato nel 1866 con Luigia Cavazzi della Somaglia, detta “Gigia”.
Il 1863 segna l´ingresso nel palco di un´altra proprietà: titolare risulta infatti la marchesa Paolina Greppi (1837-1915), figlia di Giuseppe e Luigia Durini, sposata nel 1856 con Scipione Barbiano di Belgiojoso, vedovo allora del primo matrimonio con Carolina Borromeo; da non confondersi con Paolina Greppi Lester, l´amata di Giovanni Verga.
Nel 1916 il palco viene ereditato dai figli Antonio (1867-1922), marito di Emilia Dodici Schizzi, e Alberico Barbiano di Belgiojoso <2.> (1879-1966), architetto, coniugato con Margherita Confalonieri Strattmann.
Nel 1917 si aggiunge alla comproprietà l’amministratore ragioniere Mazzoni, presumibilmente legato alla famiglia: i tre saranno proprietari sino al 1920, anno in cui viene fondato l’Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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Palco n° 9, III ordine, settore sinistro

Uno dei palchi Bellotti
La storia del palco comincia con Giacomo Bianconi, affiancato solo nel 1779 dal fratello, il notaio Giovanni Battista.
Durante il periodo napoleonico il palco - come la maggioranza di quelli scaligeri - ha utenti diversi: nel 1809 è intestato a Giuseppe Antonio Borrani (1779-1831), subaffittuario dal 1799 della bottiglieria di fronte al Teatro alla Scala e proprietario, da prima del 1820, del Caffè del Teatro, già di Francesco Cambiasi e dal 1832 divenuto Caffé Martini. Potremmo definirlo un faccendiere: aveva a sua disposizione almeno undici palchi, nel secondo, terzo e quarto ordine e in entrambi i settori, li affittava in genere per una singola serata - come si vede chiaramente nel 1810 - o li subaffittava per conto terzi, magari per qualche proprietario di tendenze filo-asburgiche che aveva lasciato Milano ma non voleva perdere un bene prezioso. Nel 1810 troviamo Elisabetta Gafforini, prima cantante di camera di Napoleone, famoso contralto. Nel 1813 il palco ritorna a Giacomo Bianconi cui subentrerà, nel 1818, il possidente Antonio Bianconi, figlio di Giovanni Battista.
Nel 1823 il palco passa a Pietro Bellotti, assessore della Congregazione municipale di Milano nonché membro della Società di incoraggiamento di arti e mestieri. Abitava in Corso di Porta Orientale (oggi Corso Venezia) al 648, sede del Seminario arcivescovile. La famiglia Bellotti, di origine novarese, annovera numerosi ingegneri e notai (quest’ultima professione veniva solitamente esercitata dal figlio primogenito). È ingegnere ad esempio Gaetano, zio paterno del nostro palchettista, il quale si divide tra libera professione e servizio pubblico; a lui vengono affidate nel 1788 le riparazioni urgenti per il Teatro alla Scala. Gaetano, grazie a oculati investimenti fondiari, riesce a incrementare notevolmente il patrimonio famigliare. Rimasto celibe, al momento di fare testamento (due anni prima della morte avvenuta nel 1814), nomina eredi i tre nipoti, figli del fratello Giovanni Pietro. Pietro è uno di questi; gli altri sono Cristoforo <1.>, ingegnere e architetto, proprietario del n° 7, I ordine, settore destro e Felice, che pur non essendo proprietario di palco, è il nome più noto e ricordato della famiglia, onorato dell’intitolazione di una via milanese, vicino a Porta Venezia, nella serie di vie intestate a patrioti. Felice, infatti, laureato a Pavia in giurisprudenza, traduttore di tragedie greche, ha la vita segnata dall’amor patrio che connota la sua celebre ode “La liberazione di Milano”, nella quale inneggia alla sconfitta degli austriaci dopo le Cinque giornate. Il suo busto campeggia nel portico superiore del palazzo di Brera, con queste parole: «A Felice Bellotti che cittadino e letterato sempre intese al perfetto di tutte le Belle Arti fu amatore studioso non cercò né bramò gli onori li meritò severamente sdegnoso di ogni abbiezione amici ed ammiratori posero l’anno MDCCCLX ed al suo busto vollero unite le effigie dei tre sommi greci tragedi da lui con altezza di mente e squisito sentire tradotti all’italica poesia».
Il fratello palchettista, Pietro, sposato a Carolina Mazzeri, ha il merito di aver generato un appassionato naturalista, Cristoforo <2.>, ittiologo e paleontologo, e Maria Bellotti, cui il palco è intestato dal 1860. Maria è la moglie dell´ufficiale Agostino Petitti Bagliani conte di Roreto, dal quale ha due figlie: Teresa Maria e Vittoria Emanuela. Il conte di Roreto durante la Prima guerra d’indipendenza è al comando del Corpo di Artiglieria, poi partecipa alla Seconda e alla Terza guerra d’indipendenza ed è nominato Ministro della guerra sotto i governi di Urbano Rattazzi e di Alfonso La Marmora.
Nel 1890 il palco appartiene a Giuseppe Giulini, conte di Vialba e Villapizzone (oggi entrambi quartieri di Milano) e figlio di Alessandro e Giuseppina Padulli; egli sposa nel 1895 la baronessa Emilia Ajroldi di Robbiate e ha da lei una figlia, Paola.
Dal 1902 la proprietà del palco passa a Laura Giulini vedova Ricordi. La nobile Laura (forse sorella o cugina di Giuseppe) nel 1870 aveva sposato Enrico Ricordi (1848-1887), il quinto figlio del celebre editore Tito I e fratello di quel Giulio che in seguito alla morte del genitore avrebbe assunto la direzione della ditta fondata dal nonno Giovanni. La vedova di Enrico era entrata nel 1896 con altri come socio accomandatario quando si era dimesso Gustavo Strazza, nipote dell’ex rivale di Ricordi, Francesco Lucca, proprietario del palco n° 11 del IV ordine sinistro. Laura ed Enrico hanno un figlio, Alberto, che compare come palchettista nel palco di famiglia, il n° 19 del IV ordine destro, anch’egli dal 1902, il che fa presumere che in quel primo Novecento i Ricordi si fossero redistribuiti l’eredità scaligera e non solo.
Laura Giulini Ricordi è l´ultima titolare: nel 1920 si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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Palco n° 10, III ordine, settore sinistro

Un palco, due famiglie: Archinto e Mazzucchelli
Dall’inaugurazione del Teatro sino al 1866 il palco appartenne, tranne due brevi parentesi (nel 1788-89 lo ebbero gli Arconati Visconti e nel 1809 Giuseppina Calvi), agli Archinto, ricca famiglia aristocratica originaria della Brianza. Il primo proprietario del palco scaligero fu il conte Carlo (1734-1804) figlio di Filippo e di Giulia Borromeo Arese. Gli Archinto abitarono dalla fine del Seicento nella sontuosa dimora in contrada dell´Olmetto 1351 a Milano, dotata di una ricca biblioteca fondata dal nonno Carlo, purtroppo andata perduta, dove era stato bibliotecario l’erudito bolognese Filippo Argelati, al quale nel capoluogo lombardo è intitolata una via. I bombardamenti del 1943 distrussero quasi completamente il palazzo lasciando intatti soltanto gli eleganti cortili a portici che ancora oggi possiamo ammirare; in questo tragico evento andarono distrutti numerosi affreschi che decoravano i soffitti, tra cui un intero ciclo di Giambattista Tiepolo realizzato tra il 1730 e il 1731 per celebrare le nozze di Filippo, padre di Carlo. Quest’ultimo si sposò con la marchesa Maria Erba Odescalchi; poiché non ebbe figli, nominò proprio erede universale il conte Giuseppe Archinto (1783-1861), figlio di suo cugino Luigi che, al momento dell’arrivo dei francesi nel 1796 si era spostato a Pisa. Obbligato da disposizioni testamentarie a ristabilire il domicilio a Milano ritornò, dopo la Restaurazione, nel palazzo di famiglia che però dopo qualche anno vendette per stabilirsi in via della Passione 12 (dove oggi si trova il Collegio delle Fanciulle dedicato a Emanuela Setti Carraro): la sua casa divenne ben presto il salotto della nobiltà cittadina. Nel 1819 il conte sposò Maria Cristina Trivulzio (1799-1852) ed ebbe da lei il figlio Luigi (1821-1899) che sposò Giulia Gargantini. Educato a Vienna, Giuseppe disapprovava le simpatie democratiche e antiaustriache del figlio; un duro colpo per il genitore fu la scelta di Luigi di prender parte alle Cinque giornate di Milano del 1848 e, dopo il ritorno degli austriaci, il trasferimento in Piemonte dove si arruolò nella cavalleria sabauda partecipando alla prima guerra d’indipendenza. Giuseppe Archinto mantenne sempre un tenore di vita molto alto e non badò a spese dissipando così gran parte del patrimonio familiare; per questo motivo, alla morte del padre, Luigi fu costretto a vendere la quasi totalità dei beni, tra di essi il Palazzo di via della Passione e anche il palco che passò alla famiglia Mazzucchelli.
Dal 1867 ne fu proprietario il conte Giovanni Mazzucchelli, nipote di Gian Maria (1707-1765), letterato, storiografo e bibliografo, autore di un monumentale Dizionario degli scrittori d’Italia rimasto incompleto per la morte del suo autore. Giovanni qualche anno prima (1863) aveva acquistato da Enrico Manzoni, figlio del grande scrittore, la splendida villa di Renate in Brianza, costruita nella seconda metà del Settecento su progetto del Piermarini e qui morì nel 1874.
Nel 1884, dopo la giacenza in eredità, la proprietà del palco passò alle due figlie Clementina ed Elena Mazzucchelli. Clementina sposò il cavaliere Giuseppe Lattuada ed Elena l’avvocato Costanzo Gagnola. Elena, rimasta unica proprietaria dal 1906 al 1918, lasciò infine il palco a Dante Gaslini, ragioniere, commendatore, nonché presidente del Monte di Pietà di Milano: fu l´ultimo titolare, in quanto il Comune proclamò nel 1920 l´esproprio dei palchi e si costituì l´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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Palco n° 12, III ordine, settore sinistro

Il palco di Emilio Gola
La storia del palco ha inizio con due proprietari, i cugini Giorgio Cattaneo (1705-1778), barone di Mandelberg, ricco proprietario di terreni nel Lecchese, erede del patrimonio e del titolo dell’omonimo zio vescovo di Vigevano, e Giulio Fedeli (1717-1789), erede del cugino e unico intestatario, dal 1779 sino alla morte. Figlio di Giovanni Antonio e Maria Gioseffa Ferrari, Giulio Fedeli, talvolta anche Fedele, era di origini monzesi e si trasferì a Milano nel 1752, ancora celibe, in Contrada delle Spiga 1395 (oggi palazzo Garzanti, al n. 30 dell’omonima via); due i matrimoni: il primo con Giulia Salazar, deceduta nel 1782; il secondo l’anno dopo con Gabriella Agazzi, o D’Ajazzo, vedova del marchese Grimaldi di Nizza. Il conte, ciambellano e gentiluomo da camera dell’Imperatore, membro di alcune antiche e prestigiose magistrature milanesi, quali i Sessanta Decurioni e i Dodici del Tribunale di Provvisione, morto senza discendenti, fu anche benefattore; fece infatti dono di 60.000 lire al Pio Albergo Trivulzio e istituì con testamento del 23 marzo 1783 erede universale l’Ospedale Maggiore “Ca’ Granda” che tuttora conserva nella quadreria un suo ritratto realizzato da Anton Francesco Biondi; la collezione di quadri andò invece al conte di Khewenhüller, pluripalchettista. Venne sepolto nella chiesa di S. Giovanni alla Castagna a Lecco.
Nel palco – rimasto giacente in eredità un paio d’anni – subentra nel 1792 Antonio Dugnani (1729-1806): alla sua famiglia appartiene il palazzo affacciato sui Giardini Pubblici.
Nel 1809 e 1810, anni di dominio napoleonico è “utente” del palco Giuseppa Cambiago Lavezzari, possidente, in perenne lotta con il suo ex marito Antonio Cambiago.
Nel 1813, quando dopo la sconfitta di Lipsia si incrina il trionfo dei francesi, ritornano i vecchi proprietari: il palco rimane giacente in eredità ai Dugnani, nel 1821 e 1822 passa alla vedova Teresa Carolina Lampugnani (1746-1822) e da lei alla figlia, la contessa Clara Gola Dugnani, morta nel 1825 a soli 23 anni, lasciando un disperato coniuge, il conte Gerolamo Gola, e il figlioletto Carlo.
Giacente in eredità, il palco passa a Carlo Gola (1817-1889), ormai maggiorenne e sposato con Irene della Porta, che lo terrà dal 1837 sino alla morte. La famiglia Gola ha casa a Milano in via Stella, attuale via Corridoni, ma eredita dai Dugnani – grazie al matrimonio tra Clara e Gerolamo – anche la villa di delizia a Olgiate Molgora (Lecco). Qui abiterà Emilio Gola (1851-1923), figlio di Carlo, proprietario del palco dal 1902, dopo un altro lungo periodo di eredità giacente.
Emilio Gola è uno degli artisti più significativi del periodo tra Otto e Novecento: pur conseguendo nel 1873 la laurea in ingegneria industriale al Politecnico di Milano, sceglie di dedicarsi alla pittura, sua vera grande passione, incoraggiata dal padre, pittore dilettante, che lo fa studiare con Sebastiano De Albertis. Emilio intraprende con il padre ripetuti viaggi di formazione in Olanda, dove rimane colpito dalle opere dei fiamminghi mostrando una particolare predilezione per Rembrandt, e a Parigi, dove ammira gli impressionisti. Esordisce all’Esposizione Annuale di Brera nel 1879 ma deve il suo successo internazionale alla vittoria di una medaglia d’oro all’Esposizione universale di Parigi nel 1889, cui seguono numerosi altri riconoscimenti. Tra i temi che ricorrono più frequentemente nelle sue opere si ricordano il ricco repertorio di vedute milanesi e in particolare dei Navigli - testimonianza preziosa di una Milano ormai scomparsa - e i paesaggi brianzoli. Nel 1904 Emilio Gola si unisce in matrimonio a Venezia con Maria, figlia del nobile Fabio Mannati, dalla quale ha nel 1906 un solo figlio di nome Carlo come il nonno.
Il pittore è l´ultimo possessore: nel 1920 si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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Palco n° 13, III ordine, settore sinistro

