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Teatro alla Scala - Ufficio Ricerca Fondi Musicali - Conservatorio G. Verdi di Milano
I palchettisti della Scala 1778-1920

Palco di proscenio, IV ordine, settore destro

Impresari e possidenti
Quando il 3 agosto del 1778 venne aperto al pubblico il Nuovo Teatro Grande alla Scala decaddero i contratti con gli “appaltatori” del vecchio Teatro Ducale. Erano questi i cosiddetti “impresari”, in gergo settecentesco, cui subentrarono nei primi dieci anni di storia del nuovo teatro i Nobili Cavalieri Associati, una rappresentanza del Corpo generale dei proprietari dei palchi costituita dal conte Ercole Castelbarco, dal marchese Giacomo Fagnani e dal marchese Bartolomeo Calderari. Gli Interessati nel scaduto appalto, ossia i vecchi impresari, ebbero però riservato uno spazio nel nuovo teatro scaligero che mantennero con tutta certezza fino al 1796. I “vecchi impresari” erano i fratelli Crivelli, Antonio e Giuseppe, titolari del palco n° 15 del I ordine di destra, e il barone Federico Castiglioni, ispettore del Teatro Ducale e vicedirettore dello stesso per nomina governativa, che compare nel n° 18 del III ordine di sinistra ma che compare anche nei palchi di proscenio del IV ordine, sia nel settore destro sia in quello sinistro.
«La prova di domani è in Theatro, ma l’Impresario, il Sig. Castiglioni, si è raccomandato affinché non ne facessi parola, altrimenti la gente vi accorrerebbe a frotte, e questo non lo vogliamo». Si trattava della prova del Lucio Silla e a scrivere era proprio Wolfgang Amadeus Mozart, al quale gli appaltatori avevano commissionato una nuova opera per l’apertura della stagione di Carnevale del 1773, il 26 dicembre 1772, dopo il successo, due anni prima e nello stesso teatro, di Mitridate, Re di Ponto. Vecchi impresari ma di molto intuito contribuirono alla scelta dell’opera di apertura del Teatro Grande, Europa riconosciuta di Antonio Salieri.
Durante il ventennio napoleonico la proprietà risulta delle sorelle Antonietta (1782-1814) e Francesca (1784-1857) Milesi figlie del ricchissimo commerciante di tessuti Giovan Battista, e di Elena Viscontini, appartenente anch’essa ad una famiglia dell’alta borghesia lombarda arricchitasi con il commercio dei tessuti e che aveva investito i profitti in terre e immobili, a Milano e nel Canton Ticino. Elena è la zia della più famosa Metilde Viscontini, figlia del fratello Carlo e moglie del generale Dembowski, patriota e “maestra giardiniera”, affiliata alla Società dei federati, un circolo cospirativo legato ai liberali piemontesi. Le sorelle Milesi crebbero insieme ai cugini Viscontini (oltre a Metilde, Bianca, Beatrice ed Ercole) che erano spesso ospiti del loro palco alla Scala e frequentarono gli stessi intellettuali e artisti della capitale lombarda, dall’economista e giornalista Melchiorre Gioia al pittore Andrea Appiani, a Ugo Foscolo e a Stendhal. Metilde morrà appena trentacinquenne in casa della cugina Francesca. Stendhal, innamorato non corrisposto di Metilde, riteneva che la sua freddezza fosse dovuta all’influenza della cugina Francesca Milesi, responsabile, a suo dire, di averlo messo in cattiva luce. Lo scrittore così si vendicherà di lei raffigurandola nella Certosa di Parma nel personaggio dell’intrigante marchesa Roversi, mentre a Metilde ispirerà le due protagoniste de Il rosso e il nero: l’orgogliosa marchesa de La Mole porta il nome di Mathilde, e la dolce e infelice Madame de Rênal ha il carattere della Viscontini.
Antonietta sposa un agiato possidente, Camillo Gabrini, mentre Francesca convola a nozze con l’avvocato Giovanni Traversi (1766-1854), uno spregiudicato finanziere legato alla politica, abile a districarsi con i francesi e con gli austriaci. Nel 1817 Traversi acquista dal conte Anguissola un palazzo nel centro di Milano (via Manzoni 10, oggi parte delle Gallerie d’Italia), rileva nel 1817 la Villa Cusani a Desio, opera di Piermarini, dove ospitò Vincenzo Bellini ai tempi de La Straniera, infine nel 1836 compra a Meda la splendida villa neoclassica che l’architetto Leopold Pollack aveva trasformato conglobando nel superbo edificio l’ex-monastero medievale intitolato a San Vittore. Scomparsi in giovane età e senza discendenti i coniugi Gabrini, il palco rimase di Giovanni Traversi sino al 1854 e in usufrutto alla moglie Francesca sino al 1856.
Poiché non ebbe figli, l’avvocato lasciò tutti i suoi beni, compreso il palco alla Scala, al figlio della sorella Margherita, Giovanni Pietro Antona Cordara, il quale assunse il cognome dello zio nel proprio, mutandolo in Giovanni Pietro Antona Traversi (1824-1900). Giovanni Pietro ebbe rapporti con Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, partecipò come volontario alla seconda Guerra d’indipendenza nel 1859 e fu più volte deputato nei banchi della sinistra. Alla sua morte il palco passò al nipote, l’ingegnere Antonio Tittoni (1889-1962), figlio del senatore Tommaso Tittoni e di Bice Antona Traversi.
Ultimo proprietario, dal 1909 sino alla cessione dei palchi al Comune nel 1920, è l’avvocato Bassano Gabba (1844-1928), patriota, volontario nella Terza guerra indipendenza (1866), uomo politico della destra storica, deputato, senatore e per poco più di un anno (dal 1909 al 1910) sindaco di Milano, dopo il palchettista Ettore Ponti.
(Antonio Schilirò)
 
Hanno posseduto questo palco:
Antona Traversi, Giovanni, che ebbe anche: 13 2. ordine sinistro
Associazione dei palchettisti, che ebbe anche: Proscenio 2. ordine destro; 1 4. ordine destro; 2 4. ordine destro; 3 4. ordine destro; Proscenio 2. ordine sinistro; Proscenio 4. ordine sinistro
Castiglioni, Federico, che ebbe anche: 18 3. ordine sinistro; Proscenio 4. ordine sinistro
Gabba, Bassano
Gabrini, Camillo
Gabrini Milesi, Antonietta
Tittoni Antona Traversi, Bice, che ebbe anche: 13 2. ordine sinistro
Tittoni, Antonio, che ebbe anche: 13 2. ordine sinistro
Traversi, Giovanni, che ebbe anche: 13 2. ordine sinistro
Traversi Milesi, Francesca
 
Guarda i proprietari del palco dal 1778 al 1920
 

 

    

  
 
 
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