Logo Urfm
Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 4, I ordine, settore sinistro

Dai Litta ai Visconti di Modrone
Nel 1778 il palco appartiene al conte Francesco Litta, discendente da una delle più antiche famiglie cittadine, nobili sin dal 1258, al tempo del ducato di Milano.
Come spesso succede nelle famiglie nobili, i rami si staccano dal tronco principale e nascono denominazioni varie e complicate: così i Litta si divisero in: Litta Visconti Arese (uno di loro, Bartolomeo, fece edificare nel Seicento il palazzo di corso Magenta con il teatro annesso, ancor oggi attivo); i Litta Modignani; i Litta Biumi. Il conte Francesco Litta sposò Angela Biumi nel 1739 e assunse i due cognomi; nel 1794 il palco fu ereditato dal figlio Carlo Litta Biumi e nel 1813 passò a sua moglie, contessa Antonia Litta Biumi Brentani.
Nella parentesi francese, nel 1809-1810, utente del palco è Rosalba Borroni Lamberti, che i maligni volevano amante di Leopoldo II durante il suo soggiorno a Milano.
Dopo anni di comproprietà Litta Biumi e Paolo Bertarelli negli anni Quaranta si inserisce nella storia del palco il duca Uberto Visconti di Modrone, che compra metà proprietà nel 1843, cosicché nel 1844 troviamo con lui la nobile Marietta Litta Biumi vedova Vimercati, il conte Pompeo Litta Biumi e suo fratello Antonio, entrambi figli di Carlo e Antonia Litta Biumi, precedenti proprietari.
Pompeo (1781-1852) sarà il famoso genealogista che scriverà la Storia delle 113 famiglie celebri italiane permettendo così di far luce sul patriziato e le sue origini.
Dopo l’Unità d´Italia, il palco passa nel 1871 interamente al figlio di Uberto <1.> conte Luigi Visconti di Modrone e nel 1886 all´altro figlio Guido, importante imprenditore e poi presidente dello stabilimento tessile Visconti di Modrone di Vaprio d’Adda. Agli albori del XX secolo, nel 1906, il palco passa al figlio di Guido e Ida Renzi Giuseppe Visconti di Modrone (1879-1941), gentiluomo di Corte della Regina Elena di Savoia, imprenditore e personaggio dagli eclettici interessi. Giuseppe è noto anche per essere stato il padre del regista Luchino Visconti e della Medaglia d’Argento al Valor Militare Guido Visconti di Modrone. Il 10 novembre 1900 Giuseppe si unì in matrimonio con Carla Erba, nipote dell’industriale farmaceutico Carlo. Fin da giovane appassionato di letteratura e melodramma, Giuseppe entra nel Consiglio d’amministrazione del Teatro alla Scala. Dal 1914 prende in gestione il Teatro Manzoni, creando una compagnia teatrale insieme al drammaturgo Marco Praga (1862-1929). Dal 1914 al 1919 è presidente dell’Inter. A lui, coadiuvato dall’architetto Alfredo Campanili, si deve l’importante realizzazione del borgo neo-medioevale di Grazzano: il “finto” borgo venne ribattezzato da Vittorio Emanuele III Grazzano Visconti e, nel 1937, Giuseppe ricevette il titolo di duca.
Egli chiude la storia del palco nel 1920, anno in cui si crea l’Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 4, IV ordine, settore sinistro

Dal conte al velista
I palchi del IV ordine, messi in vendita dalla Associazione dei palchettisti nel 1778, erano considerati un vero e proprio investimento. Chi li comprava, aristocratico o ricco borghese che fosse, in genere già possedeva palchi di I o di II ordine, palchi che garantivano visibilità sociale. Il palco di IV ordine sarebbe stato quello di riserva: non soltanto avrebbe garantito un posto per gli invitati “in soprannumero”, ma si sarebbe potuto affittare per le singole serate, per una serie di serate o addirittura per un’intera stagione, con conseguente ammortizzazione dei capitali.
Non fa eccezione il palco n° 4, acquistato nell´asta del primo aprile dal ventottenne conte Emanuele di Khevenhüller proprietario anche del n° 5 e con sua moglie Giuseppina Mezzabarba del n° 17 del II ordine destro. Fratello di Johann Sigismund Friedrich, suo “vicino di palco” visto che occupava il n° 7, Johann Emanuel Joseph von Khevenhüller-Metsch (1751-1847) è l’ultimo figlio della contessa Karoline von Metsch e del Principe del S.R.I. Johann Joseph von Khevenhüller e come suo padre entra presto nelle grazie asburgiche, divenendo consigliere intimo di Francesco I d’Austria. Uomo colto e amante della musica - compare con la moglie e la cognata Maria Josepha Schrattenbach tra i sottoscrittori delle accademie mozartiane - il conte Emanuele, milanese d’adozione, tiene salda la proprietà dei suoi palchi sino alla morte. Abile amministratore dei suoi beni, riesce a far fruttare al meglio i possedimenti terrieri, che dal 1826 si concentrano sul latifondo di Monticelli d’Oglio (5758,42 pertiche di terreno) nel bresciano. Eredita tutto la figlia maggiore Marie Leopoldine (1776-1851) vedova del patrizio milanese Febo d’Adda (1772-1836). La seconda figlia Khevenhüller-Metsch, Marie Anne (1778-1850), non eredita palchi dal padre ma dal marito Carlo Visconti di Modrone (1770-1836), protagonista della storia scaligera negli anni d’oro della MalibranMaria Malibran, di DonizettiGaetano Donizetti, e di BelliniVincenzo Bellini. Il loro palco era il n° 3 del I ordine destro.
Eccezione alla continuità Khevenhüller-Metsch l’anno 1809: il palco è occupato dal conte Giuseppe Crivelli, marito di Marianna Colloredo; il fratello Giovanni Angelo è il proprietario della villa Pusterla a Limbiate che fu residenza di Napoleone. Giuseppe è omonimo del signor Crivelli a più riprese impresario scaligero. Nel 1856, quando nuovamente ricompaiono i nomi dei proprietari dei palchi nelle fonti (il lungo silenzio post-quarantotto è da interpretarsi come una sorta di ritorsione governativa verso i palchettisti patrioti e anti-austriaci), il palco risulta a nome Ferrini, seguito nel 1858 e nel 1859 dal duo Ferrini e Bosisio.
Gaspare Antonio Ferrini (1797-1867), farmacista di Locarno, si era trasferito in quel di Milano per sposare in seconde nozze (aveva già avuto una figlia, Marianna, dalla prima consorte, Giubilante Vacchini morta di parto) Eugenia, figlia di Domenico Cagnolati e Francesca Sassi, caffettieri nella piazza del Teatro, al 1144. Quando Domenico muore, la moglie prende in mano l’attività, cosicché il negozio è soprannominato il Caffè della Cecchina. Ritroviamo il nome di Eugenia Cagnolati Ferrini (1808-1864), del marito, del figlio Rinaldo nelle storie del palco n°13 del III ordine di destra e ancora nei palchi n° 5 e n° 9 del IV ordine di sinistra. Carlo Bosisio (1806 - circa 1886) si era sposato con la ballerina Adelaide Superti, attiva alla Scala tra il 1829 e il 1843.
Dal 1860 sino alla fine del secolo proprietario del palco è Antonio Besana (1811-1898), cavaliere, filantropo, direttore del Consiglio di amministrazione del Corpo di musica municipale, figlio del banchiere Gaetano. L’appassionato musicofilo abitava in piazzetta Belgiojoso 1 ed era proprietario a Moltrasio (Como) di una villa oggi nota per essere appartenuta allo stilista Gianni Versace. Il fratello Eugenio Besana (1845-1918), subentrato ad Antonio nel 1902, abita nella stessa casa milanese insieme alla moglie, Carlotta Pertusi. Appassionato velista, è tesoriere del Regio Regate Club Lariano, presieduto da Lodovico Trotti Bentivoglio; si era fatto costruire nel 1891 una sontuosa villa a Bellagio. Il nobile cavaliere tiene il palco sino alla morte per poi lasciarlo agli eredi; ma ormai stava iniziando un’altra storia, con la costituzione nel 1920 dell´Ente autonomo Teatro alla Scala e l´esproprio dei palchi da parte del Comune di Milano.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 5, IV ordine, settore sinistro