Il palco Arnaboldi Gazzaniga
La storia del palco inizia con il conte di Monza Gian Giacomo Durini (1717-1794), figlio di Giovanni Battista e Isabella Anna Archinto, coniugato nel 1751 con Maria Anna Ruffino. Gian Giacomo è Decurione di Milano, membro dell’antica e prestigiosa magistratura dei XII di Provvisione e Consigliere di stato. Già palchettista al Ducale, ebbe un ruolo di protagonista nelle trattative con la Casa d’Austria per la costruzione del nuovo teatro: infatti come conte di Monza aveva concesso il terreno per costruire la Villa reale e il teatro annesso, che l’architetto Giuseppe Piermarini aveva disegnato come una Scala in miniatura. Alla sua morte, il titolo nobiliare - e con esso il palco - passa al figlio maggiore Carlo Francesco (1753-1833) coniugato nel 1782 a Carolina Trotti Bentivoglio.
Nel 1809, in pieno periodo napoleonico, troviamo come utente del palco Giuseppe Antonio Borrani, subaffittuario dal 1799 della bottiglieria di fronte al Teatro alla Scala e proprietario, da prima del 1820, del Caffè del Teatro, un locale di grido fondato da Francesco Cambiasi e preso poi dal 1832 da Giovanni Martini, divenendo Caffè Martini. Borrani compare come affittuario, probabilmente per conto di famiglie aristocratiche filo-asburgiche che, per prudenza o convenienza, avevano lasciato Milano dopo le conquiste napoleoniche ma volevano conservare le proprietà nel teatro. Borrani poteva affittare per spettacoli serali talvolta alternandosi con i palchettisti titolari: a sua disposizione aveva almeno undici palchi, nel II, III e IV ordine, in entrambi i settori. Sicuramente si arricchì, ma il suo nome non compare più nelle fonti successive alle disfatte dell´Imperatore Bonaparte e nel 1813 i palchi torneranno ai proprietari precedenti al periodo napoleonico o a nuovi acquirenti.
Il palco ritorna infatti agli eredi di Giovanni Battista Calvi (1754-1809), figlio di Gerolamo Agostino e Lucia Lavezzari, coniugato con Giuseppina dell’Acqua. Era questi negoziante di cotone e lane e musicista dilettante.
Tra il 1827 e il 1831 il palco risulta intestato a suo nipote Giovanni Battista Biella, nato dal secondo matrimonio di Francesca Calvi, figlia ed erede di Giovanni Battista e Giuseppina, con Felice Biella, di ben trentasei anni più vecchio di lei, vicepresidente dell’ I.R. Tribunale civile di prima istanza in Milano.
Dal 1832 il palco è intestato all’ingegnere Carlo Bellinzaghi (1791-1858), figlio di Alessandro e Carolina Pecis, proprietaria di un altro palco n° 13, nel I ordine sinistro; nel 1844 egli è membro del Consiglio comunale di Milano.
Dal 1837 il palco passa a Bernardo Marocco (1795-1839), primogenito di Giuseppe, che smercia telerie in contrada de’ Moroni 4120 e compravende olio, sapone e vini forestieri in Piazza Fontana, e di Giovannina Polti; il fratello minore, Pietro, letterato ed erudito, era noto per essersi opposto allo stile della lingua manzoniana. La figlia di Bernardo, Giovannina Marocco, ottiene il titolo di contessa in seguito al matrimonio con Stefano Arnaboldi Gazzaniga (1823-1866), che eredita il palco nel 1860; lei lo terrà dal 1864 al 1905.
La famiglia Arnaboldi Gazzaniga aveva vasti possedimenti nel pavese e nel 1799 si compra pure il Palazzo Isimbardi di Stradella, ancor oggi sede del Municipio. Lo zio materno Domenico aveva indicato nel testamento quale erede universale Carlo, fratello minore di Stefano, con l’obbligo di assumere accanto al proprio il cognome Gazzaniga e di prender residenza a Pavia, città di origine della famiglia. Essendo però Carlo ancora minorenne, la gestione del patrimonio è affidata a sua madre Maria, la quale - a causa della morte nello stesso anno anche del marito Cristoforo - si trova costretta ad amministrare un ingente patrimonio e per tale ragione sceglie di farsi aiutare da un suo uomo di fiducia, niente meno che il futuro statista Agostino Depretis.
Carlo muore celibe e senza figli nel 1873, così l’eredità passa al figlio di suo fratello Stefano e di Giovannina Marocco, Giuseppe Bernardo Arnaboldi Gazzaniga (1847-1918), che subentra come proprietario del palco nel 1906. Nelle fonti viene indicato come conte; il re Umberto I lo nomina infatti conte di Pirocco con regio decreto nel 1882 (il titolo era già stato conferito nel 1831 da Carlo Alberto a suo zio Stefano Pompeo ma non per eredi indiretti). Allievo della Reale Accademia Militare di Torino, Giuseppe Bernardo è luogotenente colonnello nella milizia territoriale dal 1879 al 1887; nel corso della sua vita si occupa sia dell’amministrazione dei terreni di famiglia che della cosa pubblica. Molte le cariche che ricopre, come quelle di consigliere e poi sindaco di Pavia: a lui si deve il mercato coperto con la cupola in ferro e vetro progettato da Ercole Balossi su modello delle Gallerie Vittorio Emanuele II a Milano e Umberto I a Napoli; come presidente del Consorzio agricolo pavese interviene in materia di economia e agraria, lasciando anche scritti in materia. Infine prima è deputato e, a partire dal 1911, senatore del Regno d’Italia. A Milano acquista il palazzo Manzoni, in piazza Belgiojoso, messo in vendita dagli eredi dopo la morte dello scrittore, e ne conserva integri gli ambienti interni in onore del grande milanese. Il conte infatti ha una grande passione per la letteratura e scrive poesie. La moglie è Maria Virginia Balossi Merlo (detta Gina), figlia di Ambrogio e Luigia Borghi. Dal loro matrimonio nascono tre femmine: Elena, Carla e Beatrice, detta Bice. Quest’ultima sposa il barone Paolo Ajroldi di Robbiate, genera Emilia, moglie di Paolo Brichetto Arnaboldi eroe partigiano medaglia di bronzo e d’argento al valor militare; sono i genitori di Letizia Moratti, prima donna sindaco di Milano, alla nascita Brichetto Arnaboldi.
Dopo la morte del senatore, è nella disponibilità degli eredi di Bernardo sino al 1920, anno in cui si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e i palchi privati sono espropriati dal Comune.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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Palco n° 17, III ordine, settore sinistro

Il palco dei Noseda
La storia del palco ha inizio con Alberto Visconti Aymo <1.> (?-1778), figlio di Annibale Visconti e Claudia Erba; marchese di Borgoratto (Alessandria) e decurione della città di Milano dal 1737, si unì in matrimonio nel 1739 con Antonia Eleonora Goldoni Vidoni Aymo, figlia del marchese Giovanni Pietro e di Paola Sfondrati.
Nel 1780 il palco è registrato a nome dei “Marchesi Fratelli Visconti Eredi del Marchese Alberto”; questi ultimi erano probabilmente Francesco (?-1807), sposato con Giuseppa Carcano e ambasciatore della Repubblica Cisalpina in Francia nel 1797 e in Svizzera nel 1799, Alfonso (1753-1826), sposato con Antonia Samper e Ciambellano imperiale, e infine Antonio <2.> (1744-1819) che dal 1790 viene indicato come unico proprietario. Antonio fu un esponente della nobiltà filoasburgica e ricoprì importanti incarichi: Ciambellano, Decurione e Deputato della Lombardia presso l’Imperatore Leopoldo II. Nel 1796 lasciò Milano per trasferirsi dapprima in Toscana, poi a Roma e infine a Vienna. Quando i francesi nel 1809 invasero la capitale austriaca fu costretto a fare ritorno a Milano. In quell’anno usufruì del palco la contessa Antonia Litta Brentani, coniugata con il conte don Carlo Litta Biumi; nel 1813 ritroviamo nelle fonti il “signor Visconti Antonio”. Alla famiglia Litta Biumi apparteneva l’omonimo palazzo milanese nell’odierna via Cappuccio n° 5-7, dal cui portico interno è possibile accedere al chiostro tardo quattrocentesco del Monastero delle Umiliate, sorto sulle rovine di un antico circo romano; questo luogo è oggi sede suggestiva di concerti.
Nel 1814 il palco passò a Gerolamo Giuseppe Barbò (1762-1830), conte di Casalmorano (Cremona), figlio di Barnabò Giuseppe Maria e Maria Teresa Carrera. Gerolamo Giuseppe sposò in prime nozze nel 1789 Carolina Annoni (1769-1792), figlia del conte Giovanni Pietro, proprietario del palco scaligero n° 8 del primo ordine destro. Dopo la morte di Carolina, si unì in matrimonio nel 1798 con Teresa Pallavicini (1769-1830), alla quale il palco risulta intestato tra il 1820 e il 1826; costei era figlia di Pio Giovanni Galeazzo e di Marianna Locatelli e, nonostante la giovane età, era già vedova del primo matrimonio con il conte Ottavio Calchi (1765-1798), con cui si era sposata nel 1785. Teresa e Gerolamo fecero costruire in stile tardo neoclassico nell’allora aperta campagna monzese la loro villa di delizia, che dal 1938 divenne la sede del Collegio della Guastalla, una delle più antiche istituzioni scolastiche europee, fondata a Milano nel 1557 da Paola Ludovica Torelli, contessa della Guastalla, “con l’intento di assicurare istruzione ed educazione alle fanciulle indigenti”.
Dal 1827 il palco passò a Paolo Greppi (1793-1854), secondo figlio del conte Marco e di Margherita Opizzoni e coniugato nel 1813 con donna Luigia Lecchi (1796-1857), figlia di Giacomo e Carolina Carcano. Per la famiglia Greppi entrare a far parte del corpus dei palchettisti del Teatro alla Scala aveva rappresentato un vero e proprio traguardo dell’ascesa sociale iniziata. Il titolo nobiliare infatti era stato ottenuto nel 1778 dal nonno di Paolo, quell’Antonio (1722-1799), che da fornitore ufficiale dei tessuti in lana per l’esercito austriaco era riuscito ad ottenere il titolo nobiliare e che era stato proprietario di tre palchi nel teatro (Proscenio del II ordine sinistro, n° 4 e n° 18 del III ordine sinistro).
Giacente in eredità Greppi ancora nel 1856-57, nel 1858 il palco cambiò proprietario: venne comprato dal ricco borghese Giovanni Noseda (1816-1878), commerciante e imprenditore di fede evangelica nonché comproprietario di una banca privata a Milano in vicolo Brisa (oggi via Brisa in zona Cordusio), coniugato con Vincenza Mazzucchelli e padre di Emilio (1841-1910), intestatario del palco dal 1880. La famiglia Noseda si era arricchita grazie all’importazione della seta dall’Oriente; possedeva case e fondachi veneziani e sosteneva finanziariamente l’industria serica (i Noseda compaiono tra i fondatori del Banco comasco della seta), che si affermava in quegli anni come settore trainante dell’economia lombarda. Giovanni e Vincenza abitarono in Contrada di S. Bernardino e poi in Contrada di Santa Maria alla Porta (oggi corrispondente alla via omonima in zona Magenta). La coppia ebbe tre figli; studiarono tutti, ma nessuno esercitò poi la professione né - contrariamente al desiderio del padre - collaborò a portare avanti l’attività di famiglia. Oltre al già citato Emilio, vi era Enrico ed infine Gustavo Adolfo (1837-1866), il più noto della famiglia: sul finire del 1859 si era spostato da Milano a Napoli per studiare composizione con Saverio Mercadante, allora direttore del Conservatorio della città partenopea. Gustavo Adolfo, che aveva frequentato la facoltà di Giurisprudenza a Pavia ma aspirava a diventare musicista professionista, soggiornò a Napoli sino al 1863 e qui concepì l’ambizioso progetto di mettere insieme “l’archivio [musicale] più grande d’Italia”. Riuscì ad acquistare intere raccolte di musiche e quello che non riuscì a comprare si premurò di farlo copiare o lo copiò di proprio pugno. Arricchirono la sua biblioteca alcune importanti collezioni di area milanese, quali i fondi Visconti Borromeo e Archinto, nonché altre provenienti dall’estero. Alla sua morte prematura il padre donò la ricca collezione di circa 12.000 “pezzi” tra volumi a stampa e musiche a stampa e manoscritte al Comune di Milano che la depositò presso i locali del Teatro alla Scala. Da qui nel 1889 fu poi trasferita presso la Biblioteca del Conservatorio di Milano, dove è ancora oggi.
Nel 1897 subentrò infine nel palco la famiglia Dozzio, con Giovanni Dozzio, consigliere provinciale di Pavia nel 1865 e titolare di un deposito formaggi nel pavese, e il figlio Ugo (1841-1920), che a partire dal 1903 ne rimase unico proprietario. Quest’ultimo fu deputato del Regno d’Italia durante la XX legislatura (1897-1900) e la XXI (1900-1904); a lui appartenne l’omonima villa ottocentesca a Tavernola (Como), tuttora dei discendenti della famiglia.
Il palco rimase a Ugo Dozzio sino al 1920, anno in cui il Teatro alla Scala diviene Ente autonomo e il Comune di Milano acquisisce la proprietà dei palchi.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 3, IV ordine, settore sinistro

Il palco Londonio: una storia complessa
Il 20 marzo 1778 il palco venne acquistato dagli eredi del principe Antonio Tolomeo Trivulzio al prezzo di 3.500 Lire austriache, quota fissa per coloro che avessero rinunciato al possesso di un palco nel Teatro Piccolo o della Canobbiana; gli eredi Trivulzio lo cedono, sempre nel 1778, a Giuseppe Londonio; ad acquistarne la definitiva proprietà è però il segretario dell’Imperatrice Maria Teresa presso il governo di Milano, don Giuseppe Castellini (1720-1793), importante notaio - tra i suoi clienti Antonio Greppi - residente in Porta Santo Stefano. Rogò anche atti di vendita di palchi scaligeri.
Nel 1809 ritorna un Londonio, il banchiere e consigliere comunale di Milano Carlo Londonio (1779-1810), figlio di Giuseppe e nipote del pittore Francesco, coniugato dal 1799 con Maria Frapolli, figlia dell’avvocato Giuseppe, professore di Istituzioni Civili nel Ginnasio di Brera, dalla quale ebbe otto figli: ritroveremo più avanti il quinto, Cesare,e il sesto, Alessandro; le ultime due figlie, Giulia e Lucia, furono oggetto con la madre di un ritratto di Giuseppe Bossi rifluito dall’Accademia di Belle Arti di Brera al pronipote ingegner Pietro Scaravaglio, anch´egli coinvolto nella complessa storia di questo palco. Nel 1817, morto Carlo, diviene intestataria la vedova Maria Frapolli (1780-1849) salonnière famosa a Milano - il suo soprannome era “Bia”, nota in poesia come “Madame Bibin” - perché avversa alle nuove correnti romantiche ritenendo il classicismo il vero carattere distintivo e patriottico della lingua italiana. Più volte la troviamo citata da scrittori quali Stendhal, Carlo Porta e da Carlo Gherardini, al quale - dopo la scomparsa del marito - è legata sentimentalmente. Maria terrà il palco sino alla morte.
Quando dopo i moti risorgimentali e le ritorsioni del governo austriaco i palchettisti torneranno ad essere citati nelle fonti, troviamo dal 1856 al 1865 un altro membro della famiglia, Giuseppe Londonio; poi per un paio d’anni, il palco è intestato ai fratelli Alessandro (1806-1880) e Cesare Londonio (1805-1877), i già citati figli di Carlo e Maria Frapolli; viene intestato al solo Alessandro fino al 1876 e di nuovo ad entrambi sino al 1881. Il nome di Cesare rimane anche dopo la morte del titolare, succedeva sovente prima della ratifica notarile che definiva la vendita o il passaggio di eredità.
Nel 1882-1883 risultano comproprietari l’ingegner Pietro Scaravaglio (?-1887), nobile e ricco pronipote Londonio (abitava in via Bigli 7 e aveva una villa a Ponte Lambro) e Antonietta Parolini Agostinelli (?-1902). Quest’ultima è la nipote di Alessandro e Cesare Londonio; sua madre infatti è la sorella Giulia Londonio, sposata nel 1829 con Alberto Parolini: la coppia ha sei figli ma solo Antonietta e sua sorella Elisa arrivano all’età adulta. La vita di Alberto Parolini (1788-1867) sembra quasi un romanzo romantico: discendeva da una famiglia di modeste origini del vicentino, di agricoltori e costruttori di paioli (lo stesso cognome deriva forse da “parolo”, traduzione dialettale di “paiolo”) dal cognome tronco tipicamente veneto, Parolin. Trasferitisi a Bassano del Grappa, la famiglia si arricchisce con oculati investimenti, il nonno di Antonietta, Francesco, viene ammesso addirittura nel Consiglio cittadino ottenendo il titolo nobiliare; con Alberto il cognome viene italianizzato. Sin da bambino Alberto mostra un forte interesse per la botanica, disciplina cui in seguito avrebbe dedicato l’intera sua vita; la formazione, iniziata da autodidatta, sull’onda dell’ammirazione per il geologo e naturalista - concittadino - Gian Battista Brocchi, continua grazie agli studi seguiti a Padova, Pavia e Milano e ai lunghi periodi trascorsi tra Parigi e Londra. Nonostante gli spostamenti, la sua attenzione torna però sempre a concentrarsi sul giardino di famiglia nel quale trovano spazio numerose specie vegetali, innestate con interesse scientifico. È Antonietta a ereditare le case e il giardino, quando il padre e la sorella muoiono, e la passione per la botanica. Nel 1867 si unisce in matrimonio con il nobile bassanese Paolo Agostinelli da cui ha Alberto, che diviene erede universale della famiglia, trasformando il giardino in un signorile parco ornamentale, ancor oggi noto a Bassano come Giardino Parolini.
Probabilmente Alberto non eredita il palco, o semplicemente lo vende. Infatti, dal 1884 risulta intestato al solo Scaravaglio e dopo la sua morte alle eredi Angela (detta Lina) e Maria Scaravaglio, con usufruttuaria la madre Erminia sino al 1898. Maria, coniugata con il professor Vittorio Ferrari, è collezionista e custodisce anche le opere già della famiglia Londonio, Lina, appassionata musicista, ha parte attiva nella Fondazione Arrigo Boito. Le sorelle sono le ultime titolari quando nel 1920 il Comune di Milano espropria i palchi e si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 9, IV ordine, settore sinistro