Dal conte Khevenhüller-Metsch alla marchesa Abbiati Gardella
I palchi del IV ordine, messi in vendita dalla Associazione dei palchettisti nel 1778, erano considerati un vero e proprio investimento. Chi li comprava, aristocratico o ricco borghese che fosse, già possedeva in genere palchi di I o di II ordine, palchi che garantivano visibilità sociale. Il palco di IV ordine sarebbe stato quello di riserva: non soltanto avrebbe garantito un posto per gli invitati “in soprannumero”, ma si sarebbe potuto affittare per le singole serate, per una serie di serate o addirittura per un’intera stagione, con conseguente ammortizzazione dei capitali.
Non fa eccezione il palco n° 5 del IV ordine, acquistato nell´asta del primo aprile dal conte Emanuele di Khevenhüller proprietario anche del n° 4 e con sua moglie Giuseppina Mezzabarba, del palco n° 17 del II ordine di destra. Fratello di Johann Sigismund Friedrich, suo “vicino di palco” visto che occupava il n° 7, Johann Emanuel Joseph von Khevenhüller-Metsch (1751-1847) è l’ultimo figlio della contessa Karoline von Metsch e del Principe del Sacro Romano Impero Johann Joseph von Khevenhüller e, come suo padre, entra presto nelle grazie asburgiche, divenendo consigliere intimo di Francesco I d’Austria. Uomo colto e amante della musica - compare con la moglie e la cognata Maria Josepha Schrattenbach tra i sottoscrittori delle accademie mozartiane - il conte Emanuele, milanese d’adozione, tiene salda la proprietà dei suoi palchi sino al 1847, anno della morte. Nel contempo riesce a far fruttare al meglio i suoi possedimenti terrieri, che dal 1826 si concentrano sul latifondo di Monticelli d’Oglio (5.758,42 pertiche di terreno) nel bresciano. Eredita tutto, palco compreso, la figlia maggiore Marie Leopoldine (1776-1851) vedova del patrizio milanese Febo d’Adda (1772-1836). La seconda figlia Khevenhüller-Metsch, Marie Anne (1778-1850), non eredita palchi dal padre ma dal marito Carlo Visconti di Modrone (1770-1836), protagonista della storia scaligera negli anni d’oro della MalibranMaria Malibran, di DonizettiGaetano Donizetti, di BelliniVincenzo Bellini. Il loro palco era il n° 3 del I ordine destro.
Unica eccezione alla continuità Khevenhüller-Metsch l’anno 1809: il palco è occupato da un militare dell’esercito napoleonico, Carlo Rossi, maggiore del quarto reggimento di fanteria di linea e nominato nel 1811, con decreto vicereale, maggiore dei Coscritti della Guardia. L’anno prima era stata stabilita l’uniforme: sciaccò, abito verde scuro con colletto scarlatto e risvolti rossi, pantaloni bianchi, ghette nere. Ci immaginiamo il maggiore Rossi nel palco, circondato da belle fanciulle, ad applaudire la giovane soprano Isabella Colbran ai suoi primi successi scaligeri o il grande Giovanni Battista Velluti, ultimo dei grandi cantori evirati.
Nel 1856, quando nuovamente ricompaiono i nomi dei proprietari dei palchi nelle fonti (il lungo silenzio post-quarantotto è da interpretarsi come una sorta di ritorsione governativa verso i palchettisti patrioti e antiaustriaci), sino al 1862 le fonti registrano gli stessi Ferrini e Bosisio che risultano nell’adiacente palco n° 4 e così le storie si intrecciano.
Carlo Bosisio si sposa con la ballerina Adelaide Superti, attiva alla Scala tra il 1829 e il 1843.
Il comproprietario è Gaspare Antonio Ferrini, farmacista di Locarno (1797-1867), giunto in quel di Milano per sposare in seconde nozze (aveva già avuto una figlia, Marianna, dalla prima consorte, Giubilante Vacchini morta di parto) Eugenia, figlia di Domenico Cagnolati e di Francesca Sassi. La moglie di Domenico, rimasta vedova, prende in mano l’attività, cosicché il negozio viene soprannominato il Caffè della Cecchina. Ritroviamo qui come nel palco n° 4 il nome di Eugenia Cagnolati Ferrini (1808-1864) per due anni, nel 1863 e nel 1864, oltre che nel palco n° 13 del III ordine destro.
Dopo la morte di Eugenia, la storia dei due palchi si divide di nuovo perché il palco viene ereditato dal figlio, Rinaldo, che rinuncia al n° 4 (che va ai fratelli Besana) proprietario sino al 1893. A Rinaldo Ferrini (1831-1908), professore al Politecnico, fisico e ingegnere, saggista, i milanesi devono molto perché fu il primo a progettare sistemi di riscaldamento “globale” per la capitale lombarda. Con Luigia Buccellati il professore ha due figli, Eugenia e Contardo, quest’ultimo sulla via della beatificazione, riconosciuto infatti “Venerabile”. Una lapide lo ricorda nella chiesa di fronte al Teatro Dal Verme.
Chiude la storia del palco la marchesa Costanza Gardella Abbiati, moglie di Jacopo Gardella (1845-1926), architetto di origini genovesi. Dalla loro unione nasce nel 1873 Arnaldo, ingegnere civile, padre del famoso architetto Ignazio Gardella. La marchesa Abbiati Gardella è titolare dal 1908 al 1920 quando il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi e si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 7, IV ordine, settore sinistro

Un palco "senza fine"
I palchi del IV ordine, messi in vendita dall’Associazione dei palchettisti nel 1778, erano considerati un vero e proprio investimento. Chi li comprava, aristocratico o ricco borghese che fosse, già possedeva in genere palchi di primo o di secondo ordine, palchi che garantivano visibilità sociale: si sa, andare alla Scala era più per farsi vedere all’opera che per vedere l’opera. Il palco di IV ordine, invece, sarebbe stato quello di riserva: non soltanto avrebbe garantito un posto per gli invitati “in soprannumero”, ma si sarebbe potuto affittare per le singole serate, per una serie di serate o addirittura subaffittare per un’intera stagione, con conseguente ammortizzazione dei capitali.
Pochi sono i palchettisti che possiedono soltanto un palco alla Scala e solo nel quarto ordine; uno di questi è Johann Sigmund von Khevenhüller-Metsch (1732-1801) proprietario del n° 7 dal 1779; glielo assicura nell´asta del 14-15 maggio 1778 il marchese Tiberio Crivelli. Johann Sigmund è il secondo figlio del principe imperiale di Giuseppe II e cavaliere del Toson d’oro Johann Josef e della contessa Karolina von Metsch; per la morte precoce del primogenito eredita i titoli paterni. Suo fratello, ultimogenito della coppia Khevenhüller-Metsch, è il conte Johann Emanuel, pluripalchettista avendo due proprietà nel IV ordine (n° 4 e n° 5, settore destro) e il n° 17 nel II ordine destro. Personaggio di primo piano nella corte di Maria Teresa d’Austria, il Principe del Sacro Romano Impero Johann Sigmund segue le orme paterne dedicandosi alla carriera diplomatica, iniziata in Portogallo e approdata a Milano dove dal 1775 al 1782 ricopre la carica di plenipotenziario per il ducato. Dieci i figli avuti dalla prima moglie, la principessa Maria Amalia del Liechtenstein, sposata nel 1754, nessuno dalla seconda, Giuseppina dei conti di Strassoldo, che lasciò vedova nel 1801, dopo appena un anno di matrimonio.
Nel periodo napoleonico compare utente per il 1809 il nome del conte Giacomo Durini (1767-1834), esponente del ramo secondogenito della storica e antica famiglia. Come il padre Carlo, capitano, il conte si dedicherà alla carriera militare; ostile agli Asburgo diverrà colonnello di Vittorio Emanuele I di Savoia e gentiluomo di camera di Carlo Felice. Nel 1810 lo sostituiscono due militari, Gerolamo Della Tela e Gaetano Giuseppe Piantanida. Nel 1813, il palco passa alla casata dei Bozzolo Salvioni, che lo terrà fino al 1837. Negli anni successivi, per molto tempo, figurano proprietari i “borghesi” Tarlarini: prima Giuseppe, avvocato e notaio in Milano, poi Ercole e infine le figlie Adele e Maddalena che condividono la proprietà sino alla morte di Adele (1883). Maddalena, coniugata Radius, possidente, abita in via S. Eufemia 25 ed è la madre dell’avvocato e banchiere Emilio Radius con il quale condivide il palco dal 1889 al 1897. Emilio nel 1871 sposa la scrittrice Neera, pseudonimo di Anna Zuccari, irredentista e interventista alle soglie della Grande Guerra, impegnata nelle battaglie per l’emancipazione femminile che caratterizzarono l’Italia, e in particolare Milano, agli inizi del XX secolo. La Zuccari riposa al Cimitero monumentale.
Maddalena, ormai vedova, sarà la sola titolare sino alla morte e il palco rimane in eredità giacente dal 1917, curato come tutti gli affari di famiglia dallo studio del dott. Marinelli. Non sappiamo a chi poi il palco fosse destinato, ma poco importa visto che nel 1920 la proprietà privata dei palchi termina con l´esproprio del Comune di Milano e la costituzione dell´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 15, IV ordine, settore sinistro

Da Prata a Prata
Nel 1778 i palchi del IV ordine del nuovo Teatro alla Scala vengono messi all’asta: il conte Francesco Prata lo acquistò il primo aprile e non possiede altri palchi scaligeri. Questa è una certezza. Meno certa invece la sua identità, come spesso succede nella storia dei palchi. Prata potrebbe essere il noto direttore degli spettacoli milanesi ai tempi del Ducale, drammaturgo dilettante di cui parla anche Goldoni, esponente di quell’élite musicale e aristocratica invitata dal conte Firmian al famoso ricevimento del 7 febbraio 1770 in onore del giovane Mozart in sosta a Milano. Ma la data di morte del conte, nato nel 1699, risulta essere il 1782, mentre il nome Francesco Prata compare nelle fonti scaligere sino al 1796. Succede altre volte: l’intestatario rimane il medesimo sino a quando le questioni ereditarie si sbloccano; tuttavia, stavolta il periodo post mortem è molto lungo. Un´opzione alternativa ci porta a un altro esponente della famiglia Prata, Bernardino Ladislao detto Francesco (1715-1793); in questo caso l’intestazione post mortem sarebbe di soli tre anni; inoltre il conte Francesco, coniugato con Maria Mozzoni, è il padre di Maria Francesca, che risulta la successiva proprietaria del palco dal 1796.
Maria Francesca De Cristoforis Prata è la moglie di Luigi Maria De Cristoforis, dichiarato nobile con tutta la discendenza con diploma imperiale del 1° maggio 1793; madre di Tommaso, Vitaliano, Luigi e Giuseppe, come tante dame del suo tempo Maria Francesca si divide tra figli, affari di famiglia, serate culturali e salottiere, attività solidali: il lascito più consistente - un legato testamentario di 300 Lire milanesi - è in favore dell’Ospedale Maggiore. La Prata possedeva un altro palco, il n° 14 del IV ordine, settore destro, che andrà poi in eredità a Giuseppina, figlia del figlio Giuseppe, noto naturalista e scienziato.
Per un curioso gioco di incroci parentali e divisioni patrimoniali, nel n° 14 prima della Prata il palco è di Carlo Vidiserti, in questo n° 15 dopo Maria Francesca Prata compare proprietaria nel 1838 la moglie di Carlo, la nobildonna Giuseppina Vidiserti nata Franchetti di Ponte (1792-1873), appartenente a una famiglia di imprenditori di origine ebraica spostatasi da Mantova a Milano. L’impresa Franchetti, della quale faceva parte anche il marito, aveva come obiettivo la creazione di un servizio di trasporto su diligenza in Lombardia. Longeva testimone delle vicende italiche, dal periodo napoleonico ai primi decenni postunitari, Giuseppina fu sempre patriota, prima e dopo il Risorgimento: nel palazzo Vidiserti (tra via Bigli e via Montenapoleone 37) si riunivano i cospiratori delle Cinque Giornate; il nome di Giuseppina compare nella Lista delle contribuenti alla bandiera offerta dalle donne milanesi al prode esercito ligure-piemontese (1848) insieme a tante altre attiviste; nel 1862 è tra i sottoscrittori del Compianto sulla tomba onorata di Emilio e Alfredo Savio caduti nelle battaglie italiche, a ricordo dei due figli dell’avvocato piemontese Andrea Savio, amico e consigliere di Cavour, e di Olimpia di Bernstiel, capitani d’artiglieria morti il primo all’assedio di Gaeta (23 anni), il secondo a quello di Ancona (22 anni).
La figlia di Giuseppina e Carlo, Luisa Vidiserti (1810-1852), sposa nel 1831 Giovanni Orazio Maria Bertoglio Bazzetta di nobile famiglia originaria di Monza, che aveva ottenuto nel Settecento il titolo comitale. Al cognome Bertoglio si era poi aggiunto quello di un cugino, Giovanni Bazzetta. I figli di Luisa erediteranno il palco della nonna materna, tranne il secondogenito, Giuseppe, morto a 17 anni nel 1853. Infatti, dopo tre anni di giacenza in eredità, nel 1878 i proprietari risultano Gaetano, Giuseppina e Carolina Bertoglio Bazzetta. I Bertoglio abitavano in via Manzoni 25, di fronte alla via Bigli a un passo dal teatro. Gaetano Bertoglio era stato nominato erede da Carlo Vidiserti anche nel ruolo di amministratore della ditta Franchetti; Giuseppina e Carolina sono le sorelle, destinate a ottimi matrimoni. I tre risultano cointestatari del palco sino alla morte del conte Gaetano, nel 1883. A quel punto rimangono le due sorelle e solo nel 1888 si aggiunge il nome di Rosa Bertoglio Prata, vedova del conte Gaetano, ritornando, in un cerchio parentale, al cognome del primo proprietario. La Bertoglio Prata entra di diritto tra i “palchettisti benefattori” con il suo legato a favore del Pio Istituto dei Sordomuti Poveri di campagna, una delle tante benefiche istituzioni della Milano solidale di quel tempo.
Dopo la morte della contessa Rosa, nel 1916, il palco rimane giacente in eredità sino al 1920, anno nel quale il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi e si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 3, I ordine, settore destro