Il palco del professor Ferrini e del tenore Garbin
I palchi del IV ordine vengono messi all’asta dall’Associazione dei palchettisti nella primavera del 1778: Guido Delfinoni acquista il n° 9 nell´asta del 14-15 maggio; nel 1779 titolare sarà il nobile Giulio e fino al 1796 la Casa Delfinoni. Originari della Brianza, i Delfinoni erano noti nella Milano settecentesca, oltre che per essere stati tra i primi benefattori dell’Ospedale Maggiore, per avere contrassegnato la loro casa in Porta Nuova con un segno particolare: nel 1774 -racconta Pietro Verri - “si scavò un sasso colla memoria dell’anno, del mese, del giorno, ed ora, che entrò Padrone di Milano il Co. Francesco Sforza” il 26 febbraio 1440. La casa era presso la Croce di San Protaso arcivescovo, indicata anche come croce di San Primo nell’attuale via Manzoni all’angolo con piazza della Croce Rossa, una delle tante crocette, colonne, obelischi che costellavano le varie zone cittadine, soppresse già nella seconda metà del Settecento, poche rimaste. L’ultimo Delfinoni a esser citato nelle fonti, Guido, fa parte di quel gruppo di antiautriaci - tra di essi Giovanni Stabilini, Elena Viscontini, Paolo Giovio, Felice Maragliani, Giovanni Ferrari - che si schierò per la libertà sin dai primi tempi della Carboneria.
Come utente nel 1809 e nel 1810 e come proprietario dopo la Restaurazione compare Luigi Marani, ragioniere di origine milanese arricchitosi nel periodo napoleonico. Nel 1811 compra un latifondo a Romanengo (Cremona) precedentemente appartenuto ai Visconti di Brignano Gera d’Adda; qui impianta una filanda che gli darà ulteriori guadagni. Nel 1845 il palco è intestato all’omonimo nipote Luigi Marani Mantelli (1796-1860), noto impresario teatrale.
Nel 1863 subentra la famiglia Ferrini, proprietaria all’epoca anche del palco n° 5 del IV ordine sinistro. In quell’anno la palchettista è Eugenia Ferrini CagnolatiEugenia Cagnolati (1808-1864), figlia di Domenico Cagnolati e di Francesca Sassi, caffettieri in piazza del Teatro 1144; la madre, morto il marito, gestisce il negozio di famiglia che da lei prende il nome di “Caffè della Cecchina”. La sedicenne Eugenia nel 1824 va in sposa a Gaspare Antonio Ferrini (1797-1867), farmacista di Locarno. Suo figlio Rinaldo Ferrini (1831-1908) è proprietario del palco in seguito alla morte della “Cecchina” nel 1865. Egli studia all’Università di Pavia, dove consegue il titolo di ingegnere civile e di architetto; nel 1856 ottiene anche l’abilitazione all’insegnamento della fisica e della matematica nei ginnasi e nei licei. Dal 1860 al 1868 insegna le medesime materie presso l’Istituto Tecnico Superiore di Milano (l’odierno Politecnico); Francesco Brioschi, suo direttore e fondatore, gli affida la cattedra di fisica tecnologica per il biennio 1868-69. Il Ferrini diviene poi membro del Regio istituto lombardo di scienze e lettere. Scrive importanti trattati - tradotti e diffusi anche all’estero - tra cui Tecnologia del calore e Elettricità e magnetismo. Dalla moglie Luigia Buccellati ha due figli: Eugenia e Contardo, quest´ultimo, in "odor di santità", verrà proclamato beato.
Nel 1875 proprietario del palco diviene Luigi Terruggia; questi nel 1877 sostituisce Eugenio Cantoni come direttore generale della società anonima “Cotonificio Cantoni”, la prima impresa cotoniera italiana ad essere trasformata in società per azioni e a venir quotata alla Borsa di Milano. Il presidente è Andrea Ponti (1821-1888), tra i maggiori rappresentanti dell’industria lombarda nonché padre di Ettore, sindaco di Milano e palchettista: il palco della famiglia Ponti è il n° 17 del II ordine, settore sinistro.
Nel 1905 siedono nel palco due esponenti della famiglia Galli: Vincenzo e Adele Maria, maritata Migliavacca.
Nel 1917 il palco appartiene a Giuliano Livraghi e al cavaliere ufficiale Edoardo Garbin (1865-1943). Garbin, di umili origini (era stalliere), arriva alla notorietà milanese come Turiddu al Teatro Dal Verme; tenore di notevole capacità sceniche è Fenton nella prima scaligera di Falstaff di Giuseppe Verdi la sera del 9 febbraio 1893 e nelle seguenti ventun recite; lo affianca in palcoscenico, nei panni di Nannetta, la moglie, il soprano Adelina Stehle (1860-1945) di origine austriaca e allieva del Conservatorio di Milano. Garbin dopo una notevole carriera nei massimi teatri italiani e europei, affiancato nella vita e sulla scena dalla moglie, si ritira nel 1914. A Livraghi e a Garbin il palco rimane intestato sino al 1920; in quell’anno, inizia l´esproprio dei palchi da parte del Comune di Milano e si costituisce l’Ente Autonomo Teatro alla Scala.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 12, IV ordine, settore sinistro

Il palco del Caffè del Teatro
Il 20 marzo 1778 il marchese Giorgio Teodoro Trivulzio è tra i primi ad acquistare un palco di IV ordine per 3.500 Lire imperiali, prezzo fissato per coloro che rinunciavano al possesso di un palco nel Teatro della Canobbiana. Trivulzio cede il palco al marchese Ciceri che lo acquista "a nome di Persona da dichiararsi": dal 1779 figura infatti titolare il conte Giulio Fedeli (1717-1789), talvolta indicato come “Fedele”, figlio di Giovanni Antonio e di Maria Gioseffa Ferrari. Il nobile, la cui famiglia è originaria di Monza, giunge nel 1752 a Milano e qui prende dimora in Contrada della Spiga 1395 (oggi palazzo Garzanti, al 30 dell’omonima via). È membro di importanti e antiche magistrature del capoluogo lombardo quali i Sessanta decurioni e i Dodici del tribunale di provvisione; è inoltre Ciambellano e gentiluomo da camera dell’imperatore. In prime nozze sposa Giulia Salazar (deceduta nel 1782) e in seconde, nel 1783, Gabriella Agazzi, o D’Ajazzo, dei marchesi Grimaldi di Nizza. Ricordato da più fonti come grande benefattore, fa dono di 60.000 lire al Pio Albergo Trivulzio; morendo senza discendenti, istituisce quale erede universale l’Ospedale Maggiore che lo omaggia di un ritratto realizzato da Anton Francesco Biondi, tuttora conservato nella quadreria storica del Policlinico milanese. È sepolto nella chiesa di S. Giovanni alla Castagna a Lecco.
Per il solo 1795 il palco è intestato a Francesco Cambiasi (1747-1811), coniugato con Maria Caterina Soncini, titolare del Caffè del Teatro nella Piazza del Teatro alla Scala 1149. L’attività è piuttosto redditizia e infatti Francesco lascia al figlio Isidoro un discreto capitale nonché la casa in Contrada della Cavalchina 1415. Isidoro, figura di spicco nella storia milanese, sposa Cirilla Branca (1809-1883), figlia di Paolo e Maria Sangiorgio; abile pianista e compositrice, Cirilla si esibisce nelle numerose accademie che animano la vita culturale milanese ed è sostenuta nella sua carriera dal marito, critico e cronista per la «Gazzetta musicale di Milano» fondata da Giovanni Ricordi anche con il suo apporto.
Nel 1809 e nel 1810 il palco è affidato al faccendiere Giuseppe Antonio Borrani (1779-1831), subaffittuario dal 1799 della bottiglieria di fronte al Teatro alla Scala e proprietario, da prima del 1820, del Caffè del Teatro, rilevato dal Cambiasi. Borrani ha a sua disposizione almeno undici palchi nel II, III e IV ordine e li affitta per una singola serata o li subaffitta per conto terzi, magari per qualche proprietario di tendenze filo-asburgiche che ha lasciato Milano ma non vuole perdere un bene prezioso. Sicuramente si arricchisce, ma il suo nome non compare più nelle fonti alla fine dell´Impero napoleonico. Nel 1813 alcuni dei “suoi” palchi tornano alle famiglie precedenti al periodo napoleonico; è il caso di questo palco di cui nel 1813 è proprietaria Maria Caterina Soncini, vedova di Francesco Cambiasi; a lei è intestato anche il n° 10 del I ordine sinistro. Dal 1815 il nome di Isidoro Cambiasi (1811-1853) affianca o sostituisce quello della madre, che scompare definitivamente a partire dal 1837.
Dal 1842 il palco appartiene a Carlo Camillo Carcano (1783-1854), figlio di Alessandro - cui è intestato anche il n° 11 del III ordine destro - e di Beatrice Ala Ponzone, esponente dell’antichissima famiglia di benefattori dell’Ospedale maggiore; la sua unione con Giuseppa Annoni detta Giuseppina, celebrata nel 1834, sanciva un legame tra due delle famiglie patrizie più influenti e in vista nella Milano dell’epoca. Casa Carcano era nella centralissima contrada di San Pietro all’Orto, ma Carlo Camillo fece costruire un palazzo di fronte ai giardini “al di là del Borghetto di Porta Orientale, appena sopra basse casupole vicino al Teatro della Stadera” per non essere da meno dei vari Saporiti o Bovara. Nel 1794 suo padre aveva fatto erigere una villa di delizia ad Anzano del Parco, vicino a Erba e ne aveva affidato il progetto all’architetto Leopold Pollack, allievo del Piermarini; la circondava - sottolineano le fonti d’epoca - “un vasto e selvoso parco, che popolava di cervi, di daini, di caprioli in modo da renderlo ammirato come uno dei più dilettevoli del piano d’Erba”, noto ancor oggi per la grande ricchezza di specie botaniche e la presenza di alberi secolari. Nel 1816 l’imperatore d’Austria Francesco I conferma Carlo Camillo nell’antica nobiltà con il titolo di marchese, trasmissibile per primogenitura maschile. A partire dal 1858 la moglie Giuseppina Annoni, benefattrice, è indicata come proprietaria del palco scaligero. La vedova marchesa Carcano muore nel 1895, ma il palco ancora per qualche anno la vede come intestataria.
Nel 1902 le subentra il figlio Alessandro Carcano <2.> (1837-1907), coniugato nel 1874 con la nobile Emilia Vaini-Beretta, originaria di quell’Alzano del Parco dove i Carcano possedevano la villa di famiglia e dove Alessandro rimase sindaco sino alla morte. Dal 1904, lo affianca in proprietà il fratello minore Luigi (1843-?), unito in matrimonio nel 1877 con Carolina Soren Meriem americana di Boston a Milano. Per il biennio 1912-13 siede nel palco assieme a Luigi il nipote, marchese Cesare Carcano (1876-?), figlio di Alessandro <2.>; Giulio Cesare all’anagrafe rimarrà unico proprietario dal 1914 al 1918.
Nel 1919 il palco appartiene ad Angelo Belloni, ragioniere e cavaliere di Gran Croce. Infine nel 1920 è intestato a Francesco Ferrari, medico psichiatra, attivo, con Paolo Pini, nella protezione sanitaria dei ceti operai. In quell´anno il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi e si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco di proscenio, I ordine, settore destro

I palchi “camerali” del Teatro alla Scala
I palchi camerali o palchi della Corona erano “i palchi di ragione del Governo ad uso esclusivo delle autorità civili e militari” (così definiti nel rogito dell´appalto dell´impresario Angelo Petracchi, 1816) e per tale motivo venivano esentati dal pagamento del canone annuo previsto per tutti gli altri palchi. La loro funzione era anche quella di ospitare le personalità illustri in visita alla città: monarchi, ministri, principi, ambasciatori.
Al momento dell’inaugurazione del Teatro alla Scala i palchi camerali erano cinque: il palco Centrale o palco della Corona, altrimenti detto Palchettone, i palchi n° 1 e n° 2 del II ordine sinistro, il palco di Proscenio del I ordine destro e infine il palco n° 3 del III ordine destro.
Con la caduta della Repubblica di Venezia (1797) e la sua annessione all’Impero asburgico in seguito al trattato di pace di Campoformio tra l’Austria e la Francia, si aggiunse il palco n° 16 del I ordine sinistro, riservato sin dall’apertura del teatro all’ambasciatore (chiamato “Residente”) della Serenissima.
Il palco di Proscenio del I ordine destro appartenne alla Regia Ducal Camera dal 1778 sino al 1796, anno in cui Milano fu conquistata dai Francesi. Nel 1809 le fonti puntualizzano Regio Imperial Governo e soltanto nel 1810 vi compare come utente un nome poprio, quello di Mejan ovvero quello di Etienne Pierre Méjan, Consigliere di stato del Regno d´Italia e segretario del viceré Eugenio di Beauharnais.
Dopo il ritorno del dominio austriaco (1815) sino al 1861 il palco passò d’ufficio all’Imperial Regio Governo. A seguito dell’unificazione d’Italia, nei palchi camerali scomparve l’aggettivo “Imperiale” e il palco fu indicato come proprietà del Regio Demanio.
A partire dal 1873, anno in cui fu ratificato il passaggio della proprietà di tutti i palchi camerali dallo Stato al Comune, tale dicitura fu sostituita da Comune di Milano.
Allo scioglimento dell’Associazione dei palchettisti, dopo gli anni Venti del Novecento, i palchi camerali rimasero a disposizione della direzione del teatro.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 6, I ordine, settore destro