Il palco dei Visconti di Modrone
Un tempo c’era la cerchia interna dei Navigli, un lungo corso d’acqua navigabile che riprendeva l’antico fossato difensivo della Milano medievale; oggi c’è il lungo percorso che da via Pontaccio porta a via Carducci, girando in senso orario attorno al centro cittadino. Il quarto tratto, da via San Damiano a via Francesco Sforza, è la via Uberto Visconti di Modrone, in rappresentanza della nobile casata, discendente - lo si legge nella prima parte del nome - dai Visconti signori di Milano; la seconda parte del nome si lega invece al luogo di Vimodrone. Nel 1684, infatti, Nicolò Maria Visconti sposò Teresa Pirovano Modroni; Vimodrone fu infeudata al Visconti che, nominato marchese, aggiunse al suo il predicato feudale di Modrone, dando inizio alla dinastia dei Visconti di Modrone. Il nipote abiatico di Teresa, Francesco Antonio (1729-1792), eredita dalla nonna materna anche il cognome e il titolo di Conte Pirovano; ecco perché nel palco n° 3 del I ordine settore destro le fonti segnano come proprietario, nel 1780, il Conte Visconti Pirovano: due anni dopo, il conte si firma nei documenti Alessandro già Francesco Antonio Visconti Pirovano Marchese di Modrone.
Per la famiglia sembra essere il primo palco nei teatri di Milano: i Visconti di Modrone infatti non compaiono tra i palchettisti del Teatro Ducale e del Teatro Interinale eretto dopo l’incendio, in attesa che fosse costruito il Teatro alla Scala: si rendeva d’obbligo per Francesco Antonio Visconti Pirovano di Modrone, Ciambellano di Casa d’Austria, avere un palco. Glielo vendette la duchessa Barbara Moles nata Del Caretto, che le fonti indicano come titolare nel 1778; il notaio Perrochio ratifica il passaggio di proprietà non solo per il palco scaligero ma anche per un palco al Teatro della Canobbiana. Tra la vendita e la presa del palco passa un anno, il 1779, durante il quale le fonti segnalano come proprietario don Antonio Molo, palchettista già del Ducale e titolare per lunghi anni di altri palchi scaligeri.
In epoca napoleonica, titolare risulta il figlio Carlo (1780-1836) che ottiene nel 1813 il titolo di duca. Carlo è il marito di Maria Khevenhüller, figlia del principe Emanuele, funzionario dell´Impero asburgico e palchettista; la coppia non ha figli, quindi il palco, il maggiorasco e il titolo di duca passano al cugino Uberto <1.> (1702-1850). Dopo la sua morte rimane giacente in eredità sino al 1877; non dobbiamo però pensare che rimanga vuoto mancando un proprietario riconosciuto legalmente. Anzi, oltre che dalla famiglia, dagli eredi e dagli ospiti, poteva essere affidato a un procuratore per essere affittato durante la stagione o per spettacoli singoli.
Nel 1878 la situazione si sblocca e compare proprietaria la vedova di Uberto, marchesa Giovanna Gropallo (1805-1884), che aveva generato ben sette figli, quasi tutti defunti appena nati, infanti o giovanissimi o, come nel caso del sesto, Luigi (1839-1879), morti senza discendenza.
L’unico a procreare è il quinto figlio, duca Guido Visconti di Modrone (1838-1902), coniugato nel 1870 con Ida Renzi, la figlia di Francesco, un noto e ricco commerciante veronese che aveva già coronato per sé il sogno di molti esponenti delle classi non nobiliari: si era sposato con una contessa, Lucrezia Gritti. Per la figlia, ricca ereditiera, Francesco vuole di più; così Ida, ventenne, si sposa con Guido, esponente di un casato antico e prestigioso. Cinque sono i figli maschi, il quarto, Giuseppe, diverrà padre di Luchino Visconti, che non fece in tempo a conoscerlo; invece frequentò molto nonna Ida fino a nove anni di età.
Guido, senatore, è uno dei protagonisti della storia milanese e lombarda e di quella del teatro stesso: nel luglio del 1897 la Scala sospese le rappresentazioni in seguito alla delibera del Consiglio Comunale che revocava il finanziamento pubblico da parte del Comune. Guido, insieme a un gruppo di facoltosi cittadini, si fece promotore della costituzione della Società anonima per l’esercizio del Teatro alla Scala, della quale fu presidente, per gestire gli spettacoli senza fini di lucro e con elevati obiettivi artistici. Il Consiglio di amministrazione, formato da Arrigo Boito, Ettore Ponti (futuro sindaco di Milano), Luigi Erba, Luigi Borghi e da suo figlio Giuseppe, nominò Giulio Gatti Casazza direttore generale, come l’impresario di una volta responsabile degli spettacoli ma senza alcun interesse speculativo, affiancato da Arturo Toscanini come direttore dell’orchestra e artistico.
L’opera di Guido da un lato rinforzò il peso contrattuale dei palchettisti, dall’altro fece percepire a tutti, pubblico compreso, l’inizio di un momento di crisi di non facile soluzione.
Dopo Guido prese possesso del palco il primogenito Uberto <2.> (1871-1823) coniugato con Maria Anna Figarolo dei marchesi di Gropallo, bellissima giovane dalle fattezze déco; Uberto continua l’opera del padre, rimanendo alla presidenza della Società esercente sino al 1916. Fondatore degli stabilimenti tessili del marchio “Visconti di Modrone”, rimase titolare sino alla morte. Nel 1928, anno dell´esproprio per pubblica utilità, il figlio Marcello e la vedova cedettero la proprietà al Comune di Milano per lire 44.500, secondo il prezzo stabilito dalla perizia del 1921 e in convenzione con l´Ente autonomo Teatro alla Scala, costituitosi nel 1920.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 1, II ordine, settore destro

Il palco delle doppie coppie
Doppi matrimoni e intrecci patrimoniali per i primi proprietari caratterizzano la storia del palco. Il conte Francesco D’Adda (1726-1779), personaggio di rilievo nella Milano asburgica, vicario di Provvisione e I.R. Ciambellano, aveva sposato nel 1754 Barbara Maria Corbella, figlia e unica erede del marchese Carlo, morta a 22 anni nel 1759 dando alla luce la figlia Maria e decretando così la fine del suo casato. Francesco D’Adda nel 1768 annette alle sue già vaste proprietà il feudo di Affori, che sin dal Seicento apparteneva alla famiglia Corbella, dando nuovo slancio all’economia agricola locale, abbellendo la grande villa e sistemando il già splendido parco con giardini all’italiana e all’inglese. La villa di Affori, ancor oggi esistente, diventa la “villa di delizia” della seconda moglie, Teresa Litta Visconti Arese (1753-1815) impalmata nel 1770, lei appena diciassettenne, lui di 27 anni più vecchio. Nove gli anni di matrimonio. Alla morte di Francesco D’Adda, Teresa si risposa nel 1782 con il marchese Maurizio Gherardini, altro esponente di spicco del governo austriaco, Gran Ciambellano dell’Imperatore e Ministro Plenipotenziario d’Austria presso il Regno Sabaudo.
Teresa eredita il palco nel 1783, già Marchesa Gherardini, quale “Madre e tutrice” della figlia del primo marito, Maria; nel 1787 il palco passa infatti a Maria d’Adda (1759-1788), che sposa il conte palatino Guido Orsini Roma. La povera “principessa Orsina” o “Romina” (così era chiamata) non si godrà a lungo né la dimora del coniuge in via Borgonuovo né gli spettacoli alla Scala perché morirà un anno dopo e questo porterà all’estinzione della famiglia D’Adda del ramo dei marchesi di Sale. Teresa Gherardini, nel 1789, ritorna come intestataria del palco che terrà sino alla morte; lo eredita nel 1815 la figlia Vittoria.
Vittoria Gherardini (1790-1836) si sposa due volte, nel 1806 con Girolamo Trivulzio, marchese di nascita e creato conte da Napoleone, e nel 1816 con Alessandro Visconti d’Aragona, marchese di Invorio. Vittoria ha dal Trivulzio una sola figlia, battezzata con ben dodici nomi: Maria, Cristina, Beatrice, Teresa, Barbara, Leopolda, Clotilde, Melchiora, Camilla, Giulia, Margherita, Laura, che passerà alla storia come Cristina TrivulzioCristina Trivulzio di Belgiojoso; con il marchese Alessandro genera altri quattro figli, Alberto, Virginia, Teresa e Giulia.
Vittoria marchesa Trivulzio e poi contessa Visconti d’Aragona è una donna non bella ma di temperamento forte e passionale, educa i figli all’amore di patria, lei stessa come la figlia Cristina aderisce al ramo femminile della Carboneria, le “Giardiniere”; morirà a Parigi, esule, nel 1836. La figlia Cristina si sposa col principe Emilio di Belgiojoso acquisendo quel titolo di Principessa di Belgiojoso che, nonostante la separazione dal marito, le rimarrà per tutta la vita.
Alla morte di Vittoria Trivulzio Visconti d’Aragona e dopo due anni di eredità giacente, nel 1840 il palco passa al marchese Antonio Visconti Aymo (1798-1865), esponente del direttivo dei Regi Teatri e consigliere intimo di Francesco Giuseppe. Antonio sposa una famosa cantante, Stefania Favelli, nata a Parigi e formatasi alla scuola di Manuel Garcia padre; soprano drammatico, la Favelli, già in carriera, approda alla Scala come Semiramide, subito osannata dal pubblico. Condivide i suoi successi con la “diva” Giuditta Pasta tanto che entrambe hanno l’onore di esser ritratte da Giuseppe Molteni. La Favelli lascia il palcoscenico dopo il matrimonio per ritirarsi a vita privata nel palazzo Aymo, in via Filodrammatici 10. Vedova, chiude la serie delle doppie coppie del palco.
Dopo sei anni di eredità giacente, nel 1872 si apre un’altra storia con i nuovi titolari, Giuseppe Laboranti e Francesco Dal Verme.
Giuseppe Laboranti è un avvocato, per qualche anno procuratore dei Visconti Arese, impegnato politicamente, cavaliere, consigliere della provincia di Milano, sindaco di Orio Litta dove è ancora ricordato per aver sistemato la torre campanaria della chiesa parrocchiale, già ricca di un organo Serassi. Francesco Dal Verme (1823-1899) è un conte di antica stirpe, ricco proprietario di terreni e case: il palazzo Dal Verme, di origine medievale, era in Contrada S. Giovanni sul Muro 2427, odierna via Puccini 3. Proprio in quell’area sorgeva nel 1864 una costruzione in legno e in ferro, il circo equestre del famoso cavallerizzo milanese Gaetano Ciniselli, poi “Politeama Ciniselli”; la presenza dei cavalli e l’andirivieni di un pubblico popolare rendeva insicura la zona, sicché il Dal Verme - rispondendo alle richieste dei suoi numerosi benestanti e benpensanti affittuari - compra il terreno per erigervi un “dignitoso” teatro, la cui realizzazione viene affidata all’architetto Giuseppe Pestagalli. Nasce così il Teatro Dal Verme, ampio teatro all’italiana - conteneva oltre 3.000 persone - concepito per una versatile programmazione che prevedeva sia le opere liriche (il Dal Verme si inaugurò il 14 settembre 1872 con Gli Ugonotti di Meyerbeer) sia i testi in prosa e, dopo il 1900, anche le operette. Al Teatro Dal Verme debuttano Giacomo Puccini con Le Villi (1884) e Ruggero Leoncavallo con Pagliacci (1892). Il teatro, dopo il drammatico bombardamento del 1943, risorge nel dopoguerra come cine-teatro, riconvertito oggi in teatro e auditorium.
Morto il conte Dal Verme nel 1898, subentra per successione la vedova, Giovanna Gargantini, Jeannette all’anagrafe (1837-1932), parigina, figlia di Antonio e Luigia Carozzi, esuli per motivi politici; tornata a Milano nel 1860, ricca ma non nobile (il padre era avvocato), sposa nel 1863 il conte Dal Verme coronando quella immagine sociale perseguita tenacemente dalla classe borghese: anche la sorella Giulia farà un ottimo matrimonio sposando il marchese Luigi Archinto. Jeannette Gargantini, persi i figli per malattia, cura gli affari del marito e durante la vedovanza si dedica a opere di carità: compare tra i benefattori dell’Ospedale maggiore e un suo ritratto campeggia nella quadreria. Appassionata d’arte come il marito, donerà suoi quadri all’Ambrosiana; il suo nome figura nel 1911 tra i sottoscrittori per l’acquisto della Collezione di strumenti Sambon, nucleo originario del Museo teatrale alla Scala. La contessa Dal Verme terrà il palco sino al 1920, anno in cui si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 17, II ordine, settore destro

Il conte, la bestia e… un palco
Le autorità governative austriache, nella persona del Conte di Kevenhüller, il 14 luglio 1792 pubblicarono a Milano un Avviso nel quale si diede notizia dell’uccisione dei due fanciulli da parte di "una feroce Bestia di colore cinericcio moscato quasi in nero, della grandezza di un grosso Cane". Fu indetta quindi una "generale Caccia" con premio di 50 zecchini per chi avesse ucciso la "predetta feroce Bestia". L’Avviso nella sua veste originale è pubblicato a preludio del libretto di Giorgio Caproni Il conte di Kevenhüller (Garzanti 1986); lo scrittore con lo pseudonimo di Aleso Leucasio svolge un metaforico percorso poetico intorno alla cattura della bestia, una preda che "anche se non esisteva, c’era".
Il conte Khevenhüller, immortalato nel libro, è il primo proprietario, con sua moglie Giuseppina Mezzabarba, del palco n° 17, del II ordine di destra.
Discendente della famiglia dei Khewenhüller, nobili originari della Carinzia, Johann Emanuel Joseph von Khewenhüller-Metsch fu l’ultimo figlio della contessa Karoline von Metsch e di Johann Joseph von Khewenhüller, capo maggiordomo dell’imperatrice Maria Teresa; creato principe nel 1767, Johann Joseph von Khewenhüller unisce al proprio il cognome della moglie, acquisendo il diritto di trasmettere il titolo principesco ai primogeniti. Johann Emanuel, come il padre, entrò nelle grazie asburgiche, divenendo consigliere intimo di Francesco I d’Austria.
Nel 1773, milanese d’adozione e citato nelle fonti come Emanuele, il conte si sposò con la diciottenne Maria Giuseppina Mezzabarba (1757-1811), ultima erede dell’omonimo casato pavese; la figlia Marie Leopoldine (1776-1851) convolò a nozze nel 1794 con il patrizio milanese Febo d’Adda (1772-1836). Ritroviamo il nome del marchese d’Adda nel 1809, come utente del palco, diviso con Giuseppe Visconti: i due, entrati i francesi a Milano, erano stati delegati, con tanti altri esponenti del patriziato, a far rispettare avvisi e decreti emanati dal nuovo governo (fra i quali, quello di evitare di suonare le campane per evitar sedizioni) e in particolare a ricevere le notificazioni per la leva della Milizia urbana, nelle varie zone della città; Giuseppe Visconti era delegato a Porta Vercellina nella parrocchia di Santa Maria Pedone, Febo D’Adda a Porta Nuova nella parrocchia di San Bartolomeo. Tranne questa parentesi, il palco rimane a Emanuele di Khewenhüller decisamente longevo (1751-1847) e che si era accumulato un notevole patrimonio fondiario, sino a quando nel 1848 passò alla figlia Marie Leopoldine, vedova dal 1836.
Dopo il 1856, proprietari risultano i fratelli Vitaliano (1800-1879), coniugato a Carolina Doria, e Carlo d’Adda (1816-1900), rispettivamente secondogenito e quartogenito di Febo e Leopoldine. Dopo due anni, il palco è intestato soltanto a Carlo, marchese di Pandino, patriota già dalle Cinque giornate, fortemente avverso al dominio austriaco, esule in Francia, amico di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, coniugato con una delle donne più vivaci del secolo, la giovane nipote Maria Falcó Valcarcel Pio di Savoia, detta Mariquita per le sue origini spagnole. Salonnière e patriota, promotrice ai tempi del 1848 di una lettera Alle donne degli Stati Sardi, nella quale si chiedeva, oltre all’unità nazionale, il rispetto dei diritti femminili, dopo il 1859 segue il marito nominato prefetto a Torino, fondando un salotto frequentato anche da Cavour e Ricasoli; tornata col marito a Milano dopo l’Unità, Mariquita riunì nella sua casa di via Manzoni 45 intellettuali e politici di tendenza liberal-conservatrice; Carlo d’Adda si distinse tra i fondatori del giornale La Perseveranza, per le sue attività industriali (era coinvolto nelle Ferrovie) e benefiche quale presidente della Congregazione di Carità di Via Olmetto e dell’Ospedale Maggiore.
Morti Mariquita e Carlo d’Adda, il palco passa nel 1901 a Leopolda d’Adda (1847-1922), vedova del senatore del Regno Annibale Brandolin, unica figlia sopravvissuta dei quattro della coppia, detta Leopoldina, come la nonna Khewenhüller, ed effigiata bambina da Vincenzo Vela in un marmo straordinarimente delicato. A lei succede Virginia Longhi (1856-1936), moglie di Giuseppe Crespi, rampollo di una delle famiglie industriali più importanti d’Italia (era fratello di Benigno, comproprietario del Corriere della Sera e dell´imprenditore Cristoforo), leader sin da metà Ottocento nel commercio dei filati del cotone. Virginia compare titolare sino al 1920, quando si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 8, IV ordine, settore destro

Due palchi, una storia parallela
I palchi di IV ordine vengono messi all’asta nella primavera del 1778, l´anno dell’inaugurazione del Teatro alla Scala. Le vite dei nuovi o dei “vecchi” palchettisti, già presenti nei primi tre ordini, si intrecciano in un complesso contrappunto parentale e arricchiscono la variegata polifonia scaligera.
Don Giuseppe Gemelli, abate di Orta e, ci dicono documenti del tempo, “dottissimo scrittore di cose agrarie”, compare come primo proprietario di questo palco; non ne possiede altri, come il suo successore Giovanni Battista Gemelli, della stessa famiglia, ammessa agli onori del patriziato milanese con decreto del 23 dicembre 1770 e confermata nell’antica nobiltà con Sovrana Risoluzione Austriaca del 21 novembre 1816.
Dal 1796 al 1834, con la sola interruzione del 1809, quando utente è il conte Francesco Crevenna e del 1810, quando utente è Antonio Tinelli, signore di Gorla, compare un altro Giovanni Battista: è il ricco possidente Giovanni Battista Rigola (1770-1832), di famiglia di commercianti originaria di Intra; Rigola è già intestatario del palco n° 6 del III ordine destro, palco acquistato in periodo napoleonico, nel 1811, da Paolo Grancini “negoziante in droghe e liquori spiritosi”. Come emblema della propria ricchezza, oltre al palco, Rigola aveva prima affittato e poi comprato una “casa di massaro” dei Borromeo, in quel di Origgio (oggi Villa Borletti) con terreno arativo e piantagione di gelsi; col fratello Giuseppe l’aveva trasformata in “casa di villeggiatura con giardino” e nel 1801 l’aveva venduta al benestante Giuseppe Maria Pedretti. Imparentato con una “signora Curioni Rigola” (la vedova?) titolare di un palco alla Canobbiana nel 1842-43, Giovanni Battista era probabilmente lo zio di Adelaide Curioni Merlotti che eredita il palco scaligero nel 1835, oltre al palco alla Canobbiana e l’altro palco di Rigola, il citato n° 6 del III ordine destro. La Curioni era sposata con Francesco Merlotti, del quale rimane vedova, stando alle fonti, nel 1837. Longeva, Adelaide lascia il mondo nel 1897; il suo palco passa al figlio Francesco Merlotti, omonimo del marito, che lo terrà fino al 1909. Così è per l’altro palco della Curioni.
Nel 1910-11 il palco entra in possesso della famiglia Schieppati (o Schiepatti, o Schiepati), così come accade per il n° 6 del III ordine che come abbiamo visto ha una sorta di storia parallela; ascritta nella beneficenza, soprattutto per gli ospizi e le scuole dell’infanzia, insieme ai Calchi, agli Strada, ai Gambarana, tutti palchettisti. Tra l’altro una Schieppati, Giuditta, benefattrice dell’ospedale Fatebenefratelli, era la moglie di quel Paolo Grancini che aveva venduto il palco a Rigola nel 1811. Gerolamo Schieppati potrebbe essere il commerciante in cascami e seta, con un negozio in via Broletto 43, fratello dell’editore Carlo libraio a Milano in Piazza dei Mercanti 26. Nel 1912-13 il palco è giacente in eredità, nel 1914 ne diviene intestataria Virginia Schieppati, vedova Guazzoni, forse la figlia: di lei poco è dato sapere se non il suo indirizzo, S. Nicolao 5. Nel 1920 i palchi vengono espropriati dal Comune e la formazione dell’Ente autonomo Teatro alla Scala decreta la fine della loro proprietà privata.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 9, IV ordine, settore destro