I Bassi e la nuova nobiltà milanese
Prime proprietarie del palco furono Giulia Borromeo Arese Lucini (1715-1800), sua sorella Marianna Lambertenghi Lucini (1721-1797) e la loro nipote Margherita Arese Lucini (1746-1815). Giulia e Marianna erano figlie del marchese Giulio Antonio Lucini e di Teresa Archinto. All’epoca dell’inaugurazione del Teatro Marianna, che aveva sposato il conte Cesare Lambertenghi, era ormai vedova; Giulia, già rimasta vedova del conte Marco Arese e del marchese Ferrante Francesco Villani Novati, avrebbe perso nel 1779 anche il terzo marito, il conte Federico Borromeo Arese. La nipote Margherita era figlia di Giovanni Pietro Lucini, fratello di Giulia e Marianna, e di Maria Gambarana: aveva sposato in seconde nozze il conte Benedetto Arese Lucini, figlio di Giulia, anch´egli palchettista (n° 14, I ordine sinistro).
Subentra alle tre dame, nel 1789, il marchese Massimiliano Giuseppe <1.> Stampa di Soncino (1740-1818), sposato con Livia Doria Sforza Visconti, da cui ebbe Massimiliano Giovanni, titolare del palco n° 13, II ordine destro.
Durante il Regno d´Italia, nel 1809 utente del palco è ancora una donna, ovvero la marchesa Margherita Pallavicini Durini; nel 1810 compare il nome di Marco Antonio Fè d´Ostiani, bresciano, fresco della nomina a conte per l´impegno profuso come membro del governo filofrancese. Quando il potere di Napoleone inizia a incrinarsi ritornano nei palchi i precedenti proprietari: dal 1813 al 1820 nelle fonti compare il nome del marchese Stampa di Soncino.
Nel 1821 il palco passa al nobile Antonio Francesco Bassi (1764-1826). Egli aveva sposato ad Amsterdam, dove si trovava per affari, nel 1797 la nobile Elisabetta Charlé. Nel 1812 fece ritorno a Milano assieme alla moglie e ai figli. I Bassi erano da poco entrati a far parte ufficialmente della aristocrazia milanese; questa ascesa sociale ebbe luogo al tempo di Paolo Bassi, padre di Antonio, il quale fu uno dei Regi Vicari Generali dello Stato di Milano e divenne senatore nel 1779. La prima carica comportava la nobiltà personale, mentre la seconda l’ereditarietà del titolo. Paolo fu dunque dichiarato nobile con decreto del tribunale araldico il 13 giugno 1770; i figli, Antonio e Gerolamo, furono confermati con sovrana risoluzione il 2 aprile 1817. Oltre al palco scaligero, il riconoscimento pubblico dell´immagine Bassi fu siglato dal ritratto che Francesco Hayez nel 1829 fece alla Charlé, sottolineandone il volto fiammingo; ritratto nel ritratto il marito, visto che la nobildonna ne tiene in mano un´immagine. La Charlé era nota come donna retta e seria e innestò nei figli l´amor patrio.
Dopo la morte di Antonio e un lungo periodo di giacenza in eredità, il palco nel 1848 vede titolare il figlio primogenito Paolo Luigi Bassi (1798-1855), matematico e membro dell’Istituto Lombardo di Scienze, Lettere ed Arti. Paolo Luigi ebbe un ruolo di primo piano nella vita politica milanese: durante il governo provvisorio della Lombardia ricoprì l’incarico di Podestà di Milano; la sua abilità diplomatica - fu lui a riconsegnare a Radetzky le chiavi della città - consentì di evitare il saccheggio da parte delle truppe austriache. Sposò nel 1824, in prime nozze, Elisabetta Gavazzi dei Conti della Somaglia (due le figlie) e, rimasto vedovo, con Maria dei Marchesi Trotti Bentivoglio, con la quale ebbe sei figli.
Nel 1856 il palco è intestato al fratello di Paolo, Carlo Luigi Bassi (1807-1857), uomo di scienza: fu insigne naturalista, Segretario generale del Congresso degli Scienziati, nonché autore di importanti scritti di entomologia; dal 1841 sino alla morte fu curatore onorario della sezione di entomologia del Museo Civico di Storia naturale di Milano. Sposò Virginia Olivazzi da cui ebbe tre figlie, Paolina, Giulia e Cecilia: quest’ultima morì giovanissima, le altre si imparentarono entrambe con i Greppi; Paolina nel 1856 andò in sposa a Luigi Greppi, Giulia un anno dopo al fratello di questi, Antonio.
Dal 1864 al 1872 Paolina Greppi Bassi (1836-1897) e la sorella Giulia Greppi Bassi (1838-1902) condivisero il palco scaligero; a partire dal 1873 Giulia ne rimase la sola proprietaria.
Dal 1907 infine il palco passa all’ingegnere Giuseppe Greppi (1858-1925), figlio di Giulia e Antonio, al quale rimane sino al 1920, anno in cui si costituisce l’Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 7, I ordine, settore destro

Due Cristoforo Bellotti: l’ingegnere e lo scienziato
La storia dei palchi n° 6 e n° 7 del I ordine destro coincise sino all’epoca napoleonica.
Prime proprietarie di entrambi i palchi furono Giulia Borromeo Arese Lucini (1715-1800), sua sorella Marianna Lambertenghi Lucini (1721-1797) e la loro nipote Margherita Arese Lucini (1746-1815). Giulia e Marianna erano figlie del marchese Giulio Antonio Lucini e di Teresa Archinto. All’epoca dell’inaugurazione del Teatro Marianna, che aveva sposato il conte Cesare Lambertenghi, era ormai vedova; Giulia, già rimasta vedova del conte Marco Arese e del marchese Ferrante Francesco Villani Novati, avrebbe perso nel 1779 anche il terzo marito, il conte Federico Borromeo Arese. La nipote Margherita era figlia di Giovanni Pietro Lucini, fratello di Giulia e Marianna, e di Maria Gambarana: aveva sposato in seconde nozze il conte Benedetto Arese Lucini, figlio di Giulia, anch´egli palchettista (n° 14, I ordine sinistro).
Dal 1790 proprietario del palco è Massimiliano Giuseppe <1.> Stampa di Soncino (1740-1818) che si unì in matrimonio con Livia Doria Sforza Visconti.
Nel 1809 e nel 1810, in piena epoca napoleonica, nelle fonti compare come utente il conte Giambattista Giovio (1748-1814), consigliere nel Collegio dei decurioni di Como e amico di Ugo Foscolo, con il quale ebbe un lungo scambio epistolare. Nel 1813, al declino dell´impero di Napoleone, torna il vecchio proprietario, il marchese Stampa di Soncino.
A partire dal 1821 il palco risulta intestato a Cristoforo Bellotti <1.> (1776-1856), figlio del notaio Giovanni Pietro e di Maria Antonia Vandoni, fratello di Pietro e di Felice (1786-1858), insigne filologo, noto per le sue traduzioni dal greco che vanno dall´Odissea omerica alle tragedie di Eschilo, Sofocle e Euripide; a lui oggi è dedicata una via di Milano. Cristoforo, ingegnere e architetto, sposato con Orsola Stabilini, era appassionato d´arte e donò all’Accademia di Brera una copia dell’Ultima cena di Leonardo da Vinci.
Alla sua morte il palco passò al nipote Cristoforo Bellotti <2.> (1823–1919), figlio di suo fratello Pietro e di Carolina Mazzeri. Questi fu uomo di scienze ed approfondì in particolar modo l’ittiologia e la paleontologia. Conservatore onorario del Museo Civico di Storia Naturale di Milano dal 1858 al 1904, fu tra i soci fondatori della Società Italiana di Scienze Naturali, di cui fu presidente dal 1902 al 1903. Ereditò dallo zio Felice un importante fondo di manoscritti di Giuseppe Parini che donò nel 1910 alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Infine alcuni pezzi della sua collezione d’arte, in particolare due disegni a carboncino e pastello di Andrea Appiani e due oli su tela di Giuseppe Bossi, furono da lui lasciati alla Galleria d’Arte Moderna di Milano.
A Cristoforo Bellotti <2.> il palco rimane sino al 1920, anno in cui si costituisce l’Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 8, I ordine, settore destro

Un palco di famiglia
Nel 1778 primo proprietario è il conte Carlo Annoni (1696-1778) e dall´anno seguente risulta titolare il figlio conte Giovanni Pietro (1731-1796), discendente della ricca famiglia originaria di Annone in Brianza fin dal tredicesimo secolo; le sue origini non erano aristocratiche e il titolo di “conte di Cerro” fu ottenuto nel 1676 da Carlo Annoni per volontà di Carlo II re di Spagna. Da allora in poi gli Annoni vollero a tutti i costi far sfoggio di lustro e ricchezza in modo tale da reggere il confronto con le famiglie milanesi di antica nobiltà.
Proprio con questo intento venne realizzata la fastosa residenza di campagna in stile neoclassico a Cuggiono (Milano), decisione assunta nel 1804 dal conte Alessandro (1770-1825), figlio di Giovanni Pietro e della nobildonna Giulia Pallavicino, che eredita il palco dal 1809 al 1828; l’aristocratico si rivolse all’architetto più famoso allora in Milano, Leopold Pollack, allievo del grande Giuseppe Piermarini e a Giuseppe Zanoia, il quale portò a termine la villa nel 1809 e vi annesse successivamente un immenso parco. Sempre su disegno di Zanoia il conte Alessandro fece ampliare la residenza milanese di famiglia, antico palazzo in Corso di Porta Romana.
Il conte Francesco Annoni (1804-1872), unico figlio di Alessandro e della contessa Leopoldina Cicogna Mozzoni, eredita il palco di famiglia alla morte del padre. Intraprese fin da giovane la carriera militare entrando a far parte della milizia cittadina. Durante le Cinque Giornate di Milano si schierò, però, dalla parte degli insorti ed il governo provvisorio gli affidò il compito di chiedere un intervento di Carlo Alberto re di Sardegna. Dopo la repressione dei moti, lasciò Milano poiché pendeva sulla sua testa una condanna a morte emessa dal governo austriaco e si stabilì a Torino.
Aldo Annoni (1831-1900), suo figlio naturale (era nato Aldo Cassia Ferri), fu da lui legittimato nel 1866, in accordo con la madre Chiara Severino Longo: Aldo ottenne così il titolo nobiliare, il cognome Annoni e, dal 1873, anche il palco scaligero. Il conte Aldo intraprese la carriera giuridica, affiancando all’attività professionale l’impegno politico. Ricoprì gli incarichi di consigliere della Provincia e consigliere comunale di Milano e venne eletto deputato al Parlamento nel 1876. Non avendo eredi, alla sua morte le proprietà di famiglia passarono al cugino Gian Pietro Cicogna Mozzoni, che infatti risulta proprietario del palco a partire dal 1906 fino alla morte nel 1917.
Il palco giacerà in eredità a nome del conte Gian Pietro sino al 1920, anno in cui si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 9, I ordine, settore destro

Un altro palco dei Busca Arconati Visconti
Primo proprietario fu Carlo Galeazzo Busca Arconati Visconti (1722-1780), figlio di Lodovico e Bianca Arconati Visconti. Carlo Galeazzo fu IV marchese di Lomagna, comune della Brianza oggi in provincia di Lecco, e ricoprì le cariche di Decurione della città di Milano nonché di Ciambellano imperiale. Sposò nel 1756 la contessa Teresa Anguissola.
Dal matrimonio nacque Lodovico Busca Arconati Visconti (1758-1841), ciambellano imperiale e consigliere comunale di Milano, che alla morte del padre ereditò il titolo nobiliare divenendo V marchese di Lomagna; a lui passò anche il palco scaligero di cui risulta proprietario a partire dal 1787. Nel 1789 Lodovico sposò Maria Luigia Serbelloni, figlia del duca Gian Galeazzo, personaggio di primo piano nel capoluogo lombardo sotto l´amministrazione asburgica ma sostenitore del generale Bonaparte che nel 1796 venne ospitato nel suo palazzo di corso Venezia. Nel 1793 il palco passa al figlio di Lodovico e Maria Luigia, Carlo Ignazio Busca Arconati Visconti (1791-1850), VI marchese di Lomagna.
Nel pieno del Regno d´Italia le fonti ci informano che utente del palco è il signor Giuseppe Antonio Borrani (1779-1831), subaffittuario della bottega di fronte al Teatro alla Scala e proprietario, da prima del 1820, del Caffè del Teatro già appartenuto a Francesco Cambiasi, che diverrà poi il patriottico Caffè Martini. Il nome di Borrani compare in vari palchi nel 1809 e ancora nel 1810; era una sorta di mediatore, agiva in proprio ma anche per conto di famiglie aristocratiche filo-asburgiche che, per prudenza o convenienza, avevano lasciato Milano durante il periodo napoleonico, procurando palchi su richiesta per una serie di spettacoli o affittandoli per singole serate. Sicuramente si arricchì, ma di lui non troviamo traccia nelle fonti successive al 1810: sappiamo che i suoi parenti ebbero un palco al Teatro della Canobbiana.
Dal 1813, quando si incrinava il potere di Napoleone, il palco rientra in possesso di Carlo Busca Arconati Visconti cui rimarrà intestato sino al 1848; egli aveva sposato nel 1844 Susanna Fauras, da cui non ebbe discendenti; nel 1851 legittimò pertanto il figlio naturale Lodovico Paolo Busca Arconati Visconti (1828–1865), avuto da una relazione con l’inglese Maria Bridgetower, al secolo Mary Lee Lecke, moglie del violinista mulatto George. A Lodovico, VII marchese di Lomagna, è intestato il palco scaligero dal 1856.
Lodovico Paolo sposò nel 1852 la triestina Clementina Lazarich, nobile ungherese, da cui ebbe sei figlie femmine; l’unico maschio morì, assieme alla madre, durante il parto nel 1863, lasciando disperato Lodovico Paolo che dopo due anni si suicidò.
Alla tragica morte del VII marchese il palco rimase in eredità a suo nome per lungo tempo; nel 1886 passerà alle figlie sue e di Clementina, le tre sorelle Beatrice, Ida e Maria Busca Arconati Visconti.
Dopo due anni il palco ritorna a giacere in eredità sino al 1912, quando compare come intestataria Beatrice Busca Arconati Visconti (1860-1940), detta Bice, maritata dal 1880 con il marchese Giuseppe Fassati. A lei rimane il palco sino al 1920, quando si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 17, I ordine, settore destro