Dal notaio Castellini ai Pii Istituti Teatrale e Filarmonico
Primo proprietario del palco è don Giuseppe Castellini (circa 1720 - 1793), residente in Porta Santo Stefano; tra le tante cariche che ricopre, citiamo quella di segretario dell’Imperatrice Maria Teresa presso il governo di Milano, di cancelliere per gli affari delle imprese e della mercanzia e di cancelliere del magistrato camerale. Durante la sua attività di Notaio collegiato, ha molti clienti privati di prestigio appartenenti al patriziato milanese, come Antonio Greppi, Carlo di Castelbarco, Luca Pertusati; cura molti trasferimenti di proprietà di palchi.
Dopo la sua morte e la conseguente giacenza in eredità, nel 1809 il palco figura nelle mani di quello che potremmo definire un faccendiere, Giuseppe Borrani (1779-1831). Proprietario del Caffè del Teatro in piazza della Scala 1149, già di Francesco Cambiasi, e che diverrà dopo il 1832 il Caffè Martini, oltre che subaffittuario della bottiglieria, Borrani affitta “par soirée”, come nel 1810. Doveva guadagnare molto, se pensiamo che oltre a questo n° 9 aveva a disposizione il n°1 e il n° 9 del I ordine destro; il n°11 nel II ordine destro; i palchi n° 8, n° 10 e n° 15 nel III ordine destro; il n° 9 e il n° 13 nel III ordine sinistro e infine il n° 12 nel IV ordine sinistro. Il suo nome scompare dalla storia scaligera nel 1813. Con il declino di Napoleone, rientrano sovente i vecchi proprietari e così subentrano nel palco gli eredi del notaio Castellini, ovvero i Signori Salmoiraghi ai quali seguguiranno nel 1815 le Sorelle Salmoiraghi.
Alessandro Brambilla risulta intestatario dal 1834 al 1848. Dopo i moti risorgimentali e dal 1856 le fonti riportano come proprietari invece di Brambilla, che in quell’anno ottiene il palco n° 8 nel più prestigioso II ordine destro, Cagnolati e Superti. I cognomi rispondono a due palchettiste.
La prima è Eugenia Cagnolati (1807-1864), figlia di Domenico e di Francesca Sassi, titolari del Caffè dei Virtuosi, detto anche - dopo la morte di Domenico - Caffè della Cecchina; Eugenia, prima di sposarsi nel 1824 con il farmacista di Locarno Gaspare Antonio Ferrini, serviva ai tavoli del locale in piazza della Scala 1144, all´angolo di contrada del Marino. La Cagnolati compare in molti palchi con il cognome del marito.
La seconda è Adelaide Superti (1815 - dopo il 1890), attiva alla Scala tra il 1829 e il 1843, ballerina di grido: ad esempio nel 1836 era prima parte nei balli per l´Armida di Rossini, nel 1839 per Il Bravo di Mercadante; abitava nel Teatro con il marito Carlo Bosisio, assistente del custode, che possedeva ben nove palchi.
Adelaide condivide la proprietà del palco con il marito dal 1863 sino al 1872, anno in cui il palco viene acquistato dal nobile Leopoldo Pier d’Houy (1817-1888), cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, negoziante e commissionario in seta, residente in via Durini 27, un edificio che oggi sarebbe situato all’angolo con piazza San Babila, nella zona ricostruita dopo i bombardamenti del 1943. Egli è membro del patronato per i liberati dal carcere e iscritto nell’elenco dei benefattori dell’Ospedale Maggiore: Pierd’houy infatti dona all’ospedale ben 100.000 lire in memoria del figlio Augusto, medico oculista, cavaliere della corona d’Italia, la cui brillante carriera era stata interrotta dall’ileotifo il 31 maggio 1886 a soli trentacinque anni. I ritratti di Leopoldo , della moglie Felicita Merini, protettrice dei poveri e dei malati, e di Augusto, dipinti da Giovanni Beltrami, campeggiano nella quadreria dell’ospedale. Il monumento sepolcrale, voluto da Felicita, sopravvissuta a figlio e marito (muore il 5 maggio 1901), opera dello scultore Primo Giudici, è uno dei più strani del Cimitero Monumentale, con il suo angelo posto al culmine di un massiccio di pietra istoriato da inquietanti decori.
È assai probabile che il palco sia passato ai proprietari successivi per legato testamentario voluto da Pier d’houy in memoria del figlio: infatti, dal 1889 titolari sono gli enti benefici per lo spettacolo, il Pio Istituto Teatrale e il Pio Istituto Filarmonico, denominato dal 1909 Pio Istituto Filarmonico della Scala.
Il Filarmonico è il più antico e nasce nel 1783 nella Milano illuminista “a favore degli artisti addetti all’orchestra dei Regi Teatri”: un aneddoto lega la fondazione del Pio Istituto al sopranista Luigi Marchesi che, rientrato da Vienna, andando a una recita nel 1780, vede sotto il loggiato del teatro mendicanti con la mano tesa. Saputo che erano gli orchestrali ormai vecchi o inabili a suonare e ridotti a chiedere la carità per mangiare, Marchesi si fa promotore dell’Opera pia, che ottiene la concessione dell’Arciduca Ferdinando anche per le sedici accademie annuali volte alla riscossione di fondi. Garantita l’assistenza agli orchestrali (che dovevano però rimanere in una sorta di lista di attesa decennale prima di ottenere i sussidi), un’altra grande mente illuminata pensò ai “lavoratori dello spettacolo” (cantanti, ballerini, poeti, scenografi, coreografi, macchinisti, capocomici e persino artisti equestri e acrobatici...), quella del duca Carlo Visconti di Modrone (1770-1836). Direttore degli Imperial Regi Teatri milanesi, fondò nel 1828 il Pio Istituto Teatrale, assumendone anche la presidenza. L’Istituto fu di fatto una delle prime società di mutuo soccorso di Milano, destinato ad erogare sussidi e pensioni al personale teatrale diventato inabile al lavoro per malattia, incidenti o vecchiaia. Eretto in Ente Morale nel 1829 e in seguito riconosciuto Società di mutuo soccorso con decreto del Tribunale di Milano del 23 luglio 1896, l’ente si sosteneva attraverso le quote associative, le donazioni di privati, l’organizzazione di rappresentazioni il cui introito era devoluto alle casse sociali, l’affitto del palco.
I due Pii Istituti, le cui vicende si intrecciano con quelle dei benefattori milanesi, sono i titolari sino al 1920, anno in cui inizia l’esproprio dei palchi da parte del Comune di Milano e si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 10, IV ordine, settore destro

Storie di una Milano dinamica
Tra tendaggi, specchi, poltrone e damaschi, i palchettisti sono il cuore pulsante di una straordinaria polifonia di eventi che fa del Teatro alla Scala lo specchio della città.
Proprio nell’anno dell’inaugurazione, nella primavera del 1778, i palchi di IV ordine vengono messi all’asta: quelli riservati ai proprietari che avevano rinunciato a un palco al Teatro Piccolo “della Canobbiana” sono venduti al prezzo fisso di 3.500 Lire imperiali, gli altri a cifre da capogiro per l’epoca; ma i palchettisti sono ricchi, anche se non necessariamente di sangue blu. Ricco è il primo proprietario del n° 10, Giovanni Battista Barchetta (1728-1807), capomastro e socio dell’impresa dei fratelli Fè e, come questi ultimi, originario del Canton Ticino.
Importanti le opere realizzate con l’apporto di Barchetta, ad esempio la costruzione del naviglio di Paderno d’Adda o il canale Redefossi. Il capomastro viene escluso però dall’appalto più prestigioso, quello del Teatro alla Scala, ottenuto da Nosetti, Fè e Marliani. Cosa non gradita dal Barchetta che svela in una Memoria confidenziale [...] sulle mangerie che si fanno sulle strade le manovre per gonfiare gli utili degli ex soci d’impresa.
Tipo originale questo “oriundo di Barca” stando alla biografia tracciata da Pietro Canetta, archivista degli Istituti Ospitalieri (Milano, 1887, p. 212): “Barchetta Giovanni Battista, capomastro, oriundo di Barca, stato Svizzero, figlio di Francesco, mori vedovo di Lucia Succhini il 15 aprile 1807, in Milano nella casa in via di S. Radegonda al N. 5254 d’anni 79 istituendo erede con testamento del 21 agosto 1806 per una metà l’unica di lui figlia Anna Maria e per l’altra metà l’Ospedale. II movente d’aver privato la figlia di una metà della sostanza va ricavato nel fatto che essa sposò, contrariamento alia volontà del padre, un tale Alberganti. Ci volle del bello e del buono per combinare durante la di lui vita un riavvicinamento che non la voleva più vedere. E non ebbe poi tutti i torti, se l’Alberganti, dopo di avere accuditi a diversi affari del suocero, fuggì con altra donna lasciando a Milano la moglie con una figlia con scarsi mezzi di sussistenza. L’Ospedale però tenne conto dello stato disgraziato della detta figlia rinunciandole le ragioni ereditarie contro il pagamento di L. 9000.”.
Al di là delle parentesi legata all’anno 1809, che vede nel palco la Società di Antonio Ricci, e 1810 (utente Maria Sopransi Bellerio), nel 1813 e nel 1814 figurano intestatari gli eredi Barchetta; è possibile che per racimolare la non lieve cifra richiesta dall’Ospedale, Anna Maria abbia venduto il palco alla successiva proprietaria Madama Carolina Ferrario “dell’Ingegnere”: si tratta di Carolina Alberganti, moglie dell’ingegnere civile Carlo Ferrario, abitante in contrada di Brera. Il palco rimane a Carolina sino al 1839, per poi giacere in eredità fino al 1844 quando passa ad altri componenti della famiglia, (Francesco e fratelli Ferrario, Virginio Ferrario, Clementina Ferrario Marinoni) intestatari sino al 1874.
Solo èer l´anno 1875 compare Fulvio Vernazzi, commerciante in tessuti con negozio in corso Vittorio Emanuele, espositore nel padiglione tessile all’Expo 1871; a lui succede per più di un decennio il ricco Francesco Grisi (1831-1888) titolare in piazza Mercanti 28 di una banca specializzata nel cambio di valute. Gli eredi Grisi lasciano il palco dal 1892 ad Ausano Lazzaroni, figlio di Pietro e Antonietta, la figlia di Ausano Ramazzotti l’inventore del famoso Amaro; Ausano Lazzaroni (1842-1916 o 17), così chiamato in onore del nonno materno, non è del ramo degli speziali da cui discende la nota fabbrica dolciaria. È titolare dell’omonima ditta Ausano Lazzaroni filati, cucirini di seta. Milano, via Manzoni, 5, ditta che - si specifica nelle Guide cittadine - “attende all’industria dei filati di seta e specialmente dell’articolo cucirino che comprende ogni sorta di filo occorrente per cucire a mano come a macchina, per ricamo, passamaneria, frange, tricotteria, bonetteria, pizzi, ecc.“. Ausano prosegue l’attività paterna, divenendo titolare di una delle più importanti filande d’Italia, situata a Treviglio. Come imprenditore incrementa la produzione e i capitali vivendo un momento particoclarmente critico durante lo sciopero delle operaie (50 le fanciulle) della fabbrica di Gessate. Consigliere comunale tra il 1890 e il 1894, con sindaci Negri e Bellinzaghi, benefattore, offrì quote per la fondazione del “Laboratorio della Provvidenza Operaia”e per la Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente.
La passione di Ausano fu però la montagna; delle sue scalate narra il Bollettino del Club Alpino Italiano, di cui era socio come altri palchettisti. La sepoltura al Cimitero Monumentale corona la vita di quello che fu ritenuto un “benemerito cittadino”.
Il palco avrebbe dovuto passare agli eredi di Ausano ma nel 1920, anno della costituzione dell´Ente autonomo Teatro alla Scala, venne espropriato dal Comune come tutti gli altri palchi che, da allora, non furono più proprietà di singoli ma a disposizione del miglior offerente per abbonamenti o biglietti d´ingresso.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 12, IV ordine, settore destro

Un nobile e tanti borghesi
Il barone e conte Antonio Dati della Somaglia (1748-1816), già proprietario del n° 3 del II ordine destro, nel 1779 acquista il palco dal conte Don Giulio Fedeli, che se lo era assicurato all´asta del 30 marzo 1778. Antonio Dati della Somaglia nacque da Antonio Giovanni Battista e da Antonia Barbiano di Belgiojoso; sposato con la contessa Anna Agostini, non ebbe figli e fino al 1825 il palco rimase giacente in eredità, anche se di certo non rimase vuoto: sicuramente lo frequentavano la vedova - morta ottantaduenne nel 1842 - e la sorella Camilla, unica parente per linea diretta, morta nel 1824. Nel 1810, in piena epoca napoleonica, utente del palco risulta l´impiegato Pietro Canturelli.
Nel 1826 alla famiglia Dati della Somaglia subentrò il conte Giovanni Battista Muggiasca “celebre per beneficenza e di protezione delle belle arti”, come si legge sul giornale religioso-letterario Il cattolico; altra lode meritò per aver promosso e sovvenzionato il monumento ad Alessandro Volta “nella sua Pizzo”, in frazione Cernobbio (Como), e per aver lasciato alla sua morte un legato di cinquemila lire per gli asili infantili dei poveri collocati nelle diverse Porte di Milano. Muggiasca possiede anche il palco n° 15 dello stesso ordine che ha una simile storia; dopo Muggiasca, infatti, entrambi i palchi, il n° 12 e il n° 15, passano ai Sigg. Rotondi e Romanati, soci in affari e in benefiche attività. Romanati alla morte converte l’Opera pia a suo nome in Istituto Romanati, cui si aggiungono gli eredi Larini, probabilmente parenti della moglie o nipoti, in quanto sembra che Carlo non abbia discendenza diretta e nella gestione della Fondazione, per statuto, potevano entrare solo componenti della famiglia.
Enrico Larini, ingegnere, con la sorella Ismenia, dilettante di pianoforte, elogiata in un concerto privato organizzato da Ismenia Sormani per festeggiare l’onomastico del marito Giorgio Castelli, consigliere provinciale del Tribunale di Milano, nel 1856, sono i successivi proprietari.
Enrico Larini (1804-1904) è ingegnere, fondatore dello stabilimento meccanico Larini, Nathan e C (poi Larini & Nathan e nel 1911 Nathan &Uboldi) in strada Alzaia pavese 54, con produzione di caldaie e materiale ferroviario. Volontario nelle guerre d’indipendenza e promosso capitano del Corpo del Genio militare, aiutò il suo tenente colonnello, architetto Eugenio Giani, nella riedificazione delle facciate del Castello Sforzesco e della fabbrica sul lato di levante per una vasta cavallerizza.
L’ingegnere abitava in Foro Bonaparte 59 con la moglie Ersilia Villa, colta nobildonna iscritta al Comitato milanese della Società Dante Alighieri e dedicataria di brani pianistici da salotto.
La loro figlia Margherita sposa Carlo Valvassori Peroni cui è intitolata una via adiacente la ferrovia di Lambrate, scelta come location per il film di Vittorio De Sica Miracolo a Milano. La coppia abita prima in Foro Bonaparte 40 e poi al 59, presumibilmente insieme a Ersilia, rispettivamente mamma e suocera, longeva se nel 1919 risulta ancora vivente.
Carlo è medico igienista e pediatra, dirigente la sezione delle malattie dei bambini dell’Ambulatorio Policlinico di Milano e alla Pia Istituzione Provvidenza baliatica: quest’ultima ci rimanda a un altro palchettista del IV ordine (n° 18) protagonista della Milano solidale, Giovanni Maccia. Le guide del tempo informano che lo specialista Valvassori Peroni riceveva in casa dalle 11.00 alle 16.00. Quello che portò l’amministrazione comunale a dedicargli la via nel 1929 è il suo manuale Come devo allevare e curare il mio bambino? (Hoepli, 1900) nel quale dava consigli che sarebbero serviti sia alle mamme delle classi alte, aristocratiche o borghesi che fossero, sia a quelle benefattrici che sostenevano le ragazze madri, povere e non alfabetizzate. Vedova dal 1912, Margherita Larini mantiene la proprietà del palco dal 1906 ininterrottamente sino al 1920, anno in cui si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano inizia l’esproprio dei palchi.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 14, IV ordine, settore destro

Prima i nobili, poi i banchieri
Tracciare la storia di un palco implica l’identificazione dei suoi proprietari o dei suoi “utenti” dall’inaugurazione del teatro nel 1778 sino al 1920 quando, costituitosi la Scala in Ente autonomo, il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi, determinando lo scioglimento dell’Associazione dei palchettisti. I protagonisti di tanti anni di storia sono in primo luogo gli esponenti delle famiglie nobili, di antica o più recente aristocrazia cui si aggiungono nel corso del tempo ricchi banchieri, imprenditori, industriali, professionisti. Quando il palco si trasmette per eredità, i legami parentali diretti o trasversali producono un intreccio talvolta di difficile soluzione. In altri casi, i palchi vengono acquistati per investimento o venduti per ottenere liquidità. A tutti gli effetti sono un bene di proprietà. I palchi più prestigiosi si collocano in I e II ordine (qui compaiono i nomi dei Visconti, dei Litta, dei Sormani, degli Ala Ponzone, dei Pallavicino ecc.); una sola famiglia può possedere più palchi; nel III ordine - altrettanto di prestigio - compaiono spesso proprietari del I o del II.
Più problematico il IV ordine, i cui palchi vanno all’asta nella primavera del 1778 e spesso sono comprati a caro prezzo per investimento dai proprietari dei primi tre ordini. Nel IV ordine compaiono però titolari che non possiedono altri palchi: è il caso del primo proprietario, Luigi Ignazio Belloni, IV conte di Montù Beccaria Oltrepò e regio avvocato fiscale. Amico di Pietro Verri, come lui “principe” dell’Accademia degli Scelti, era coniugato con Vittoria Cuttica dei Marchesi di Cassine. Dopo di lui, il palco rimane in famiglia, passando alla figlia Daria Giovanna (1757-1831), sposata nel 1776 con il Ciambellano imperiale conte Giovanni Battista Trotti. Sette i figli della coppia; ritroviamo tra i palchettisti il loro secondogenito, Giuseppe, nel palco n° 8, II ordine destro - triste la sua storia, perché venne interdetto - e Giulia, la quinta, maritata con don Galeazzo Giuseppe Vitali-Rizzi, patrizio di Pavia, titolare del n° 18 del IV ordine di destra; sono i Trotti conti di Santa Giulietta, la cui antica dinastia in linea maschile si estinguerà alla metà dell’Ottocento. Gli altri Trotti che ritroviamo sin dalla fondazione del Teatro alla Scala nel n° 2 del II ordine destro, appartengono al casato Trotti Bentivoglio.
Nel periodo napoleonico compare come utente Antonio Carcassola, discendente dai marchesi di Lentate, antichi feudatari nella pieve di Seveso. A Milano casa Carcassola, di origini rinascimentali, è ancora ben visibile nel quadrilatero della moda, in via Montenapoleone 3; lì aveva abitato ai tempi delle Cinque Giornate il patriota Emilio Morosini, morto a Roma nel 1849; oggi è la sede della sartoria Fendi.
Nel 1818, per quasi venti anni, il palco viene intestato a Giorgio Marinoni, già membro supplente come giudice di pace nel 1807 durante il Regno di Napoleone Bonaparte, consigliere comunale che ottenne conferma dell’antica nobiltà della sua famiglia con sovrana risoluzione asburgica dell’11 maggio 1828. Non sempre Giorgio Marinoni andava a teatro: come tanti, metteva un annuncio sulla Gazzetta privilegiata di Milano per affittare il palco. Così, il 16 dicembre 1827 compare sul Foglio d’annunzj della Gazzetta di Milano N. 286 l’avviso D’affittarsi “il palco n. 14 quarta fila alla destra entrando. Ricapito al proprietario nella contr. Di S. Prospero n. 2368”. È presumibile, osservando la data, che il Marinoni volesse affittarlo per la stagione. La quota sarebbe stata discussa con il cliente e così avrebbe ottenuto una rendita non da poco.
Nel 1837 compare il nome di Carlo Vidiserti (1765-1861), responsabile dell’Impresa delle diligenze e delle Messaggerie in Contrada del Monte 5499, posta sotto la sorveglianza dell’I.R. Direzione Centrale delle Poste di Lombardia, marito della nobildonna Giuseppina Franchetti di PonteGiuseppina Vidiserti, titolare di un altro palco nello stesso ordine ma nella fila opposta, il n° 15.
Due anni dopo ritroviamo il palco giacente in eredità a nome di Maria De Cristoforis Prata (?-1834), moglie di Luigi Maria De Cristoforis e madre di Tommaso, Vitaliano, Luigi e Giuseppe. Benefattrice dell’Ospedale Maggiore, la Prata aveva il palco di famiglia nel n° 15 del IV ordine di sinistra. Dei quattro figli De Cristoforis il più noto è Giuseppe (1803-1837): la sua collezione di storia naturale, costruita pezzo per pezzo e con fatica insieme a Giorgio Jan, ha costituito il nucleo fondante il Museo Civico di Storia naturale ai Giardini Pubblici. Giuseppe, sposato a Rosa Ornigo, è il padre della successiva proprietaria del palco, Giuseppina De Cristoforis, coniugata con Giovanni Battista Giovio, nobile comasco; a testimoniarne la sua fede patriottica, la comparsa nella Lista delle contribuenti alla bandiera offerta dalle donne milanesi al prode esercito ligure-piemontese “eseguita in ricamo dal sig. Giuseppe Martini, sui disegni del sig. Angelo Rossi, i bronzi cesellati dal sig. Giovanni Bellezza”; la manifattura dello stendardo era stata affidata a Giuseppe Martini, all’epoca gestore dei ricami e degli arredi sacri della diocesi. Un oggetto prezioso che simboleggiava un forte desiderio di libertà: tra i nomi dell’elenco stampato a Milano nel 1848 si contano moltissime palchettiste.
Dopo l’unità d’Italia, dal 1865 sino al 1920, la proprietà del palco sarà dei Mylius; nei primi sette anni intestataria è la banca di famiglia, ovvero la Milyus E. e C.. La “E.” si riferisce ad Enrico, nome italianizzato di Heinrich, il fondatore, che morirà nel 1854 lasciando la banca ai nipoti Georg Melchior (1795-1857) e Heinrich (1792-1862) che proseguiranno l’attività di investimenti, indirizzandoli - seguendo le orme di Enrico - verso le innovazioni tecnologiche industriali; ai Mylius si deve il finanziamento della Società Elvetica dalla quale nacque la Breda e la continuazione del sostegno alla Società di incoraggiamento di arti e mestieri, alla quale si legano molti nomi di palchettisti.
I figli di Georg Melchior e di Federico Enrico (1838-1891), così come quelli di Heinrich, Hermann (1822-1890) e John Frederick (1826-1897), tutti banchieri Mylius, ereditano quote di capitale e altrettante quote di responsabilità alla morte dei rispettivi genitori.
Il palco scaligero passa al figlio di Georg Mechior, Giulio (1835-1914), coniugato con Eugenia Schmutzinger (1838-1903). La coppia ha due figlie, Sophie Anna che muore diciottenne nel 1881, e Agnese (1860-1927). Sarà quest’ultima a ereditare la banca, il palco, i beni di famiglia, la casa di via Clerici 4. Troppo per una donna il cui interesse non stava nel danaro o negli investimenti ma nella pittura di stampo naturalistico, passione che Agnese coltivava sin da fanciulla, e nella beneficenza. Così la prestigiosa Mylius E. e C. di Milano finisce la sua storia e non compare nemmeno nell’Annuario 1921-22 delle banche italiane.
In quegli anni terminava anche la secolare storia della proprietà privata dei palchi.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 15, IV ordine, settore destro