Dai Visconti di Saliceto ai Cicogna Mozzoni
Fino al 1795 il palco fu di proprietà della contessa Anna Stampa di Soncino (1743-1820), vedova di Alfonso Visconti di Saliceto, e della figlia Isabella.
Il 1° maggio 1805, in pieno periodo napoleonico, il palco fu acquistato dal conte Francesco Leopoldo Cicogna Mozzoni (1748-1823). La famiglia Cicogna si era unita con quella dei Mozzoni nel 1581 con il matrimonio tra il conte Gianpietro e Angela Mozzoni. Francesco Leopoldo, loro lontano discendente, sposò Teresa Marliani dalla quale ebbe cinque figli; tra questi si ricorda Leopoldina (1786-1874) che sposò il conte Alessandro Annoni (1770-1825), personaggio di spicco dell’élite culturale e aristocratica milanese nonché anch’egli proprietario di un palco scaligero (palco n° 8, I ordine, settore destro).
Dopo Francesco Leopoldo il palco passa al figlio Carlo Francesco (1784-1857), ciambellano di Napoleone, da cui ricevette i titoli di Cavaliere e Barone e ufficiale d’ordinanza del principe Eugenio di Beauharnais, viceré del Regno d’Italia.
Dal 1841 sino al 1870, risulta intestatario il fratello Giovanni Ascanio Cicogna Mozzoni (1790-1875), Cavaliere del Sovrano Militare Ordine di Malta dal 1839, sepolto nella chiesa di Santa Maria della Passione a Milano, proprio accanto al Conservatorio di musica.
Gli ultimi due proprietari sono il conte (Ascanio) Giuseppe Michele (1840-1906), che mantiene il palco dal 1877 sino al 1915 (periodo di giacenza in eredità compreso) e la nipote Giovanna Leopolda Cicogna Mozzoni (1872-1925) sposata con il marchese Camillo Montecuccoli degli Erri che chiude la lunga lista dei possessori appartenenti al casato.
I discendenti della famiglia Cicogna Mozzoni sono tutt’oggi proprietari della splendida villa di Bisuschio in Valceresio, costruita nel Quattrocento come casino di caccia dei Mozzoni; nel 1530 fu eretta la residenza vera e propria, che in seguito venne circondata da sontuosi giardini all’italiana: i discendenti Cicogna Mozzoni l’hanno conservata sino ad ora nei suoi tratti originali.
I Cicogna Mozzoni sono intestatari del palco sino al 1920, anno in cui si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 6, II ordine, settore destro

Il palco Mondolfo
La storia del palco ha inizio con Innocenza (o Innocenta o Innocente) Arconati Visconti Casati (?-1794), figlia di Gerolamo Casati, conte di Borgolavezzaro, e di Antonia Casati, coniugata dal 1744 con il conte Galeazzo Arconati Visconti. Comproprietaria del palco fu sin dall’anno successivo la sorella minore di Innocenza, Maria (morta nel 1798) che nel 1764 si era unita in matrimonio con il marchese Don Francesco Maria Casnedi.
Durante il periodo napoleonico il palco - similmente a quanto avvenne anche a molti altri nel Teatro alla Scala in quegli anni - cambiò “utenti”. Nel 1809 troviamo qui il celebre pittore Andrea Appiani (1754-1817), figlio di Antonio e Maria Liverti e fratello di quel Francesco, giurista, titolare del palco n° 7 del III ordine sinistro, ereditato poi dai suoi figli Giovanni, Giuseppe e Alberico. Andrea, convinto sostenitore di Napoleone, riuscì ad entrare nelle grazie dell’ambizioso generale che poté ritrarre nelle vesti di Re d’Italia, ma fu anche testimone della vita musicale milanese e scaligera, come testimoniano ad esempio i ritratti di Alessandro Rolla, della cantante Carolina Angiolini e dello scenografo Paolo Landriani. Assieme ad Andrea Appiani era presente nel palco lo spagnolo Gaetano Rodriguez, tecnico dell’industria serica lavorata con i nuovi metodi, il cui ritratto campeggia alla Pinacoteca di Brera accanto a quello di Vincenzo Monti. Dopo il colpo apoplettico che colpì il pittore nel 1813, rendendolo praticamente inabile, Rodriguez rimase intestatario sino al 1822, quando il palco venne ereditato dalla moglie Rosa.
Dopo essere appartenuto dal 1825 al 1845 ad Aurelio Banfi, cancelliere delle dogane, impiegato del ministero della guerra “affettuosissimo amico” di Silvio Pellico ai tempi dello Spielberg, nel 1846 il palco passò al marchese Paolo Rescalli, figlio di Alessandro (1786-1843), già palchettista - aveva il n° 11 del IV ordine destro - e marito di Anna Gropallo. Scienziato e imprenditore, il marchese impegnò il denaro di famiglia nelle miniere di lignite, nelle imprese ferroviarie e nell’illuminazione pubblica urbana. Non fu però un abile amministratore dei propri capitali: perse ad esempio una causa contro la ditta Andrea Ponti, che figura intestataria del palco n° 5 del II ordine sinistro dal 1834 al 1846. Gli amici milanesi, ci racconta Carlo Dossi nelle sue Note azzurre, dicevano che la sua divisa era «vivere ricchi e morire in perfetta bolletta».
Nel 1863 a Paolo Rescalli, ultimo esponente della sua dinastia, successe Sebastiano Mondolfo (1796–1873), nato Sabato Levi Mondolfo, banchiere di fama e già proprietario dal 1842 del palco n° 9 del III ordine destro, insignito del titolo di conte nel 1864. Egli apparteneva a quel nutrito gruppo di palchettisti di estrazione borghese che per merito di uno spiccato senso degli affari riuscirono ad affermarsi nella società milanese, talvolta (come in questo caso) ottenendo anche un titolo nobiliare. Per tutti loro avere un palco alla Scala doveva rappresentare il simbolo del nuovo status, un vero e proprio biglietto da visita per essere ammessi negli ambienti più esclusivi della città lombarda. Discendente da una famiglia di ricchi commercianti ebrei originari di Ragusa (Dubrovnick) in Croazia, trapiantatisi nella multiculturale e multietnica Trieste asburgica, Sebastiano Mondolfo si trasferì sin dagli anni Trenta a Milano e si convertì al cattolicesimo per unirsi in matrimonio con Enrichetta PolastriEnrichetta Mondolfo Polastri, che da ballerina di mezzo carattere, attiva sulle scene milanesi nei balli che interpolavano le opere di RossiniGioachino Rossini, BelliniVincenzo Bellini, DonizettiGaetano Donizetti e altri, divenne nobildonna attiva nella beneficenza, sempre vicina al consorte nella promozione di iniziative filantropiche. Il nome di Mondolfo, presidente della Società Lariana di Navigazione, fra i rappresentanti e finanziatori della Società per la costruzione e gestione delle Ferrovie Lombardo-Venete, è legato indissolubilmente alla storia dell’Istituto dei ciechi. Amico di Michele Barozzi, fondatore della prima Casa dei ciechi in San Vincenzo in Prato, sostenne finanziariamente l’acquisto della sede di Corso di Porta Nuova 7; dell’Istituto fu presidente dal 1867 sino alla morte, permettendo con il suo consistente lascito testamentario la costruzione dell’attuale palazzo di via Vivaio, inaugurata nel 1892. E ancora porta il nome di Mondolfo l’Asilo inaugurato nel 1877 e destinato all’assistenza e all’istruzione dei ciechi poveri privi di occupazione, sede di saggi e beneficiate musicali che ottennero successi presso la cittadinanza e ampi riscontri nei giornali come la Gazzetta Musicale o il Corriere delle dame. Per la moglie acquistò nel 1853 dai marchesi Rosales (anch’essi palchettisti del n° 8 del II ordine sinistro) il castello e le terre di Monguzzo in Brianza (Como), divenendo sindaco della cittadina tra il 1868 e il 1872 e promuovendo le scuole per i lavoratori del circondario.
Il castello, i possedimenti terrieri, la casa sul borgo di Porta Orientale 728, le ville briantee e naturalmente il palco scaligero furono ereditati dalla moglie Enrichetta Polastri (1810-1882), che alla sua morte venne ricordata sul giornale Il Pungolo con queste parole “Fu donna benefica e pia, e seppe nella sua vita cattivarsi la riconoscenza, l’amore, il rispetto di tutti”.
Il palco nel 1885 verrà intestato ad un’altra Enrichetta, nipote dei Mondolfo, Enrichetta Lodigiani (1860-1926), sposata con matrimonio civile nel 1879 al barone Ferdinando Luppis de Rammer, nobile della Dalmazia (nato a Parenzo). L’armonia coniugale si incrinò presto per spezzarsi dopo la morte precoce dell’unico figlio Giovanni (1880-1898) ed Enrichetta si separò legalmente dal barone nel 1904 dopo una lunga causa; nelle guide Savallo verrà citata semplicemente come Lodigiani Enrichetta, senza il titolo di baronessa. È lei l’ultima proprietaria del palco nel 1920, quando si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 12, II ordine, settore destro

Il palco del Fernet Branca
Primo proprietario fu il conte Francesco d’Adda (1726-1779), figlio di Costanzo e Maria Giuseppina Castelbarco Visconti; questi sposò in prime nozze nel 1754 Barbara Maria Corbella, morta a soli 22 anni forse per alcune complicazioni sofferte alla nascita della figlia Maria, e in seconde, nel 1770, la marchesa Teresa Litta Visconti Arese (1753-1815), figlia di Pompeo Giulio e Maria Elisabetta Visconti Borromeo. Anche dopo la morte del marchese d’Adda il palco rimane a suo nome, per qualche anno: infatti, non era sempre immediata la distribuzione delle eredità tra i discendenti. In questo caso, la citata seconda moglie di Francesco, Teresa, dovette aspettare sino al 1783 per ottenere la titolarità del palco; nel frattempo, si era risposata nel 1782 con il marchese Maurizio Gherardini, dal quale ebbe una figlia, Vittoria.
I proprietari del palco, che fino a questo momento erano gli stessi del n° 1 del II ordine destro, si differenziarono a partire dal 1795, quando fece il suo ingresso una nuova nobile famiglia, quella degli Arrigoni del ramo di Esino. Il palco, intestato al conte Gerolamo Arrigoni, figlio di Domenico e Paola Carcano, venne condiviso nel 1809 con la famiglia della moglie, utente “negli spettacoli serali dei giorni pari”. Nel 1813, e per una decina d´anni, a Gerolamo subentra il figlio Decio, coniugato con la marchesa Maria Giovanna Bellini.
Nel 1823, in piena Restaurazione, il palco divenne di proprietà del conte bergamasco Andrea Camozzi de Gherardi (1766-1855), al quale era stata concessa la nobiltà austriaca con sovrana risoluzione il 17 maggio 1819. La moglie Elisabetta Vertova fuse la linea dinastica dei Vertova, di cui fu l’ultima discendente, con quella del marito Camozzi de Gherardi, dando alla luce ben undici figli. Elisabetta, donna di cultura e di idee progressiste, protagonista di dibattiti politici e letterari nel Risorgimento, riuscì persino a convincere il marito, le cui posizioni erano inizialmente conservatrici e filoasburgiche, ad appoggiare gli ideali mazziniani dei figli Giovanni Battista, che divenne il primo sindaco di Bergamo e senatore dell´Italia unita e Gabriele, garibaldino, comandante della Milizia nazionale e deputato nel Parlamento di Torino, dopo essere stati parte attiva nei moti rivoluzionari del 1848-49. Andrea ed Elisabetta a inizio Ottocento commissionarono all’architetto Simone Elia, allievo di Leopold Pollack, la costruzione della villa “Camozzi Vertova” a Ranica (Bergamo) ancor oggi esistente e funzionante come sede del Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare “Aldo e Cele Daccò” dell’istituto Mario Negri.
La storia del palco si interrompe nel 1848, coi moti rivoluzionari; le fonti tacciono per quasi dieci anni, in quanto gli austriaci, per ritorsione, non permisero di inserire i nominativi dei palchettisti, quasi tutti schierati su posizioni nazionalistiche e antiasburgiche. Le fonti riprendono a elencare i palchettisti nel 1856: da quest’anno, il palco risulta a nome di Andrea Radice (?-1885). Appartenente a una famiglia attiva in quel di Busto Arsizio nel commercio del cotone, Radice, con il socio Francesco Turati, aveva accumulato una fortuna: soddisfatto per la ricchezza raggiunta, si era ritirato presto dalla società Turati & Radice e dagli affari, vivendo di rendita e di investimenti azionari, in una lunga vita felice. Abitava in via Borgonuovo 18, una zona di Milano talmente ricca di palazzi nobiliari da esser chiamata dal popolo “Borgo dei Sciuri”. Andrea Radice (non sappiamo sinora con chi fosse maritato) compare quale palchettista sino al 1887, lasciando eredi le figlie, entrate per matrimonio nella autentica aristocrazia lombarda: Amalia (1831-1895), coniugata nel 1850 con don Francesco Calderari, residente in piazza Borromeo 6, e Adele, che acquisì il titolo di contessa per aver sposato nel 1856 Giorgio Dal Verme: la loro unica figlia si maritò con Lorenzo Litta Modignani, coronando quel sogno di “immagine” che i grandi della borghesia italiana cercavano di realizzare.
Nel 1889 il palco passò al conte Giuseppe Crivelli Serbelloni (1862-1918), proprietario anche del n° 15 del primo ordine destro. Giuseppe, figlio di Alberto Crivelli e Maria Serbelloni, nacque a Madrid durante una delle spedizioni diplomatiche del padre; fu impegnato nell’amministrazione provinciale di Como e venne nominato sindaco di Taino (Varese) direttamente da re Umberto I nel 1889. Trascorse la propria vita tra il palazzo di Taino, la villa di famiglia a Luino e la residenza milanese in via Montenapoleone. Nel 1885 sposò Antonietta Trotti Bentivoglio, da cui non ebbe figli. A lui si deve l’ideazione dell’Acquario Civico, ai margini del Parco Sempione, a tutt’oggi una delle belle attrazioni della città.
Nel 1911, dopo la lunga titolarità aristocratica, il palco ritorna ad un ricco imprenditore borghese: è Bernardino Branca (1886-1957), nipote dell’omonimo fondatore delle Distillerie Fratelli Branca, produttori dell’ancor oggi apprezzato Fernet. Bernardino fu volontario durante la Prima guerra mondiale come ufficiale di cavalleria; nel 1917 assunse la direzione dell’azienda di famiglia e mostrò una notevole lungimiranza, riuscendo presto a “internazionalizzare” la ditta nonostante la dura crisi economica a cavallo degli anni Venti e Trenta. Fu inoltre tra i principali finanziatori del Museo Teatrale della Scala nel 1913 e divenne nel 1918 consigliere comunale del capoluogo lombardo. A lui il palco rimane sino al 1920, quando si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 16, II ordine, settore destro

Dai Visconti ai Rocca Saporiti
La storia del palco ha inizio con donna Bianca Maria Doria Visconti nata von Sinzendorf (1717-1783), marchesa di Caravaggio, piccolo feudo nella pianura bergamasca noto, oltre che per il santuario, per aver dato i natali al famoso pittore Michelangelo Merisi detto appunto il Caravaggio. Il padre era il viennese Johann Wilhelm von Sinzendorf; la madre Bianca Maria Sforza era morta a soli vent’anni dando alla luce la figlia battezzata con lo stesso nome. Bianca Maria si sposò con il marchese Filippo Domenico Doria Sforza Visconti ma all’epoca dell’apertura del Teatro alla Scala era già vedova. Alla sua morte, il palco andò alle “tre figlie Caravaggio”, ovvero Eleonora, Giuseppa e Livia, che rimase unica proprietaria dal 1790. Livia Doria Sforza Visconti (1743-1803) nel 1760 si era unita in matrimonio con Massimiliano Giuseppe Stampa, marchese di Soncino, proprietario dei palchi n° 6 e n° 7 del I ordine destro.
Nel 1809 il palco era condiviso dal marchese Girolamo Parravicini, già delegato per le iscrizioni alla leva della Milizia Urbana (Porta Comasina) nella Repubblica Cisalpina e dalla contessa Besozzi, ovvero Livia Stampa, la figlia di Livia Doria Sforza Visconti e Massimiliano Giuseppe Stampa, la quale nel 1785 aveva sposato il conte Antonio Gaetano Besozzi (1756-1811): la contessa Besozzi rimarrà proprietaria sino al 1837, caso non consueto di continuità tra periodo francese e austriaco.
Nel 1838 il palco vede titolare il marchese Marcello Giuseppe Saporiti (1772-1840), figlio di Giacomo Francesco Nicolò e Angela Delfino e membro dell’antica aristocrazia genovese. Quando Napoleone conquistò l’Italia, Marcello Giuseppe si trasferì a Milano dove conobbe Angela Spinola, ricca vedova Cattaneo, che sposò. Costei, su suo consiglio, comprò a modico prezzo l’antico feudo della Sforzesca (oggi frazione di Vigevano), dove sarebbe morta nel 1816. Grazie al suo spiccato senso imprenditoriale Marcello Giuseppe riuscì a creare alla Sforzesca una fiorente azienda agricola che gli consentì di affermarsi nell’aristocrazia vigevanese. Deceduta la prima moglie, si sposò altre due volte: nel 1818 con Anna Jourdan, conosciuta a Parigi e figlia di un maresciallo, e poi nel 1835 con Maria Anna de’ Vitali di Pallières, figlia di un dignitario di corte di re Carlo Alberto. Nel 1831 divenne sindaco di Vigevano.
Essendo privo di discendenti, Marcello Giuseppe associò nella gestione dei suoi beni e designò come proprio erede il pronipote Apollinare Rocca Saporiti (1813-1880), che compare come intestatario del palco dal 1842. Questi, per sfuggire le rivendicazioni sul ricco patrimonio dello zio da parte del ramo genovese della famiglia, scelse di sposarne nel 1841 la vedova Maria Anna de’ Vitali di Pallières, divenendo così marchese della Sforzesca. Nel testamento Marcello Giuseppe aveva disposto che venisse realizzato alla Sforzesca un collegio-convitto. Il nipote ne affidò il progetto all’architetto Giacomo Moraglia, autore anche del rinnovamento in stile neoclassico della villa di famiglia e del rifacimento della chiesa di Sant’Antonio Abate, ampliata per poter ospitare il monumento funebre in memoria dello zio. Alla famiglia Rocca Saporiti apparteneva da tempo l’omonimo palazzo milanese in Porta Orientale, ultimato nel 1812 e opera di Giovanni Perego, il celebre scenografo scaligero; questi però, non essendo architetto, non poté firmare il progetto che pertanto riporta il nome di Innocente Giusti. Marcello Rocca Saporiti aveva acquistato il palazzo nel 1818 direttamente dal committente e primo proprietario Gaetano Belloni, gestore delle bische che si tenevano nel ridotto del Teatro alla Scala, ma che in quegli anni, a causa della proibizione del gioco d’azzardo da parte degli Austriaci, era sommerso di debiti. Ancor oggi il palazzo campeggia di fronte a via Palestro, con l’inconfondibile fila di statue che dalla sommità osservano i Giardini pubblici “Indro Montanelli” di piermariniana memoria.
Nel 1882-1883 il palco risulta diviso tra i due figli di Apollinare, Alessandro Rocca Saporiti (1850-1927), sposato nel 1878 con Marianna Altieri e Marcello Rocca Saporiti (1845-1912), unito in matrimonio nel 1869 con Camilla Resta, figlia di Giovanni Resta e di Francesca Pallavicino Clavello (1819-1904), detta “Fanny”, che compare come palchettista qui e anche nel vicino palco n° 18 insieme al marito Giovanni e al figlio, il futuro senatore Ferdinando; un complicato intreccio di proprietà e legami parentali che sin dalle origini caratterizza la storia di questo e di molti palchi scaligeri.
Dal 1884 è indicato come intestatario solo Marcello e dopo la sua morte, dal 1915, il fratello Alessandro: a lui rimane il palco sino al 1920, quando si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 3, III ordine, settore destro

I palchi “camerali” del Teatro
I palchi camerali o palchi della Corona erano “i palchi di ragione del Governo ad uso esclusivo delle autorità civili e militari” (così definiti nel rogito dell´appalto dell´impresario Angelo Petracchi, 1816) e per tale motivo venivano esentati dal pagamento del canone annuo previsto per tutti gli altri palchi. La loro funzione era anche quella di ospitare le personalità più illustri in visita alla città: monarchi, ministri, principi, ambasciatori.
Al momento dell’inaugurazione del Teatro tali palchi erano tre: il palco centrale o della corona, il palco di Proscenio, I ordine destro, e il palco n° 3, III ordine destro. Nel 1780 si aggiunsero i palchi n° 1 e n° 2, II ordine sinistro e, nel 1797, con la caduta della Repubblica di Venezia e la sua annessione all’impero asburgico, il palco n° 16, I ordine sinistro, sino a quel momento occupato dall’Ambasciatore (chiamato "Residente") della Serenissima. Un altro palco, probabilmente confiscato al suo proprietario filo-asburgico Antonio Greppi durante la Repubblica Cisalpina, è annoverato per qualche anno tra i palchi camerali: quello di Proscenio, II ordine sinistro, assegnato al Generale Comandante delle truppe francesi in Lombardia.
Dalla fondazione del teatro il n° 3 del III ordine destro faceva parte dei “Beni della corona” e con tale denominazione è indicato negli elenchi dei palchettisti riportati dagli almanacchi dell’epoca; al governo il palco rimase fino al 1796, anno in cui i Francesi conquistarono Milano.
Nel 1809, in pieno periodo napoleonico, ne erano utenti i nobili Luigi Vaccari e Ludovico Giuseppe Breme Arborio di Gattinara (1754-1828); entrambi ricoprirono cariche prestigiose nel Regno d’Italia che durò dal 1805 al 1814; Napoleone I aveva demandato l’autorità civile e militare al figliastro Eugène de Beauharnais, insignito del titolo di viceré d’Italia. Il conte Luigi Vaccari, di origine modenese, fu segretario di stato e in seguito ministro dell’interno. In precedenza, dal 1806 al 1809, questo stesso ministero era spettato all’altro proprietario, Ludovico Giuseppe Arborio di Gattinara, conte di Sartirana e marchese di Breme (due località del Pavese). Nato a Parigi da Ferdinando, ambasciatore del re di Sardegna presso la corte di Francia, e da Carlotta dei conti Solaro di Moretta, egli aveva inizialmente intrapreso la carriera militare per poi dedicarsi - come il padre - a quella diplomatica. A soli 17 anni sposò Marianna del Pozzo dei principi della Cisterna e da lei ebbe Filippo e Ludovico, ideatore quest’ultimo del celebre giornale Il Conciliatore. Giunto a Milano nel 1805 per assistere all’incoronazione di Napoleone a re d’Italia, si vide proporre dal viceré la nomina a consigliere di Stato, che accettò per volontà espressa dallo stesso Imperatore. Era l’inizio di un percorso in salita che lo avrebbe portato a ricoprire le più alte cariche del novello Regno d’Italia. In qualità di ministro degli interni (che all’epoca si occupava anche di Pubblica Istruzione e Lavori Pubblici) fece costruire l’Arena di Milano, riordinò l’amministrazione degli istituti di beneficenza, fece erigere ricoveri per i bisognosi e introdusse il metodo del “mutuo insegnamento” (tanto elogiato, tra gli altri, da Federico Confalonieri), che prevedeva di affidare agli studenti migliori il compito di istruire i meno abili, in un circolo virtuoso in cui il maestro aveva un compito di assistenza. Infine mostrò grande lungimiranza incoraggiando l’uso del vaccino contro il vaiolo scoperto da Jenner nel 1798. Nel 1809 Napoleone lo nominò senatore e l’anno seguente presidente del Senato. Dopo la disfatta francese di Lipsia del 1813, intuendo il corso degli eventi, si dimise da tutte le cariche pubbliche. Da allora visse tra Torino e il castello di Sartirana (dove si ritirò dopo la morte dei figli); si tenne lontano dalla politica, mentre fu in contatto con artisti, letterati, editori e studiosi, comportandosi da autentico mecenate e bibliofilo. Il suo interesse per la diffusione dell’istruzione lo portò a fondare a Sartirana una scuola dotandola di locali e stipendiando i docenti.
Dopo il ritorno del dominio austriaco (1815) il palco tornò ad essere parte dei “Beni della corona”; dal 1873, anno in cui fu definitivamente ratificato il passaggio della proprietà di tutti i palchi camerali dallo Stato al Comune, tale dicitura fu sostituita da “Comune di Milano”. Allo scioglimento dell’Associazione dei palchettisti, dopo gli anni Venti del Novecento, i palchi rimasero a disposizione della direzione del teatro.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 6, III ordine, settore destro

Uno scambio di palchi tra i Litta Visconti Arese e i Muttoni
Per il solo 1778 - anno dell’inaugurazione del Teatro alla Scala - il palco appartiene al marchese Giulio Pompeo Litta Visconti Arese (1727-1797), figlio di Antonio Litta e Paola Visconti Borromeo, real ciambellano e consigliere intimo di Stato; assieme a lui è indicata come proprietaria anche la moglie Elisabetta Visconti Borromeo (1730-1794), figlia di Giulio e Teresa Cusani Visconti, con cui Giulio Pompeo si era unito in matrimonio nel 1745. I Litta Visconti Arese rientrano senza dubbio nel novero delle più influenti casate milanesi di antica origine; lo testimonia anche il gran numero di palchi a loro intestati all’interno del teatro scaligero: nel I ordine - il più prestigioso - se ne contano ben tre (n° 1, n° 2 e n° 3 del settore sinistro), in IV ordine il n° 17 del settore sinistro.
Dal 1779 il palco passa a Paolo Muttoni Visconti. Originariamente alla famiglia Muttoni spettava il palco di proscenio del I ordine sinistro; ancor prima della costruzione del Teatro alla Scala esso appartiene agli eredi del Ducal Senatore Filippo Muttoni Visconti (1707-1777) che nel testamento aveva nominato erede universale il fratello Paolo «con la condizione che egli debba essere semplice usufruttuario, sostituendo a lui eredi universali i suoi figli maschi legittimi e morendo egli senza figli, i figli di donna Paola Muttoni, moglie del senatore Assandri». Gli esecutori dell’eredità Muttoni cedono però al marchese Pompeo Litta il palco in cambio del n° 6 del III ordine destro più la somma di 800 zecchini gigliati.
Paolo non ebbe figli maschi, quindi dal 1790 il palco è intestato al conte Francesco Assandri, figlio di Paola Muttoni e del senatore Giovanni Battista Assandri, direttore del Demanio della Repubblica Cisalpina, amministratore dei Pii istituti di Crema, che, coinvolto in una disputa ereditaria, nel 1809 fu incarcerato con l’accusa di omicidio e condannato “a 12 anni di ferri ed alla berlina”; poidifeso dal palchettista e noto penalista Giuseppe Marocco venne assolto in appello.
Durante il periodo napoleonico diversi sono gli utenti: nel 1809, monsignor Bottoni, nel 1811 Giovanni Battista Rigola (morto a 62 anni nel 1832) che lo acquista dal negoziante Paolo Grancini. A Giovanni Battista Rigola e a suo fratello Giuseppe appartiene la casa di villeggiatura a Olgiate (Varese) sino al 1801, anno in cui viene acquistata dal benestante Giuseppe Maria Pedretti. Giovanni Battista Rigola è all’epoca proprietario anche del n° 8 del IV ordine destro. La storia di questi due palchi corre parallela e uguale sino alla fine del secolo: dal 1834 sono intestati a Adelaide Curioni Merlotti, residente in s. Maurilio 10, vedova nel 1837 di Francesco Merlotti, probabilmente figlia di una sorella di Rigola, figlia di una signora Curioni Rigola che l’aveva preceduta nella proprietà del palco n° 6, I ordine sinistro del Teatro della Canobbiana. Longeva, Adelaide lascia il mondo nel 1897 e il palco passa al figlio, omonimo del marito, Francesco.
Dal 1910 al 1919 il palco è condiviso da due rappresentanti di vere e proprie dinastie di notai originarie di Caravaggio, il dottor Cesare Gallavresi (1850-1934), figlio di Giovanni e Onesta Berinzaghi, e il genero dottor Polibio Bietti (1874-1944), che nel 1899 aveva sposato Maria, figlia di Cesare e Alma Carminati. La famiglia Gallavresi abitava nel cuore di Caravaggio nell’omonimo palazzo medievale noto anche come Palazzo della Marchesa, oggi sede del Municipio.
Ultima proprietaria è Fiorina Bianchi Bottini, cui il palco è intestato per il solo 1920; in quell’anno si costituisce l’Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 7, III ordine, settore destro

Il palco di Fulvia Verri e dei fratelli Branca
Prima proprietaria è Margherita Cittadini Bolognini, vedova dal 1762 del conte Galeazzo Bolognini, figlio di Giovanni e Margherita Barni di Lodi. Questi era un importante uomo politico, insignito del titolo di “cavaliere della chiave d’oro” del re di Napoli Carlo I di Borbone, dal quale veniva sovente inviato presso le corti estere in Sassonia, Baviera e Polonia. Nel 1759 era in Spagna, dove il suo sovrano ascendeva al trono col nome di Carlo III. Nel 1776 Margherita compare nel novero delle dame ammesse alla corte dell’Arciduca Ferdinando d’Austria a Milano. Defunta la contessa nel 1786, il palco rimane in eredità alla famiglia sino al 1789.
Nel 1790 passa a Carlo Reitano Pietrasanta, figlio di Francesco e Bianca Marliani, principe di San Pietro in Sicilia e conte di Cantù. L’11 febbraio 1815 si celebrano “le faustissime nozze” del principe con la contessa Fulvia Verri, figlia di Pietro (che l’aveva lasciata orfana a soli quattro anni) e Vincenza Melzi d’Eril. L’evento motivò un sonetto di Carlo Porta pubblicato poi in una serie di Nuptialia dall’avvocato Cesare Caporali: nella poesia, da par suo, il poeta ci dice come poteva Carlo, seppur principe, non innarmorarsi di Fulvia “ona donnin che balla e sonna e canta, e parla on lenguagg dolz che tocca e incanta, E che l’è bella come el ciel seren?” Quando Raffaello Barbiera la descrisse nel suo Passioni del Risorgimento usò queste parole: “Donna Fulvia Verri non scriveva, non teneva salon, né cattedra; ma fu bella, e di spirito pronto, brioso. Nel ’48 esulò a Torino. Quando morì (e morì cieca!), fu compianta dai migliori.”.
Non avendo eredi, alla sua morte (avvenuta tra il 1815 e il 1818) Carlo Pietrasanta divide la sua eredità: a Domenico Lo Faso, figlio di sua zia Margherita, spetta il feudo siciliano, mentre al cugino Giovanni Cicogna la contea nel comasco e alla vedova il palco.
Durante il turbolento periodo napoleonico nel 1809 compare come “utente” il marchese Miromeni, nome italianizzato di Bernard-François-Thomas Hue de Miromesnil, possidente e militare di carriera dalla vita dissoluta che lascia l’Italia nel 1817; ma già dal 1813, anno della sconfitta di Lipsia, nuovamente ritornano i “vecchi” proprietari Pietrasanta nella persona di Fulvia Verri, la quale sposa in seconde nozze il maggiore Giuseppe Jacopetti, ex ufficiale napoleonico poi divenuto colonnello dell’esercito sardo. Come detto più sopra, i moti del 1848 sconvolgono non solo la vita di Fulvia Verri ma la storia di Milano; per lunghi anni, gli Asburgo - quasi una ritorsione - non permettono agli editori di almanacchi e guide cittadine di inserire i nomi dei proprietari di palchi, per lo più antiaustriaci. Le fonti tornano ad elencarli dal 1856: in questo anno e sino al 1880 il palco risulta intestato al mantovano Davide Sforni, residente in via Monte Napoleone 21, uno dei più ricchi esponenti della comunità ebraica milanese. Trasferitosi nel capoluogo lombardo sin dal 1842, sposa Susanna Vitta, figlia del banchiere Giuseppe Raffaele Vitta di Casale Monferrato, e ha da lei due figli: Ettore ed Emma. Dal 1870 è intestatario di un palco (il n° 7 del I ordine sinistro) anche Abramo Sforni, fratello di Davide.
Dal 1880 il palco passa alla famiglia Branca: sono indicati come proprietari infatti i fratelli Luigi (1833-1886) e Giuseppe (1837-1888), figli di Bernardino e di Carolina Erba. I due fondano nel 1845 assieme al padre e al fratello minore Stefano la celebre distilleria “Fratelli Branca e C.” con sede in Corso di Porta Nuova a Milano, trasferita in via Resegone all’inizio del Novecento. Premiata con una medaglia d’oro all’Esposizione nazionale di Firenze nel 1861, la società familiare si afferma presto anche all’estero ottenendo riconoscimenti alle Esposizioni di Londra (1862), Parigi (1867), Vienna (1873) e poi ancora Filadelfia (1876) e Melbourne (1880). Il merito del successo spetta all’amaro “Fernet Branca”, che diviene il vero e proprio simbolo della ditta. Nel 1917 assume la direzione della Branca il figlio di Stefano, Bernardino, omonimo del nonno e proprietario dal 1911 del palco n° 12 del II ordine destro; amministratore lungimirante e dotato di grande capacità imprenditoriale, egli trasforma la distilleria di famiglia in una società per azioni e contribuisce alla sua affermazione internazionale aprendo filiali un po’ in tutto il mondo. Nel 1890 il palco è condiviso dalla madre dei fratelli Branca, Carolina Erba (1806-1893), e dalla vedova di Giuseppe Giulia Villa (1842-1913), unitasi poi in matrimonio con Francesco Ludovico Melzi d’Eril, che rimane in seguito unica intestataria del palco.
Ultimi proprietari sono il conte Ercole Durini (1876-1968) e suo fratello Giulio (1880-1937), figli di Giulio e Carolina Candiani. Mentre il minore diviene capitano, il primogenito Ercole intraprende la carriera politica dapprima come ministro plenipotenziario, poi come ambasciatore e dal 1933 come senatore. Nel 1945 viene ordinata la decadenza dalla sua carica parlamentare, poiché ritenuto responsabile “di aver mantenuto il fascismo e resa possibile la guerra”. A loro rimane il palco sino al 1920, quando si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 9, III ordine, settore destro

Una contessa in fuga a Parigi e quattro famiglie ebraiche
Primo proprietario, dal 1778, è il nobile Paolo Meroni (1729-1812) di nobile famiglia nota soprattutto nel comasco e nel milanese, titolare anche del n° 1 e n° 2 del IV ordine sinistro.
Durante il periodo napoleonico il palco - come la maggior parte di quelli scaligeri - è oggetto di temporanei passaggi di utenti diversi. Nel 1809 compaiono ben tre assegnatari: Giovanni Manini, “Negoziante, Chincagliere, Bijoutiere e Giojelliere” proprietario di un deposito “sotto il Coperto de’ Figini” in piazza Duomo, visitato da milanesi e turisti; il Manini non era solo commerciante ma anche orefice e tra i suoi clienti di prestigio figurava Giuseppe Poldi Pezzoli; il cavaliere Charles Flury (1765-1842), allora console generale di Francia a Milano; infine, Albert-Victoire De Moré de Pontgibaud (1776-1808) figlio di emigrati francesi dopo la rivoluzione: era già morto nel 1808 ma qualcuno della famiglia manteneva ancora la disponibilità del palco. È quanto succede anche dopo il 1813, quando il palco ritorna a don Paolo Meroni che era già morto l’anno prima. Qui però il motivo è probabilmente un’eredità non risolta perché il palco rimane a nome di don Paolo per più di vent’anni sino a quando nel 1827 risulta intestato alla nuora contessa Giovanna Borri, moglie del figlio di Paolo Meroni, Abele che aveva un palco anche al Teatro della Canobbiana.
Sia Giovanna che Abele erano patrioti convinti avversi all’Austria: si erano allontanati da Milano per rifugiarsi a Parigi senza l’autorizzazione della polizia lombarda e di conseguenza, nel gennaio del 1831, l’allora consigliere di governo Francesco Torriceni aveva intimato loro pubblicamente di far ritorno nei territori dell’Impero asburgico “sotto la comminatoria di essere dichiarati morti civilmente e della confisca di tutti i beni”. A Parigi la contessa - analogamente a un’altra grande esule, la principessa Cristina di Belgiojoso - apre il suo salotto ai capi del partito liberale italiano e ai tanti esuli che affollavano la capitale francese, durante serate dove le discussioni politiche si alternavano a balli e intrattenimenti musicali. A Parigi l’aristocratica si spegnerà nel 1846.
Nel 1842 subentra agli esuli coniugi Meroni Sebastiano Mondolfo (1796-1873), nato Sabato Levi Mondolfo, banchiere di fama insignito del titolo di conte nel 1864. Discendente da una famiglia di facoltosi commercianti ebrei originari di Ragusa in Croazia, trapiantatisi nella multiculturale e multietnica Trieste asburgica, Sebastiano Mondolfo si trasferisce dagli anni Trenta a Milano e si converte al cattolicesimo per unirsi in matrimonio con Enrichetta PolastriEnrichetta Mondolfo Polastri: quest´ultima era una nota ballerina attiva sulle scene milanesi nei balli che interpolavano le opere di RossiniGioachino Rossini, BelliniVincenzo Bellini, DonizettiGaetano Donizetti e altri importanti compositori. La Polastri, divenuta signora Mondolfo, si trasformerà in una nobildonna benefattrice, sempre vicina al consorte nella promozione di tante iniziative filantropiche. Il nome di Mondolfo, presidente della Società Lariana di Navigazione, fra i rappresentanti e finanziatori della Società per la costruzione e gestione delle Ferrovie Lombardo-Venete, è legato indissolubilmente alla storia dell’Istituto dei ciechi. Amico di Michele Barozzi, fondatore della prima Casa dei ciechi in San Vincenzo in Prato, sostiene finanziariamente l’acquisto di una nuova sede di Corso di Porta Nuova 5; dell’Istituto è presidente dal 1867 sino alla morte, permettendo con il suo consistente lascito testamentario la costruzione dell’attuale palazzo di via Vivaio inaugurato nel 1892. Porta il nome di Mondolfo l’Asilo inaugurato nel 1877 e destinato all’assistenza e all’istruzione dei ciechi poveri privi di occupazione, sede di saggi e beneficiate musicali che ottennero successi presso la cittadinanza e ampi riscontri nei giornali come la Gazzetta Musicale o il Corriere delle dame. Per la moglie, Mondolfo acquista nel 1853 dai marchesi Rosales (anch’essi palchettisti nel n° 8, II ordine sinistro) il castello e le terre di Monguzzo in Brianza, divenendo sindaco della cittadina tra il 1868 e il 1872 e promuovendo le scuole per i lavoratori del circondario.
Il conte Mondolfo mantiene il palco sino al 1862: lo vende al cavalier Prospero Finzi (1801-1876), anch’egli esponente di un’importante famiglia ebraica, per acquistarne uno più prestigioso (il n° 6 del II ordine destro). Prospero e suo fratello minore Marco, originari di Carpi e giunti a Milano nel 1837, sono attivi nella produzione della seta - settore trainante dell’economia lombarda in quegli anni - in quanto titolari di una filanda nella zona di Gorla; nel capoluogo lombardo i due operano anche come banchieri. Si uniscono in matrimonio con le due figlie di Aron Vita Finzi; Prospero sposa Annetta e Marco impalma Fanny. Alla famiglia Finzi appartiene l’omonima villa di Gorla (Milano) acquistata nel 1839 da Prospero e trasmessa quindi alla sua unica erede, la figlia Fanny FinziFanny Ottolenghi Finzi (1832-1919), proprietaria del palco scaligero dal 1864 assieme al marito Salvatore Ottolenghi (1831-1895), esponente di un’altra nota famiglia ebraica di origine piemontese, con il quale risiede in via Borgonuovo 11.
Ottolenghi è avvocato, commendatore e senatore del Regno, nonché membro ordinario del Consiglio sanitario della provincia di Milano e del Consiglio di amministrazione della Guardia medica notturna; sostiene finanziariamente la realizzazione della sinagoga di via Guastalla progettata dall’architetto Luca Beltrami e inaugurata nel 1892. Alla sua morte viene seppellito nel cimitero israelitico di Asti, sua città di origine. La moglie, grande benefattrice, trasforma la villa di Gorla nel più grande istituto italiano che prepara al lavoro i ragazzi portatori di handicap. Quando muore, dona alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano la ricchissima collezione di testi legali appartenuti al marito. Vedova, Fanny rimane unica proprietaria del palco dal 1899 sino al 1919.
Ultimo titolare, per il solo anno 1920, è Enea Cavalieri (1848-1929), discendente da una famiglia ebraica originaria di Ferrara. Politicamente e socialmente impegnato, collabora con Sydney Sonnino e Leopoldo Franchetti, suoi ex compagni di università, nell´inchiesta sulle condizioni della Sicilia che mette a nudo lo stato di arretratezza in cui versa l’isola, le condizioni di oppressione cui sono sottoposti i contadini e la corruzione che dilaga nelle amministrazioni locali. Un viaggio attorno al mondo gli consente di studiare e analizzare le condizioni economiche e sociali dei differenti Paesi; al ritorno inizia la sua attività di pubblicista(scrive per esempio sulla Rassegna settimanale e Nuova Antologia). Promuove la cooperazione in ambito agricolo, da finanziare a suo avviso con il credito delle banche popolari e assieme a Luigi Luzzatti fonda la rivista Credito e cooperazione di cui è direttore dal 1891 al 1893. Durante la Prima guerra mondiale partecipa come volontario - all’età di 67 anni - nel corpo dei bersaglieri, tra le cui file aveva combattuto nel 1866 a Custoza. Liberale convinto, si ritirò dalla politica dopo la svolta totalitaria di Mussolini.
Enea Cavalieri non si godette il palco per molto: nel 1920 si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 11, III ordine, settore destro

Il palco delle dame Lucini e di Carlo Giuseppe Londonio
La storia di questo palco ha inizio con tre dame; sono costoro Giulia Lucini (1715-1800), sua sorella Marianna (1721-1797) e la loro nipote Margherita (1746-1815). Alle tre nobildonne sono intestati altri due palchi nel prestigioso I ordine destro: il n° 6 e il n° 7. Probabilmente questo palco di III ordine è da loro considerato un palco “di scorta”. Giulia e Marianna sono figlie del marchese Giulio Antonio Lucini e di Teresa Archinto. All’epoca dell’inaugurazione del Teatro alla Scala, Marianna è ormai vedova del conte Cesare Lambertenghi (1714-1767); Giulia, la sorella maggiore, già vedova del primo matrimonio con il conte Marco Arese, perderà in breve tempo anche il secondo marito, il conte Federico Borromeo Arese, con il quale è sposata dal 1754. Infine Margherita, figlia di Giovanni Pietro Lucini - fratello di Giulia e Marianna - e di Maria Gambarana, si unisce in matrimonio nel 1768 con il conte Benedetto Arese Lucini, proprietario del palco n° 14 del I ordine sinistro. Questi aggiunge il cognome della moglie a quello della propria casata e ha da lei due figli: Francesco e Marco, quest’ultimo marito di Antonietta Fagnani, “l´amica risanata” di Ugo Foscolo.
Nel 1795 il palco passa al marchese Alessandro Carcano (1763-1802), nato da Carlo Camillo e Cristina Sormani; nel 1782, Carcano sposa Beatrice Ala Ponzone e il loro figlio, chiamato Carlo Camillo come il nonno, si unirà in matrimonio con Giuseppina Annoni sancendo così un legame tra due delle famiglie patrizie più influenti e in vista nella Milano dell’epoca. Alessandro fa erigere ad Anzano (Como) una villa in stile neoclassico progettata dal celebre architetto Leopold Pollack, allievo del Piermarini. È infine citato tra i benefattori dell’Ospedale Maggiore “Ca’ Granda” di Milano.
Nel 1809 e nel 1810 utente del palco è il banchiere, nonché consigliere comunale di Milano, Carlo Londonio (?-1810), cui è intestato anche il n° 3 del IV ordine sinistro. Questi sposa nel 1799 la nobile Maria Frapolli, figlia dell’avvocato Giuseppe, professore di Istituzioni Civili nel Ginnasio di Brera. Maria, soprannominata “Bia” e nota in poesia come “Madame Bibin”, dama ammessa alla corte, è una salonnière famosa a Milano per la sua avversione alle nuove correnti romantiche; a suo giudizio infatti è il classicismo il vero carattere distintivo e nazionale della lingua italiana. Più volte la troviamo citata da scrittori quali Stendhal, Carlo Porta e da Carlo Gherardini, al quale - dopo la scomparsa del marito - è legata sentimentalmente. Il salotto Frapolli era al primo piano della casa di contrada San Vicenzino 2341, attuale n° 8.
Nel palco subentra nel 1815 un altro membro della famiglia, forse il più famoso insieme all’antenato pittore Francesco: è questi Carlo Giuseppe Londonio (1780-1845), figlio di Girolamo e Giuseppa Goffredi. Rimasto orfano di padre in tenera età, è mandato a studiare al collegio “Lalatta” di Parma e in questa città è ospitato da uno zio. In seguito fa ritorno nel capoluogo lombardo e completa la propria formazione da autodidatta e compiendo viaggi in Svizzera, Francia e varie città d’Italia. Nel 1806 sposa Angiola Bonacina, alla quale Vincenzo Monti - amico del Londonio - dedica un sonetto, chiamandola affettuosamente Angiolina. In qualità di membro del Consiglio dei savi del municipio di Milano e del Consiglio comunale, Carlo Giuseppe ha incarichi nei settori dell’assistenza e dell’illuminazione pubblica. Oggi però lo si ricorda soprattutto per il lavoro svolto nell’ambito didattico; nominato direttore generale dei ginnasi di Lombardia (carica che lascerà nel 1832 per la presidenza dell’Accademia delle belle arti di Milano) introduce nuovi testi e discipline. Mostra un forte interesse per il nuovo sistema pedagogico delle scuole lancasteriane promosse tra gli altri da Federico Confalonieri; infine nel 1828 diviene direttore dell’ospizio per i sordomuti di Milano di recente istituzione. Il suo nome è legato anche alla storia di un celebre monumento milanese, l’Arco della Pace: dopo la morte dell´architetto Luigi Cagnola è Londonio dal 1833 al 1838 a sovrintendere i lavori di costruzione.
Nel 1848 il palco è intestato alla figlia primogenita Isabella Londonio, coniugata nel 1830 con il notaio Aquilino Baroggi anch’egli palchettista nel n° 7 del III ordine sinistro.
Nel 1856 siede nel palco Teresa Brioschi nata Lorenzini, moglie del capomastro Gaetano; nella loro casa in contrada di S. Vicenzino era stato ospite Pelagio Palagi, autore di molti ritratti di proprietari di palchi.
La linea femminile continua poiché nel 1867 subentra Francesca Brioschi, la figlia, sposata con l’ingegnere Francesco Gloria: il loro primogenito Gaetano muore a soli diciotto anni; erede nel 1888 Francesco <2.>, forse un altro figlio o un nipote.
Nel 1889 due nomi maschili compaiono in contemporanea nelle fonti: l’ingegner Filippo Mari (1819-1895), erede di Francesco <2.> Gloria, al quale il palco è intestato per metà; l’altra metà vede usufruttuario Francesco Mari, commendatore e ingegnere dell’Esercizio delle strade ferrate. Dal 1898 il palco giace in eredità a nome di Filippo Mari sino al 1920, quando il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati e si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 13, III ordine, settore destro

Un continuo avvicendarsi di proprietari
La storia del palco inizia con il marchese Giovanni Battista d’Adda (1737-1784), figlio di primo letto di Febo, il quale si risposa in seguito con Ippolita Bigli; ci è ignoto invece il nome della madre, morta nel 1743. Nel teatro scaligero Giovanni Battista possiede altri due palchi del II ordine sinistro: il n° 13 e il n° 15 (quest’ultimo solo per il biennio 1783-84). Si unisce in matrimonio nel 1771 con Margherita Litta Visconti Arese (1754-1778); è Decurione di Milano, Ciambellano imperiale ed ha un ruolo importante nelle trattative con il governatore, l’arciduca Ferdinando d’Asburgo, e con la cancelleria imperiale di Vienna per l’edificazione del nuovo Teatro alla Scala dopo l’incendio del precedente Teatro ducale. Il marchese infatti viene eletto il 7 marzo del 1776 dall’assemblea generale dei palchettisti nella «Delegazione dei Signori Dodici indicati come i Consiglieri Delegati» alla quale viene conferita la facoltà di trattare e decidere a nome di tutti i palchettisti. Per ragioni pratiche, i Dodici eleggono tre Cavalieri Delegati (il marchese Pompeo Litta, il conte Vitaliano Bigli e il duca Giovanni Serbelloni) con il compito di seguire le varie fasi della costruzione del teatro, riferendo ai Consiglieri Delegati e quindi, per le decisioni più importante, all’assemblea generale dei palchettisti. Giovanni Battista è un grande ammiratore dell’architetto Giuseppe Piermarini e a lui affida la ristrutturazione della villa di delizia a Cassano d’Adda.
Nel 1783 il palco viene venduto alle sorelle Giuseppa Schreivogel (1743-1825), sposata con Giuseppe Perabò, e Caterina (1748-1825), coniugata con Carlo Bianchi, probabilmente figlie del Giovanni Federico “Schraifoghel” detto il Todeschino che figura tra i primi violini dell’orchestra di Giovanni Battista Sammartini e di cui si trovano solo parole di elogio. Alla famiglia di Caterina appartiene il palazzo milanese in via Borgonuovo 5, che nel 1851 è acquistato dai Visconti di San Vito e nel 1940 dai Sioli-Legnani.
Nel 1803 il palco viene comprato dal conte Giacomo Sannazari della Rippa (1755-1804), uno dei più importanti collezionisti d’arte a cavallo tra XVIII e XIX secolo. Giacomo muore però improvvisamente l’8 giugno 1804 lasciando tutti i suoi beni, con grande delusione della vedova Maddalena Imbonati, all’Ospedale Maggiore di Milano (per la cifra colossale di 2,8 milioni di lire), compresi il palco alla Scala e la sua ricchissima raccolta di opere d’arte, tra le quali cui spicca Lo sposalizio della Vergine di Raffaello oggi custodito alla Pinacoteca di Brera.
Il 2 novembre 1804 l’Ospedale Maggiore mette il palco scaligero all’asta e ad aggiudicarselo per la cospicua cifra di 35.000 lire è il “cittadino” (sono gli anni della Repubblica Cisalpina) Giovanni Battista Legnani (1751-1840); questi nel 1809 lo condivide con Francesco De Luigi (1772-1850), uno dei fondatori della Società di compensi vicendevoli pei danni della grandine e membro del Comitato di vigilanza. Dal 1856 intestataria del palco è la moglie, Carolina De Luigi Kramer (1789-1858), figlia del facoltoso commerciante e industriale tedesco del cotone Adam Kramer; il palco passa quindi nel 1858 al figlio Giuseppe De Luigi (1805-1863), ingegnere milanese, progettista di ferrovie e autore del primo studio di un collegamento ferroviario tra Monza e Lecco, quindi dal 1873 alla sua vedova Matilde Cornalia. Nel 1878 Matilde è affiancata da Giovanni Marani (1808-1881), componente della Commissione di Vigilanza per il Debito Pubblico del Ministero delle Finanze, esempio di una borghesia impegnata nel “sociale”: fondatore della Società Italiana di Scienze Naturali, socio promotore della Società d’Incoraggiamento delle Arti e dei Mestieri, fondata nel 1838 con la finalità di migliorare le competenze tecniche del personale manifatturiero e sostenere artigiani e piccoli imprenditori che innovavano i processi produttivi. La Società avviò corsi di formazione e aprì la Scuola di Chimica Industriale; questi è proprietario anche del palco n° 17 del IV ordine sinistro.
Nel 1879 il palco è intestato a tre nuovi proprietari: Carlo Bosisio (1806-1886), Ermenegildo Tagliabue (1824-1903?) e il conte Giuseppe Malliani (1855-1920). Il primo, assistente del custode del Teatro alla Scala, coniugato con la ballerina Adelaide Superti, è un caso pressoché unico fra i palchettisti: dalla fine degli anni Cinquanta sino al 1885 compare nelle fonti come proprietario, per periodi di lunghezza diversa, di ben nove palchi, cinque dei quali (n° 4, 5, 20, IV ordine sinistro; n° 13, II ordine destro; n° 3, IV ordine, destro) con Domenico Cagnolati - titolare del Caffè dei virtuosi in piazza del Teatro alla Scala 1144, dove aveva lavorato da giovane garzone Domenico Barbaja - e con suo genero Gaspare Antonio Ferrini o solo con quest’ultimo; a questi va aggiunto il palco di famiglia (n° 9, IV ordine destro) in comproprietà con la moglie Adelaide Superti (1863-1873) e, ultimo acquisto (1879) il palco n° 18, III ordine destro. Ermenegildo Tagliabue, secondo comproprietario è un commerciante di majolica d’Este che, probabilmente, acquista questo e altri palchi come forma di investimento.
Nel 1903 gli subentra come erede il figlio Carlo Tagliabue. Il terzo comproprietario, Giuseppe Malliani, dottore in legge, è assessore al Comune di Bergamo nel 1883, quindi sindaco della stessa città nel 1892 e ancora nel 1903; nel 1899 ottiene il titolo nobiliare da Umberto I per sé e per la propria famiglia. Poiché dal 1886 nelle fonti non compare più il nome di Carlo Bosisio, possiamo ipotizzare che questi fosse da poco deceduto.
Ultimo proprietario dal 1919 è il cavaliere e avvocato Luigi Puricelli, registrato come intestatario, insieme al fratello Paolo, di uno studio in via in sant’Orsola. Puricelli è un professionista molto in vista, azionista e membro del Consiglio d’amministrazione di diverse società, presidente della Società Anonima Rancati. A lui il palco rimane sino al 1920, anno in cui il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati e si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Lorenzo Paparazzo)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 2, IV ordine, settore destro

Il palco Attendolo Bolognini
Quando il 3 agosto del 1778 venne aperto al pubblico il Nuovo Teatro Grande alla Scala con l’opera Europa riconosciuta di Antonio Salieri, maestro di cappella alla corte viennese, decaddero i contratti con gli “appaltatori” del vecchio Teatro Ducale. In gergo settecentesco erano questi i cosiddetti Impresari, cui subentrarono nei primi dieci anni di storia del nuovo teatro i Nobili Cavalieri Associati, una rappresentanza del Corpo generale dei proprietari dei palchi, una sorta di impresariato collettivo costituito dal conte Ercole Castelbarco, dal marchese Bartolomeo Calderari e dal marchese Giacomo Fagnani.
A loro come Nobile associazione del teatro è intestato il palco, conservato sino al 1796, anno in cui con la Repubblica Cisalpina lo utilizzeranno singoli proprietari graditi al nuovo governo francese. Nel 1809 utente del palco è la contessa Maria Rasini Annoni (circa 1762-1828), figlia di Giovanni Pietro e Giulia Pallavicini, sorella di Alessandro e coniugata dal 1782 con Rodolfo Rasini, principe di San Maurizio; condivide con la cognata Maddalena per quell’anno anche il palco n° 13 del I ordine destro. La Rasini muore nel 1828 ma il palco rimane intestato a lei sino al 1833; dal 1834 passa al conte Gian Giacomo Attendolo Bolognini (1794-1865), titolare di una raffinata collezione d’arte che, alla sua morte, andrà ai Musei Civici di Milano. Nel 1830 sposa Eugenia Vimercati da cui ha una figlia di nome Clotilde Pia; il rapporto tra i due coniugi si deteriora però allorché Gian Giacomo scopre che la moglie è incinta del principe Alfonso Serafino Porcia: cacciata Eugenia di casa, inizia una causa di separazione. Nel 1837, quando Eugenia dà alla luce una bambina, Gian Giacomo per mettere a tacere i pettegolezzi la riconosce; la piccola avrà lo stesso nome della madre e a lei viene affidata. Una volta cresciuta, si unisce in matrimonio nel 1855 con il conte Giulio Litta Visconti Arese; di ritorno a Milano dal viaggio di nozze a Parigi, durante il quale ha modo di farsi notare e apprezzare per bellezza e sagacia da Napoleone III, diviene sostenitrice della causa antiaustriaca nonché vera e propria habitué del salotto della contessa Clara Maffei. Eugenia Attendolo Bolognini al Teatro alla Scala possiede dal 1874 il prestigioso palco n° 1 del I ordine sinistro, tra i più frequentati dell’epoca: tra gli ospiti del palco non sarà mancato nelle sue visite milanesi anche re Umberto I di Savoia, amante della bella Bolognina.
È invece la sorella di Eugenia, Clotilde Attendolo Bolognini (1831-1877), sposata con il conte Alessandro Morando de’ Rizzoni, a ereditare nel 1870 il palco. L’unico figlio, chiamato Gian Giacomo (1863-1919) come il nonno, condivide il palco assieme alla madre per il biennio 1878-79, mentre dall’anno successivo ne rimane l’unico proprietario. Nel 1909, assorbito il cognome della madre, acquista il palazzo milanese in via S. Andrea 6 e qui risiede con la moglie, la contessa Lydia Caprara de Montalba, che non avendo eredi diretti lo lascia in eredità nel 1945 al Comune: oggi è la sede del Museo di Milano e della collezione Costume, Moda e Immagine. Gian Giacomo risulta titolare sino al 1920, anno in cui si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 3, IV ordine, settore destro

Il palco della famiglia della “Giardiniera”
Quando il 3 agosto del 1778 venne aperto al pubblico il Nuovo Teatro Grande alla Scala con l’opera Europa riconosciuta di Antonio Salieri, maestro di cappella alla corte viennese, decaddero i contratti con gli “appaltatori” del vecchio Teatro Ducale. In gergo settecentesco erano questi i cosiddetti Impresari, cui subentrarono nei primi dieci anni di storia del nuovo teatro i Nobili Cavalieri Associati, una rappresentanza del Corpo generale dei proprietari dei palchi, una sorta di impresariato collettivo costituito dal conte Ercole Castelbarco, dal marchese Bartolomeo Calderari e dal marchese Giacomo Fagnani. A loro come Nobile associazione del teatro appartiene il palco n° 3, conservato sino al 1796, quando con la Repubblica Cisalpina passa ai singoli proprietari, per lo più graditi al nuovo governo francese.
In quell’anno risulta proprietaria la nobildonna Luigia Marliani (1761-1823), figlia di Pietro Marliani e Maddalena Ferrario, coniugata con Carlo Viscontini, esponente quest’ultimo di una famiglia dell’alta borghesia arricchitasi grazie al commercio dei tessuti. La loro figlia Metilde (1790-1825) è una donna istruita e affascinante: la ammira Ugo Foscolo ed è di lei innamorato vanamente Stendhal. Nel 1807 a soli diciassette anni è costretta dalla famiglia a sposare il polacco Jan Dembowski, generale nell’Armata del Regno d’Italia; il matrimonio è però fonte di infelicità per Metilde, la quale nel carteggio con Foscolo descrive il marito come un uomo gretto e insensibile. Nel 1814, ormai esasperata, sceglie di fuggire di casa e si stabilisce in Svizzera, nei pressi di Berna; la separazione dal coniuge, ottenuta con grande fatica, risale al 1817. Attenta e partecipe alle vicissitudini politiche di quegli anni, Metilde entra a far parte delle “Maestre giardiniere” (così sono chiamate le donne affiliate all’anti-austriaca Società dei Federati); nella casa di piazza Belgiojoso (ora Palazzo Besana) accoglie i cospiratori dei moti del 1821, da Giuseppe Pecchio ai Confalonieri, dalla cugina Bianca Milesi al letterato Ludovico di Breme. Patrioti, tutti appassionati frequentatori degli spettacoli scaligeri quando non proprietari di palchi. Nel 1809 l’intestataria del palco è Caterina Curioni, ma già a partire dal 1813 ritorna Luigia Marliani e in seguito alla sua morte ne rimane proprietaria la famiglia.
Dal 1844 subentra il fratello di Metilde, Ercole Viscontini (1793-1859), che aveva frequentato il collegio dei Padri Scolopi di Volterra e si era laureato in ingegneria all’Università di Pavia, prima di ritornare a Milano, dove lo troviamo nel 1836 in contrada del Lauro 1804. Anch’egli patriota, dopo le Cinque Giornate del 1848 viene duramente tassato, come tantissimi altri nobili e borghesi cospiratori, dai decreti di Radetzky; ma dieci anni dopo compare “cavaliere dell’ordine imperiale austriaco di Francesco Giuseppe” e deputato per la Congregazione centrale lombarda, in rappresentanza dei possidenti non nobili per la provincia di Milano: nelle guide cittadine risulta in quegli anni abitante in corso di Porta Nuova 1469.
Quando muore nel 1859 il palco è diviso tra tre proprietari: il primo è Domenico Cagnolati, titolare del Caffè dei Virtuosi nella piazza del Teatro 1144, dove cinquant’anni prima aveva lavorato come garzone il celebre impresario Domenico Barbaja; il secondo è Gaspare Antonio Ferrini (1797-1867), farmacista, genero di Cagnolati in quanto ne sposa in seconde nozze la figlia EugeniaEugenia Cagnolati; il terzo infine è Carlo Bosisio (1806-1886), assistente del custode del Teatro alla Scala, coniugato con Adelaide Superti, ballerina presso lo stesso teatro. Dalla fine degli anni Cinquanta sino al 1885 Bosisio risulta proprietario, per periodi di lunghezza diversa, di ben nove palchi, cinque dei quali (i palchi n° 4, n° 5 e n° 20, IV ordine sinistro; n° 13, II ordine destro; n° 3, IV ordine destro) con gli altri due soci o solo con Ferrini; a questi vanno aggiunti il palco di famiglia (n° 9, IV ordine destro), in comproprietà con la moglie Adelaide Superti (1863-1873), e il palco n° 18, III ordine destro, con altri soci, Ermenegildo Tagliabue e Giuseppe Malliani. Dal 1863 Carlo Bosisio condivide il palco con Ermenegildo Tagliabue, commerciante di maiolica d’Este che, probabilmente, acquista questo e altri palchi come forma di investimento. Dal 1888 quest’ultimo rimane il solo proprietario e dal 1904 gli subentra come erede il figlio Carlo Tagliabue. Questi risulta titolare del palco sino al 1920, anno in cui il Teatro alla Scala si costituisce in Ente autonomo; inizia in quello stesso anno l’esproprio dei palchi da parte del Comune di Milano che sancisce la fine della proprietà privata.
(Lorenzo Paparazzo)
 
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