Storie di beneficenza e d’amore
Quando i palchi di IV ordine vennero messi all’asta nel 1778 il n° 15 a destra fu aggiudicato il 1° aprile 1778 per 5.650 Lire imperiali a Francesco Cusani Visconti (1729-1815), patrizio milanese che già condivideva con il cugino Carlo la proprietà del n° 14 nel prestigioso I ordine destro. Marchese del Sacro Romano Impero e Magnate della nativa Ungheria Francesco si sposò due volte, prima con Domenica Rosa Hosler (o Hessler), poi, rimasto vedovo nel 1794, con Giovanna Lampugnani, “di bassa condizione”, come sottolineano le genealogie. Nessuna delle mogli ereditò il palco, condiviso con il marchese Marzorati sotto la dominazione francese e rimasto al marchese Cusani sino a dopo la morte.
Al marchese Cusani subentrò il conte Giovanni Battista Muggiasca “celebre per beneficenza e protezione delle belle arti”, come si legge sul giornale religioso-letterario Il cattolico; altra lode meritò per aver promosso e sovvenzionato il monumento ad Alessandro Volta “nella sua Pizzo”, in frazione Cernobbio (Como), e per aver lasciato un legato di cinquemila lire per gli asili infantili dei poveri collocati nelle diverse Porte di Milano.
Ancora di beneficenza si dovrà trattare per i successivi proprietari, Rotondi e Romanati, titolari nel 1840 e nel 1841 ma nel contempo possessori per molti più anni del palco n° 12 dello stesso ordine.
Carlo Romanati è il fondatore dell’Opera pia che porta il suo nome, al fine di raccogliere elemosine nella parrocchia della Santissima Trinità: oggi della vecchia chiesa, in via Giusti, rimane solo il campanile, essendo stato l’edificio di culto abbattuto e ricostruito poco distante negli anni Sessanta. Con Francesco Rotondi è contitolare di una filanda ai Corpi Santi e di un commercio in seta, cascami e coloniali, con negozio in contrada del Rovello 2309. Entrambi sono soci fondatori della Società di incoraggiamento di Arti e Mestieri, nata a Milano nel 1838 per formare figure professionali pronte a cogliere le novità dei processi produttivi. Non a caso nella Società si trovano le fondamenta del futuro Politecnico di Milano.
Il palco di Rotondi e Romanati passa agli eredi di un altro commerciante, Antonio Pernice (1795-1841) “integerrimo negoziante… benefico ai poveri e con larghi soccorsi e lasciti”, recita l’iscrizione lapidaria fatta incidere dalla vedova Giovannina Bellotti e dai nipoti Antonio e Angelo. Una seconda iscrizione gli fu dedicata per riconoscenza dal cugino Carlo Ponti.
Dei due nipoti, Antonio “giovinetto pio, integerrimo, angelico, appena fatto erede di ricco patrimonio, consunto da lento malore con mirabile rassegnazione tollerato passò a raggiungere lo zio benefico nella sede dei beati in età d’anni 16 giorni 16 il giorno 26 novembre 1841”. L’altro, Angelo Villa Pernice (1827-1892), eredita il palco e ne risulta proprietario dal 1856 sino alla morte; per qualche anno rimarrà ancora a suo nome finché, risolte le questioni ereditarie, la proprietà passa alla moglie Rachele Villa Pernice Cantù (1836-1919). E qui si entra nelle “vicende rosa” della vita milanese, perché Rachele è la prima delle due figlie che Cesare Cantù ebbe da Antonia Curioni de’ Civati, moglie di Giulio Beccaria, figlio dell’illuminista Cesare e zio di Alessandro Manzoni; Cantù riconobbe entrambe le figlie, conservando però sempre un rapporto di stima e di rispetto verso il marito legittimo di Antonia, al punto da celebrarne con questi versi la morte: “3 febbraio 1858 / Nella sera dell’ottuagenaria vita / Vagheggiando l’aurora della celeste / Antonia Curioni sua vedova / Prega i buoni a suffragar per esso / Iddio / Presso cui è copiosa la redenzione”. Giulio e Antonia Beccaria sono sepolti nella villa di Sala Comacina, denominata Villa Rachele. Rachele sposò Angelo Villa Pernice nel 1851: lei pittrice, lui dottore in legge e uomo politico, formarono una delle coppie impegnate nel sociale più in vista della città; borghesi illuminati del cosiddetto “terzo stato”. Angelo venne favorito nella carriera politica dalla moglie, donna molto colta e raffinata: fu consigliere comunale, presidente della Camera di commercio e deputato alla Camera dal 1867 al 1876. Rimasta vedova,Rachele nel 1898 riunì nel suo salotto in via Cusani 13, la cosiddetta Accademia dei Pedanti, amici, intellettuali e letterati; aprì un asilo infantile pubblico a Porta Volta e compare tra i fondatori della Croce Rossa Italiana. Le sue spoglie riposano accanto al marito nel Cimitero Monumentale di Milano. Lasciò il palco agli eredi nel 1920 ma proprio in quell’anno, con la costituzione dell´Ente autonomo Teatro alla Scala, iniziò l´esproprio da parte del Comune di Milano.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 16, IV ordine, settore destro

Un palco da romanzo
Il Dottore Giovanni Antonio Agrati compra il palco il 30 marzo 1778 per 6050 lire imperiali; i suoi figli Carlo e Luigi lo ereditano nel 1790, come dichiara il testamento nuncupativo redatto dal notaio Ginelli comproprietario sino al 1796. All’alba della Repubblica Cisalpina e nel periodo napoleonico compare utente del palco la famiglia Brasca, denominata in seguito Casa Brasca. Si tratta della casata Brasca Visconti Daverio, nata, come succede spesso nelle linee di successioni, per addizione di cognomi: in questo caso, la fusione si deve a Francesco Visconti che nel 1693 aveva istituito erede il nipote Cesare Brasca che a sua volta, avendo sposato la marchesa Bianca Daverio, e non avendo figli maschi, lasciò ai nipoti il cognome, i possedimenti e un onere, la primogenitura.
Verso la fine del loro ventennale possesso, nel 1844, le fonti precisano un nome, quello di Marianna Brasca Visconti Torelli, coniugata al marchese Francesco Torelli che “già militante negli eserciti austriaci, guardia onoraria al re sardo, cavaliere stefaniano di Toscana, pio eminentemente giusto in tutto il suo vivere, estinto da lungo acerbo male con animo forte tollerato” veniva seppellito nel Foppone di Porta Romana il 29 luglio 1825, con il compianto della vedova e delle due figlie, Anna Maria Adelaide e Carolina. L’epigrafe funeraria è quella di uno dei tanti cimiteri milanesi soppressi per far spazio all’espansione urbana; Giuseppe Casati, impiegato municipale, trascrisse una ad una le lapidi dall’origine sino al 1845 in una serie di volumi, frammentaria testimonianza di vita di molti cittadini altrimenti ignoti.
Detenere la proprietà di un palco non voleva dire necessariamente andare a tutti gli spettacoli. Periodicamente infatti i palchettisti attraverso Avvisi pubblicati sulla Gazzetta privilegiata oppure col passa parola cercavano di subaffittare il proprio palco. Nel 1833, per esempio, sul numero del 2 dicembre, fol. 1466, si legge: si vuol affittare ed anche vendere il palco nell’I.R.Teatro alla Scala n° 16, quarta fila entrando, mediante asta amichevole da tenersi il giorno 9 dicembre 1833, alle ore 11 antimeridiane, nello studio della illustrissima casa Brasca Visconti Daverio all’Olmetto di S. Alessandro 3958, ove sono ostensibili i relativi capitoli in ogni giorno feriale dalle ore 10 antimeridiane alle 3 pomeridiane.
Qualcuno potrebbe aver affittato il palco ma nessuno lo acquistò perché i Brasca rimasero titolari sino al 1848. Sappiamo che dopo questo fatidico anno di moti antiasburgici, i proprietari dei palchi non verranno più censiti nei vari almanacchi o nelle guide di Milano, per ritorsione governativa verso i patrioti, molti dei quali rintracciabili tra i palchettisti scaligeri: essi verranno nuovamente citati a partire dal 1856. Il palco di casa Brasca sarà da quell’anno proprietà del ragioniere Carlo Figini, cui i Torelli, avendo avuto solo figlie femmine, trasmisero il cognome. Abitante in contrada della Spiga 1392, si dedica ad opere benefiche che non sfuggono ai giornali del tempo: il quotidiano La Perseveranza del 27 dicembre 1881 ci informa che il signor ragioniere Carlo Figini-Torelli, testè defunto [era morto il 3 maggio], con suo testamento olografo del 8 dicembre 1879 legò lire cinquecento all’Istituto dei sordo-muti poveri di campagna, fondato nel 1853 come appendice dell’ Istituto per sordomuti nato a Milano nel 1805. Vide promotore e primo presidente il conte Paolo Taverna, legato in qualche modo al Figini perché la figlia di Marianna Brasca, Carolina Torelli, aveva sposato un Taverna; i lasciti testamentari di Carolina erano legati all’Istituto dei ciechi. Insomma un circuito milanese di solidarietà sociale che trova nei palchi scaligeri un luogo di incontro e di confronto.
Dopo il Figini-Torelli, dal 1866 agli anni Novanta il palco va ai Valtorta, prima a Giovanni Battista (morto nel 1875), negoziante in filati e manifatture diverse, con recapito in via Bossi 4, iscritto alla Camera di commercio ed arti di Milano, e dopo di lui ai figli che gestiscono la ditta (è ancora attiva a fine secolo) trasformandola in import-export. I figli sono Carlo, industriale e imprenditore, e Cesare che ci appare - una curiosità - nella lista degli abbonati a Le prime letture, periodico per giovinetti fondato da Luigi Sailer, pedagogista, attivo all’orfanotrofio dei Martinitt, narratore della prima storia de La casa dei ciechi ma universalmente noto per la sua vispa Teresa, divenuta assai più famosa di lui.
Nel 1892 il palco passa a Francesco Riva Cavenaghi, ricco commerciante in articoli di selleria con recapito in via Pantano 15. Egli intesserà una relazione amorosa extra-coniugale con una sua lavorante, Sofia Greppi, che si batterà a lungo, in processi registrati dal Monitore dei tribunali, per vedere riconosciuta la posizione di erede sua e dei tre figli naturali; alla fine ottiene un cospicuo patrimonio che devolve all’Ospedale Maggiore e il palco che detiene ufficialmente dal 1917 al 1920, anno in cui si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune inizia l´esproprio.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco n° 18, IV ordine, settore destro

Un palco dagli infiniti nomi possibili
Sin dagli albori lo zoccolo duro dell’Associazione dei palchettisti scaligeri è costituito dagli esponenti delle famiglie nobili cui si aggiungono banchieri, imprenditori, professionisti e in tempi più recenti, grandi industriali. Il palco si trasmette per eredità e i legami parentali diretti o trasversali producono un intreccio talvolta di difficile soluzione. In altri casi, i palchi vengono acquistati per investimento o venduti per ottenere liquidità Insomma sono un bene di proprietà a tutti gli effetti. I palchi più prestigiosi sono in I e II ordine: infatti è qui che compaiono i nomi dei Visconti, dei Litta, dei Sormani, degli Ala Ponzone, dei Pallavicino e di altri titolati patrizi; una sola famiglia può possedere più palchi; nel III ordine – di analogo prestigio - compaiono spesso proprietari del I o del II.
Più variegato il IV ordine, i cui palchi vanno all’asta nella primavera del 1778: compaiono nobili anzi nobilissimi, come il principe Khevenhüller, noti esponenti del ceto civile come l’avvocato Radius, o ancora commercianti come i Valtorta. Ci sono però alcuni palchi nei quali risulta problematico ricostruire le identità dei proprietari, perché i nomi elencati dalle fonti rimandano a più persone e moltissime sono le omonimie.
Difficile è per esempio identificare con certezza i profili dei possessori di questo palco, la cui vendita si conclude il 30 maggio 1778; l´incaricato "a nome di persona da dichiararsi" è l´abate Federico Crippa, il prezzo è di 7.150 Lire imperiali, il massimo pagato per quest´ordine. Il titolare che compare nel 1779 è l’avvocato Portaluppi, intestatario sino al 1796. Potrebbe trattarsi di Antonio Portaluppi, avvocato e possidente di Vigevano, esponente del Consiglio comunale nel 1812 “cittadino sindaco” della città nel 1798, con la Repubblica Cisalpina, forse morto intorno al 1830, lasciando vedova Felicita Vigore.
Da Vigevano, cantone unico e poi distretto napoleonico, provenivano non pochi palchettisti, ad esempio della famiglia Saporiti piuttosto che dei Barbavara.
Durante il Regno d´Italia, nel 1809 e nel 1810, condividono il palco due utenti, Carlo Battaglia, negoziante e militare durante la Repubblica Cisalpina, e Francesco Cattaneo, cui si aggiunge nel 1810 Cesare Pompeo Castelbarco Visconti Simonetta; dei tre, solo Cattaneo rimarrà titolare dal 1813 al 1817: non riusciamo a identificarlo, molte le ipotesi: avvocato? Ufficiale? Governatore di Genova nel 1802 per solo un mese e mezzo? Delegato dalla Repubblica genovese a incontrare Bonaparte? Autore degli epigrammi offerti ai marchesi Cacciapiatti?
Al Cattaneo succede dal 1818 al 1827 il Sig. Vanni: il palco giace in eredità sempre a suo nome dal 1827 al 1831. Ma chi è il Sig.Vanni?
Peccato non sia il sacerdote Luigi Vanni, fondatore di una casa di educazione maschile giù dal ponte delle Pioppette 3724. Ci avrebbe permesso di aprire uno scorcio sulle istituzioni attente all’alfebetizzazione dell’infanzia, oltre che sulla Milano dei Navigli, per giunta in quel posto tutto particolare che sta all’incrocio tra via Santa Croce e Molino delle Armi attraversato dalla Vettabia… Ma le fonti parlano di un Sig. Vanni, indi si deve escludere il sacerdote. Un Vanni importante è Cosimo, accademico dell’accademia dei Georgofili, ma la residenza fiorentina non ci consente certezza.
Meglio vanno le cose con gli altri proprietari che riusciamo a collocare nel tempo e nella storia.
Nel 1832 proprietaria del palco è la contessa Vitali; si tratta di Giulia Trotti (1782-1833), di nobile famiglia ticinese ma nata a Milano, coniugata il 14 novembre 1799 con don Galeazzo Giuseppe Vitali-Rizzi, patrizio di Pavia (1765-1841), padrone a Villanterio (Casteggio) di una villa ricca di reperti archeologici di età romana, spesso citati dagli eruditi del tempo.
La contessa Teresa Vitalba, che compare proprietaria nel 1834 e nel 1838, è Teresa figlia di Benigno Bossi <1.> vedova dal 1809 del primo marito, il conte Abbondio Rossini, con tre figlie minorenni e “con ventre pregnante”; il maschio muore il 6 aprile poco dopo le nascita. Per dotare le figlie, poste in tutela a Tommaso Odescalchi, la contessa si spoglia di numerose proprietà in quel di Como, sue e del marito, mettendole all’asta. Teresa si rimariterà con il conte Giovanni Andrea Vitalba.
Girolamo De Capitani d’Arzago assume la proprietà dal 1839 e verrà indicato come proprietario ancora un paio d’anni dopo la sua morte avvenuta nel 1871. È marchese, Ciambellano e Cavaliere di giustizia dell’ordine di San Maurizio e Lazzaro. Alla Scala egli visse gli anni migliori della storia dell’opera, quelli della prima della Lucia di Lammermoor di DonizettiGaetano Donizetti (1° aprile 1839), del debutto verdiano di Un giorno di regno e Oberto conte di San Bonifacio nella stagione d’autunno del 1840, de La sonnambula di Bellini (1841, stagione di primavera) per non parlare di Nabucco e Barbiere di Siviglia (1842) sino ad arrivare nel 1868 alla prima assoluta di Mefistofele di Arrigo Boito e alla prima europea di Aida (1872) sino al Lohengrin dato nella traduzione italiana di Salvatore Marchesi de Castrone della Rajata, première scaligera di un’opera di Richard Wagner (1873). Invidiabile primato.
Dal 1874 al 1877 gli subentra Giovanni Maccia personaggio assai noto nella città e non solo per il suo negozio di filati e quello di ferramenta; membro del Governo camerale della Camera di commercio tra il 1855 e il 1857, Giovanni Maccia era personalmente impegnato nel Pio Istituto del Baliatico e nel Pio Istituto di Maternità milanesi; era anche il delegato all’erogazione dei sussidi alle madri lavoratrici che allattavano il loro bambino per la parrocchia di San Satiro.
Per queste sue attività benefiche, Maccia venne sepolto nel Cimitero Monumentale dove gli fu dedicato un grande monumento sormontato da un busto di marmo edificato nel 1869 da Luigi Crippa.
Giovanni Maccia aveva fondato a suo nome una Società, con sede a Milano in via Torino 21 e stabilimenti in Besozzo (Varese), per la filatura, torcitura, candeggio e commercio di tessuti. La proprietà del palco nel 1878 passa a due suoi eredi, i figli Giuseppe e Antonio-Pietro, cui si aggiungono in condivisione, sempre nello stesso anno e per il ventennio successivo i fratelli Achille, tipo-litografo, editore e libraio, e Giovanni Corbetta, forse il chirurgo dentista all’I.R. collegio S. Filippo di Milano, e Carlo Antongini (1836-1902), patriota e filandiere, figlio di Gaetano fondatore della Manifattura Lane Borgosesia e che impegnò una parte dei suoi capitali nella fondazione della Casa editrice Sonzogno. Carlo Antongini insieme a Luigi Maccia (altro figlio di Giovanni e presidente della Camera di Commercio), Pirelli, Carlo Erba, Gondrand e altri erano impegnati con l’imperatore d’Etiopia Menelik per nell´avviamento di progetti commerciali nell’entroterra abissino, ben rappresentando tutte le aspirazioni della Milano imprenditoriale.
Alla morte di Antongini, il palco viene ereditato dalla vedova Haydée Dubini (1853-1933), figlia di Angelo, primario del dipartimento di dermatologia dell’Ospedale maggiore. II medico cita più volte la figlia come appassionata ed esperta nell’allevamento delle api in articoli usciti sulla rivista L’apicoltura. Sono le nuove “tendenze bio” agli albori del XX secolo. Haydée conserva la titolarità del palco sino al 1920 anno in cui si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala e il Comune di Milano indice l´esproprio dei palchi scaligeri.
(Pinuccia Carrer)
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

    

  
 
 
Cerca:
Cerca nelle storie:
Autori delle storie: